Ieri alla Scala ho assistito al capolavoro ceco di Janacek, "Jenufa". Come si evince dal titolo del thread, ho trovato meritorio e giusto dare maggior attenzione al ruolo di Kostelnicka, vero perno catalizzatore di questo immenso e bellissimo capolavoro. Infatti immagino che sappiate che nell'originale ceco, l'opera si intitola "La sua figliastra" e non Jenufa, come e' comunemente conosciuta ora.
Infatti il maggior punto d'interesse, piaccia e non piaccia, era la Sagrestana della veterana Anja Silja (67 anni), portata in tutto il mondo ed ora finalmente approdata alla Scala. E son state subito scintille ... Adessso francamente non saprei dirvi se la sua organizzazione vocale sia poco ortodossa, se i suoi acuti siano correttamente appoggiati sul fiato (ne dubiterei), ma vi assicuro che ogni volta che apriva bocca, specie nei grandi squarci lirici di cui e' disseminata l'opera (praticamente tutto il secondo atto e la scena della confessione nel terzo) avevo i brividi per la schiena. Ed allora mi domando : se avra' cantato pure male, ma capace di trasmettermi emozioni a gogo', l'interprete non ha forse raggiunto il suo scopo?
Io affermo di si, senza ombra di dubbio. Certo che i suoi acuti erano veri autentiche scudisciate, capace di superare il muro del suono archittetato dal bravissimo e sconosciuto direttore Lothar Koenigs (non l'ho mai sentito nominare). Quanto alla sua bravura nello stare in scena, penso proprio che sia fatica sprecata nel sottolinearlo. Insomma, per chi non l'avesse capito la Silja e' riuscita a farmi dimenticare il Milan (che proprio ieri disputava la semifinale contro il Manchester United). E non vedo l'ora di riascoltarla/rivederla dal vivo proprio l'11 maggio ed in una posizione migliore alla Scala, visto che ieri ho deciso di stare in piedi tutta l'opera per poterla ammirare ancor di piu'.
Sul resto, oltre al direttore che si e' gia' detto invero ottimo, mi e' parsa molto brava la Magee nel ruolo di co-protagonista. Linea vocale immacolata e tutt'altro che piagnucolante, con l'invocazione alla Vergine Maria di struggente bellezza. Un po' ingolato lo Steva di Storey, a fronte di un Laca di Dvorsky convincente e dallo squillo solidissimo. In disarmo la Burya delle Ejsing.
Della regia, fin troppo spoglia, ha avuto il merito di dare spazio al dramma dell'opera senza inutili orpelli. E poi mi domando, di fronte a certi cantanti, il regista a volte pare del tutto inutile.