DA ALTRO THREADMatMarazzi ha scritto:
Epperò... se il telefono smettesse di suonare, mi piacerebbe sinceramente sentire le tue opinioni in merito.
E' un discorso piuttosto vasto che la comunità del forum ha già affrontato e che non ho ancora letto interamente. Perdona quindi le ripetizioni.
Cerco di esprimere il Maugham-pensiero
in materia premettendo che non ho visto poi molto, in opera, e che non giro altrettanto molto. Quindi le mie esperienze sono legate soprattutto al video.
In cima alla piramide ci sono i registi d’opera "veri", come li definisci tu. Ce ne sono di grandi, di immensi, di piccoli, di piccolissimi. Hanno però un dato che li accomuna. Si tratta di artisti di grande intelligenza e cultura, che conoscono bene la sintassi dell’opera, hanno concetti più o meno originali (non importa) ma sanno comunque organizzarli in una poetica perfettamente riconoscibile. Sotto il profilo delle tecniche di palcoscenico sono dei magnifici professionisti e sanno far recitare anche un tronco. Quando raggiungono alti risultati i loro spettacoli sono una perfetta fusione tra musica, scene, luci, tempi comici o drammatici. Rivelano lati nascosti di opere che pensavi di conoscere a menadito, ti ribaltano prospettive, ti fanno sorgere domande. Insomma, mandano avanti la storia dell’opera nel nostro tempo. Poi, come dicevo, non metterei sullo stesso piano Carsen e Mussbach o Pelly e Boussard. Ma, senza dubbio, sono registi autentici. E te ne rendi conto anche quando sbagliano uno spettacolo. Non "svaccano" mai.
Poi ci sono (non in gerarchia, ovviamente) i registi che io chiamo “di tendenza” a cui offro diritto di cittadinanza ma che mi interessano il giusto, più come fatto di costume che di cultura. Tra i tanti, ad esempio Kusej, Bieito, Nel, tanto per restare in tema. Si tratta di artisti o anche solo di abili professionisti che si esprimono attraverso segni grafici più o meno incisivi. Con loro non è –o magari non è ancora- possibile parlare di poetica perché questi segni, riconoscibili immediatamente in quanto parte del nostro quotidiano, sono solo giustapposti e a volte nemmeno sviluppati. Si tratta solo di topoi presi dalla cultura maistream e delle mode più popolari del momento senza particolari elaborazioni. Pescano nel mondo delle convenzioni, dei trip, dei giovanilismi più smaccati e popolari, dei videogiochi e a volte confezionano il tutto con una buona dose di furbizia. Non sono mica visivamente brutti i loro spettacoli, intendiamoci!, semmai sono poveri di contenuti. Di solito questi registi, che ti immagini intenti a creare in qualche loft minimalista berlinese con le scrivanie di Alvar Alto, hanno un'ossessione che informa tutte le cose che fanno. Kusej, tanto per citare il già citato, è ossessionato dalla claustrofobia e dal sesso visto come sterile coazione a ripetere quindi priva di significato.
Altri hanno, butto lì, il circo, l'ecologia, il militarismo, il multietnico... Quando quest’ossessione viene applicata a tappeto le forzature sono evidenti. Si tratta comuque di personaggi che parlano un linguaggio "tecno-estetico" proprio del nostro tempo e, se imbroccano lo spettacolo, come Kusej in Elektra o Bieito nel Wozzeck, si fanno ricordare. Quando toppano, o sono fastidiosi o semplicemente innocui. A volte il presunto aggiornamento di linguaggio di cui si fregiano è semplice giustapposizione. Come se un editore pubblicassi una nuova versione della Certosa accompagnando il testo di emoticons tanto per far vedere di essere al passo con i tempi.
Infine ci sono i registi che io definisco “arredatori”, ovvero quelli per cui una regia d’opera si esaurisce solo nella scenografia, nei costumi e nell’attrezzeria.
Sia che facciano la cartolina Liebig o spendano capitali in pedane, ascensori, macchine idrauliche, pareti mobili, gira e volta, tutto finisce lì. Non c’è sviluppo, lavoro sui personaggi, drammaturgia. Amano le ambientazioni astratte poi i cantanti -lasciati a loro stessi- gesticolano come se fossero in un allestimento di Benois. I più aggiornati sotto il profilo tecnico lavorano molto con il multimediale (schermi, pannelli al plasma, proiezioni, laser) utilizzando questi mezzi per coprire, a volte, vuoti d’ispirazione o snodi teatrali di cui non sanno come venire a capo. Di tutti sono per me i più insidiosi perché, se il regista di tendenza nel bene o nel male comunque si espone, questi invece sanno come nascondersi nello sfarzo della confezione che, quasi sempre, è di gradevole impatto estetico per pubblico e stampa. Un esempio per me lampante di questa categoria è il neonato Ring della Fura a Firenze.
Ultimi, metto i simbolisti e i ricercatori attempati (Nekrosius), alcuni ancora fermi a Grotowsky e Artaud che, detto per inciso, è roba di un secolo fa. Loro procedono per enigmi, vedere i loro spettacoli è come fare i rebus su un giornale enigmistico.
Ovviamente la mia divisione in categorie non è fissa.
C'è chi trasmigra da una famiglia all'altra, c'è invece chi non trasmigra mai, c'è chi è salito in su e in giù....
Saluti
Willie