Tannhauser (Wagner)

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Tannhauser (Wagner)

Messaggioda pears » sab 29 dic 2007, 0:35

qualche volta ci casco e, per la gioia di Vittuàr, divento wagneriano. dura poco, ma solitamente sono momenti molto intensi.

qualche anno fa mi ero dedicato al Parsifal e poi al Ring. quest'anno butta il Tannhauser. finora ho ascoltato i primi due atti (versione diretta da Solti, con un Kollo davvero in forma). possiedo anche la versione di Sinopoli (ho ascoltato qualcosina e mi sembra molto interessante) e quella di Baremboin.

però, essendo un neofita, mi piacerebbe saperne qualcosa di più. non so, una guida all'ascolto e qualche altro consiglio discografico.
spero nella vostra competenza e nella vostra passione, oltre che nella vostra cortesia.

Divo Pirz
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Messaggioda pbagnoli » sab 29 dic 2007, 10:05

Che dirti, Divino Pirz?
Hai già molto: da un certo punto di vista, hai già forse il massimo che si possa desiderare (discograficamente) per quest'opera.
Dicono che Venus e Elisabeth siano la stessa donna vista da due angolazioni diverse, ma tutte le volte che un soprano ha provato ad interpretare entrambe le parti pare che abbia fallito clamorosamente, compresa la Nilsson che era quella con le carte maggiormente in regola per riuscirci.
Tannhauser è un ruolo estremamente difficile per un tenore; secondo me, Windgassen ha ancora molto da insegnare a tutti per stile e misura in questa parte così difficile. Lo troverai facilmente nel catalogo Philips, accanto all'Elisabeth della Silja che a me piace moltissimo, ma non è così per tutti.
In tempi più recenti è uscita l'edizione Teldec di Barenboim con Seiffert, davvero bravo; c'è però la Eaglen come Elisabeth, e questa non è una notizia splendida.
Non è il titolo wagneriano più rappresentato nella discografia
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Messaggioda pears » sab 29 dic 2007, 12:45

Barenboim ce l'ho, ho ascolticchiato con Seiffert qualche momento del secondo atto e devo dire che come tenore è molto interessante. qualcuno invece conosce l'edizione con Heppner?
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Messaggioda pbagnoli » sab 29 dic 2007, 13:29

No.
Non sapevo nemmeno che l'avesse inciso... :oops:
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Re: Tannhauser - consigli

Messaggioda VGobbi » sab 29 dic 2007, 15:43

pears ha scritto:qualche volta ci casco e, per la gioia di Vittuàr, divento wagneriano. dura poco, ma solitamente sono momenti molto intensi.

Ti ringrazio del pensiero, carissimo Pears.

Se posso darti un breve consiglio, per quel che valgano, dedicherei l'ascolto dei maggiori capolavori del maestro tedesco, in primis Ring (magari iniziando con la piu' abbordabile Walkiria) Tristan, Maestri Cantori e Parsifal. Se proprio vuoi iniziare con un'opera giovanile di Wagner, punterei sul Lohengrin, lasciando l'Olandese ed il Tannhauser per ultimi.

In merito al Tannhauser, io punterei molto sull'incisione in studio del '60 (Emi) diretta da Konwitschny con un cast lussuosissimo (un solidissimo Hopf, un'angelica Grummer, un irriconoscibile quanto bravissimo Fischer-Dieskau e l'imponente Frick, senza tralasciare i cammeo di Wunderlich oppure di Unger), ad eccezione della sgraziata Venus della Schech, l'unica pecca di una registrazione d'altissimo livello. Questo, a mio modesto avviso, sarebbe il cofanetto che ti consiglierei senza ombra di dubbio. Cio' non toglie che esistono altri Tannhauser meritevoli di ascolto, ad esempio quelli di Solti e Sinopoli, mentre decisamente intriganti sulla carta - visto che non li possiedo - i due live diretti da Sawallisch nel biennio '61-'62. Sappimi dire ...
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Messaggioda teo.emme » sab 29 dic 2007, 17:54

In effetti, caro Pears, hai già un'ottima scelta di Tannhauser. Secondo me il migliore resta quello di Solti (che segue la versione di Parigi, come farà pure Sinopoli). Anche io ti consiglio l'incisione PHILIPS diretta da Sawallisch (anche se temo sia fuori catalogo), con un cast strepitoso (oltre Windgassen e la Silja citerei la sensualissima Venus della Bumbry). Sawallisch sceglie il tradizionale mix delle versioni Dresda e Parigi (come farà in parte Barenboim, anche se in realtà utilizza solo alcuni dei cambiamenti pensati per Parigi). Il Tannhauser citato da VGobbi, diretto da Konwitscny, invece, segue integralmente la versione di Dresda (è uno dei pochi a scegliere questa prima redazione) e lo consiglierei proprio per questo, in quanto per il resto non mi entusiasma (soprattutto la lettura direttoriale). Meglio questa però, di quelle di Gerdes e di Haitink (che esegue la primissima versione di Dresda). Ti sconsiglio vivamente, invece, la versione diretta da Karajan (live DGG): l'orchestra è splendida, come splendida è la direzione e la Venus della Ludwig, ma la coppia dei protagonisti è davvero malmessa.
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Versione di Parigi 1861 e Vienna

Messaggioda melomane » mer 09 gen 2008, 16:05

Ciao,
sono un melomane che tiene come riferimento la collana "I gioielli della lirica" di Longanesi: ho tratto molti spunti di riferimento da quegli storici numeri.
Il Tannhäuser presentato è un'edizione diretta da Joseph Keilberth a Bayreuth nel 1954, con Ramon Vinay protagonista e Dietrich Fischer-Dieskau come Eschenbach, senza dimenticare Josef Greindl-Langravio di Turingia e Herta Wilfert-Venere.
Ma sono particolarmente affezionato all'Elisabetta di Gré Brouwenstijn, solida e vibrante.
Si tratta dell'edizione di Parigi, come comunemente oggi si definisce quella modificata per la rappresentazione di Vienna del 1875.
La qualità del suono è buona, le voci "pesano" in modo adeguato sull'orchestra.

Un caro saluto

Francesco
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Messaggioda walpurgys » mer 09 gen 2008, 17:52

Le edizioni che consiglio vivamente sono:
Keilberth
Sawallisch (con Windgassen, de Los Angeles, Bumbry, Fischer-Dieskau)
Barenboim (peccato ci sia la Eaglen)
Mehta (in video)
Sinopoli
Solti
Elmendorff
Leisdorf

Ho comprato giusto oggi il DVD dell'allestimento diretto da Franz Welser-Möst...vi farò sapere :wink: !
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Tannhauser - Gambill, Nylund, Lenhoff - Blu-Ray Arthaus

Messaggioda Maugham » gio 16 giu 2011, 11:48

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Tannhäuser – Robert Gambill
Elisabeth – Camilla Nylund
Venus – Waltraud Meier
Wolfram von Eschenbach – Roman Trekel
Landgraf – Stephen Milling
Walther von der Vogelweide – Marcel Reijans
Biterolf – Tom Fox
Reimar von Zweter – Andreas Hörl
Heinrich der Schreiber – Florian Hoffmann
Ein junger Hirt – Katherina Müller

Vienna Philharmonia Choir
Berlin Deutsches Symphony Orchestra
Philippe Jordan, conductor

Nikolaus Lehnhoff, regia
Raimund Bauer, scenografia
Andrea Schmidt-Futterer, costumi

Registrato dal vivo alla Festspielhaus di Baden-Baden nel 2008

Vedere certi spettacoli di Lehnhoff è come usare una macchina del tempo. Si torna ai primi anni ottanta nel triangolo Francoforte-Weimar-Stoccarda nel regno del regientheater. In questo Tannhäuser troviamo infatti scenografie con palesi intenti simbolici, giochi di luce elementari, costumi squadrati e recitazione a volte destrutturata, a volte naturalistica, ma comunque sempre con intenti critici o dissacratori. Su tutto regna il konzept che il dramaturg proclama e il regista raccoglie.
Qui il konzept è rappresentato da una scala a spirale che, nei suoi contorcimenti, esprime sia la prigione dei sensi da cui Tannhäuser vuole fuggire sia la libertà redentrice a cui ambisce. Ad ogni atto si sale di un piano per arrivare, al finale, in un attico hi-tech dove avviene la catarsi e dove Elisabeth -vestita da sposa- si sacrifica. Lehnhoff non rinuncia nemmeno al caramello disneyano. Tannhäuser muore tra le braccia di Wolfram e un figurante, con lo stesso costume, sale le ultime spire della scala verso il cielo blu notte tra il salmodiare delle voci bianche. L'anima rendenta conquista il paradiso. Amen.
Detto questo non mi stupisco che Lehnhoff faccia del teatro a tesi; quello è il suo stile, quello ha appreso dai suoi maestri (Friedrich e Berghaus in testa), quello è il territorio dove ha riscosso notevoli successi. Mi stupisce invece che piatte narrazioni wagneriane come questa ancora vengano additate come esempio di coraggiosa "avanguardia" e non considerate come rivisitazioni d'epoca alla stregua delle Aide con i teli dipinti o certi allestimenti del Kirov. Ma forse è solo un problema mio: senza dubbio gli spettacoli di Lehnhoff hanno una poetica che mi sfugge oppure -più semplicemente- ho visto troppi Baccanali dove si sacrificava il maschio "castrante" (parola dei coreografi) e troppe Wartburg dove gli invitati sfilavano con bizzarri costumi -in questo caso gigantesche corna di cervo sulla testa- a rappresentare il mondo borghese (parola di Lehnhoff). Per me questo è solo un Tannhäuser scenicamente prevedibile, ingenuo, pretenzioso e muffito nei contenuti.
Dirige il giovane Jordan con slancio, fantasia e tante buone intenzioni. E' un Wagner, il suo, per nulla retorico ma luminoso e articolato. In certi punti si sente il desiderio, più che comprensibile, di comportarsi da primo della classe nell'evidenziare, con capillare cura certosina, certi impasti armonici particolari, certe scelte timbriche inconsuete, certi dettagli che altri interpreti passavano in sottordine. A volte questa analisi si rivela però controproducente. Il finale II, sebbene molto interessante sotto il profilo del colore orchestrale, corre il rischio di spappolarsi per un'eccessiva ricerca della minuzia messa in risalto come se fosse in cornice. Le cose migliori arrivano nel terzo atto a cominciare dal preludio che Jordan arricchisce di nervature cameristiche per arrivare a un finale di incisiva potenza proprio perchè privo di tutta quell'enfasi trombona che il momento sembra suggerire. Bravo.
Tannhäuser è Robert Gambill e qui c'è poco da dire. Forse perchè colto in una serata non particolarmente felice, Gambill letteralmente stramazza sotto il peso del ruolo: il timbro è legnoso, l'accento sempre parossistico ed esagitato, il disegno del personaggio elementare. Nel terribile concertato che chiude il secondo atto non riesce nemmeno a tenere una corretta intonazione e siamo a un pelo dal disastro. La "colpa" deve però essere equamente divisa tra lui e Jordan: con un tenore in quelle condizioni staccare un tempo così lento significa voler a tutti costi farsi del male.
Con la Nylund siamo su un altro pianeta. Sebbene sia un'Elisabeth piuttosto convenzionale (candore e purezza e castità e nient'altro) il canto è fermo, luminoso e certi acuti perentori.
Trekel è un Wolfram che metterà a disagio i wagneriani più belcantisti ma l'accento è convincente, il taglio del personaggio credibile, la musicalità ottima. Milling canta bene, ma confonde il Langravio con Sarastro.
Resta la Meier; l'intesa con Lehnhoff è notevole e lei conosce il ruolo anche capovolto. Difficile esemplificare i colori, le sfumature, il dosaggio degli accenti, la miriade di inflessioni con cui la Meier scompone la parte. Basti dire che le uniche emozioni teatrali autentiche di questo Tannhäuser sono ascrivibili a lei.
Qualità video di alto livello (sebbene un po' più di contrasto nel terzo atto avrebbe giovato). Audio eccellente nella traccia PCM anche se con un'invadenza delle voci nella parte destra del palcoscenico causa un microfono forse posizionato un po' troppo sulla ribalta.
Making-of di 50 minuti. Opera e documentario tutti sottotitolati in italiano.
La versione utilizzata è quella di Vienna.
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Re: Tannhauser - Gambill, Nylund, Lenhoff - Blu-Ray Arthaus

Messaggioda pbagnoli » dom 19 giu 2011, 8:53

Sai che c'è, Bill?
Il concetto di regientheater è uno di quelli meno compresi dal pubblico italiano.
Se consideri per esempio la nostra - chiamiamola così - concorrenza, è uno di quei termini che usano più frequentemente per accomunarvi tutto quello che oggi noi consideriamo la gioiosa invasione della regia nel teatro d'opera.
Ma credo che il concetto di regientheater implichi ben altro, per cui non sarebbe male se tutti insieme facessimo uno sforzo per capire meglio quest'idea e quanto abbia influenzato il nostro modo odierno di godere del teatro d'opera.
Quindi, i quesiti che vorrei ci ponessimo sono:
:arrow: cos'è il teatro di regia
:arrow: esiste ancora?...
:arrow: se esiste, dove soprattutto e con chi?
:arrow: perché per il pubblico incolto tutto è riconducibile al teatro di regia?
:arrow: quali sono le sue evoluzioni?

Aggiungo che non conosco lo spettacolo da te (splendidamente) recensito, ma io di solito apprezzo molto il buon vecchio Lehnhoff, contrariamente al GM che non lo ama per nulla. Oddìo, sto diventando passatista?!?...
Infine, per come lo capisco io, quello che segue probabilmente NON E' regientheater:
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: Tannhauser - Gambill, Nylund, Lenhoff - Blu-Ray Arthaus

Messaggioda Maugham » mar 21 giu 2011, 11:01

Accidenti boss, che domande! Roba da seminario per specialisti.
Premetto che quello che so deriva da letture scoordinate.
Inoltre io non sopporto quel tipo di teatro e quindi non l'ho mai approfondito particolarmente.
Figurati che nella fretta nove volte su dieci lo scrivo anche male mettendoci una "n" dove non serve.... :D

pbagnoli ha scritto:Il concetto di regientheater è uno di quelli meno compresi dal pubblico italiano.
Se consideri per esempio la nostra - chiamiamola così - concorrenza, è uno di quei termini che usano più frequentemente per accomunarvi tutto quello che oggi noi consideriamo la gioiosa invasione della regia nel teatro d'opera.


E' vero. Hai presente il termine "belcanto"? Per gli appassionati seri significa un ben preciso settore di repertorio con altrettanto precisi codici estetici, esecutivi, compositivi. Per tutti gli altri è un sinonimo di canto lirico. La Scala tempio del belcanto, Pavarotti ambasciatore italiano del belcanto, Katia Ricciarelli regina del belcanto etc... :roll:
Qualcosa di simile succede con il regietheater.
Per molti -anche addetti ai lavori- significa solo uno spettacolo in cui "il regista è importante".

:arrow: cos'è il teatro di regia


Non so dartene una definizione esatta anche perchè credo che non esista.
Innanzitutto regietheatre non vuol dire "teatro di regia". Bensì "teatro di allestimento, di drammaturgia".
Inoltre non è legato esclusivamente all'opera.
Anzi, approda sui palcoscenici lirici in maniera "forte" nella metà degli anni Settanta principalmente in Germania.
Quello che so l'ho letto in uno splendido numero monografico dell'Avant-Scène dedicato alla regia d'opera.
Provo a sintetizzare.
E' alla fine degli anni Settanta che il mondo dell'Opera in Germania (forte dell'esperienza di Felsenstein, della Berghaus e di Herz) importa il concetto piuttosto vago del "regietheatre" che inverte la tendenza fino allora in vigore: dopo essere stata subordinata alla musica, dopo aver tentato di conquistarsi un ruolo paritario, la drammaturgia diventa il punto di partenza nell'elaborazione di uno spettacolo d'Opera. La scelta di un regista piuttosto che un altro tradisce proprio la volontà -a monte- di difendere una particolare idea del titolo da rappresentare. Dopo i saggi critici di Adorno non era più possibile rappresentare un titolo secondo criteri di passiva aderenza al testo. In Germania (soprattutto) si comincia a parlare di Opera, e non solo di teatro di parola, in termini di "distanza critica", "dissociazione sovversiva", "destrutturazione". Per anni i palcoscenici d'Opera avevano vissuto situazioni stagnanti in termini teatrali: ora diventano il luogo per tutte le sperimentazioni più audaci e bizzarre. I risultati sono alterni, ovviamente. Ma questa rivoluzione è di tale forza da non poter essere sottovaluta da nessuna opera house. I templi del regietheater sono, agli inizi, Francoforte (direzione Gielen dal 1977 al 1987) e Amburgo (direzione Dohnànyi dal 1977 al 1984). In quei luoghi le trasposizioni e le riletture sono di rigore: Aide con le mitragliatrici, Fidelio con i nazisti, Pellèas in ospedale, Orfeo come rockstar. Il vento di novità attraversa la Manica. A Londra l'ENO diventa il contraltare "moderno" al Covent Garden sotto la direzione di Peter Jonas che, anni dopo, porterà questo vento innovativo nella tradizionale sala dell'Opera di Monaco. Negli anni Ottanta si mostra alla scena lirica Gerard Mortier che farà della Monnaie il teatro più all'avanguardia d'Europa e in seguito portera questo radicale rinnovamento anche al Festival di Salisburgo. Nel frattempo Stoccarda si conquista la palma di tempio del regietheater con Klaus Zehelein che può essere considerato il primo "dramaturg" a tutti gli effetti che lavora esclusivamente sull'opera. Nel teatro di parola (in Germania) esisteva da tempo. Nell'opera è una novità. Il dramaturg è, in pratica, un intellettuale fisso stipendiato dal teatro il cui compito è quello di definire le linee guida di uno spettacolo (il konzept) per poi lasciare al regista il compito di mettere in pratica.

:arrow: esiste ancora?...
:arrow: se esiste, dove soprattutto e con chi?


Gli esponenti in attività del regietheater -o almeno riconducibili a quell'estetica- sono tra i tanti Neuenfels, Marthaler, Konwitschny, Lehnhoff, Mussbach, l'americano Alden. Ovviamente con tutti i distinguo del caso. Quandi la risposta è affermativa.
Penso però che, come ho detto in apertura, occorre capire cosa si intende per "regietheatre".
Se mettiamo sotto questo nome tutti i registi che vedono il teatro d'Opera come un laboratorio dove studiare le potenzialità di un titolo per consentirgli di dialogare con la nostra epoca... allora tutti fanno del "regietheater" :) Anche McVicar che ha sempre preso le distanze da quel tipo di lavoro sulla drammaturgia.
Io sono invece propenso a parlare di "regietheater" in termini più restrittivi. Il "regietheater" presuppone una struttura e un tipo di lavoro simile a quello che si fa a Stoccarda o a Weimar ma anche in teatrini di provincia come Augsburg o Brema. Compagnia stabile, registi stabili e a monte un dramaturg stabile che definisce gli ambiti di lavoro e le poetiche espressive a cui tutti devono attenersi. In questi teatri la drammaturgia non solo è fondamentale (questo avviene anche nel Don Giovanni di Guth o nell'Onegin di Carsen) ma diventa la "ragione" per cui si allestisce Aida o Tristano o Nabucco e soprattutto la "ragione" per cui il pubblico dovrebbe vedere Aida o Tristano o Nabucco. Il concetto di enterteinment non è contemplato così come il concetto di piacevolezza visiva di un allestimento. Tantomeno il divismo canoro e direttoriale.

:arrow: quali sono le sue evoluzioni?


Basta. Sono cotto.

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Re: Tannhauser - Gambill, Nylund, Lenhoff - Blu-Ray Arthaus

Messaggioda pbagnoli » mar 21 giu 2011, 22:21

Maugham ha scritto:
Se mettiamo sotto questo nome tutti i registi che vedono il teatro d'Opera come un laboratorio dove studiare le potenzialità di un titolo per consentirgli di dialogare con la nostra epoca... allora tutti fanno del "regietheater" :)

Quoto questa sola affermazione del tuo interessantissimo discorso - di cui ti ringrazio, perché mi hai aiutato a fare chiarezza sul tema - perché entra come una lama nel problema della regia.
Cos'è, oggi, la regia nel teatro d'opera?
Ma soprattutto: cos'è ammissibile?
La mera e pedissequa reiterazione delle indicazioni del librettista e dell'autore?
Se la risposta fosse "sì", ne vedremmo delle belle davvero... Tu stesso dicevi l'altro giorno che lo stesso Wagner ebbe da ridire sull'ipotetico rispetto delle sue didascalie.
Se la risposta fosse "no", apriremmo di fatto la strada a qualunque beceraggine in puro Bieito style (assumendo il "povero" Calixto come archetipo prototipo di tutte le schifezze).

Come ho raccontato un sacco di volte, forse anche su queste pagine, io ho iniziato a interessarmi di regia nel teatro d'opera grazie alla maieutica del GM che mi portò agli Arcimboldi a vedere i Dialogues di Carsen. Fu una folgorazione. Ricordo che la scena che mi colpì maggiormente fu quella del parlatorio, fra Blanche e il fratello, con le altre suore che lentamente e solennemente si coprivano il volto mettendosi in fila a simboleggiare le grate, con un taglio di luce attraverso a creare ombre misteriose, ma soprattutto a separare i due fratelli, clausura inestricabile; e questa fu la scena che mi affascinò più di tutte, forse ancora più del finale incredibile. Da allora ho approfondito il discorso in modo talvolta autonomo, ma più spesso accompagnato. Il linguaggio teatrale spesso è di difficile decifrazione, ma anche questo è un portato dei nostri tempi. L'altro giorno mi sono trovato a seguire una videoclip di un brano musicale contemporaneo - non chiedetemi quale, non lo ricordo - e la videoclip mi era ancora meno comprensibile dei congiurati seduti sul cesso nel Ballo in maschera di Bieito: eppure ai ragazzi so per certo che piace.
Perché?
Sono più avanti di me nella decifrazione dei simboli e del linguaggio del regista?
Sono più portati all'associazione fra parole, musica e immagini?
Oppure perché è un linguaggio moderno e comprensibile a loro e non a me?
E perché questo tipo di regietheater va bene, mentre applicato all'opera non dovrebbe andare bene? A che titolo? Perché nell'opera tutto deve essere immediatamente comprensibile e senza problemi, mentre nella canzone moderna no? Perché lo spettatore d'opera non deve fare fatica a cercare di capire un simbolo o un segno?
'nsomma, le domande sono tante, me ne rendo conto. D'altra parte è un argomento importante, no?
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