DottorMalatesta ha scritto:Per inciso, se vuoi dire la tua su quel Tristano (di cui ho scritto in home in occasione della ripresa torinese) c´è`un thread dedicato:
viewtopic.php?f=6&t=2478
DM
Cessi al cortese invito... Con una premessa: pur avendo visto questo spettacolo per ben tre volte (una delle quali è stata la più bella serata d'opera della mia vita, per motivi diciamo così...sentimentali
), essendosi trovato in concomitanza con l'Onegin di Zurigo e il Don Carlos parigino, non ho avuto il tempo necessario per rifletterci sopra:proverò quindi a getterarvi le mie impressioni abbastanza confusamente senza la pretesa di scrivere una recensione.
Guth era il motivo di principale interesse di questo spettacolo, già decisamente entrato a buon diritto nella storia dell'opera: devo dire che è stata un'aspettativa non smentita. Non mi dilungherò nel descrivere il complesso konzept registico, già magistralmente sviscerato in queste pagine; vorrei solo sottolineare l'aspetto per me più straordinario e storico di questo allestimento: vista la complessità simbolica di quest'opera, la tendenza generale è quella di creare ambientazioni astratte,riempire il palco di trovarobato il cui significato simbolico rimane piuttosto criptico, predisporre un piano luci volto a creare cinquanta tipi diversi di buio, a cui fa da contraltare una staticità generale e una noia che si taglia a fette. Questo modo di fare regia (con diversi livelli di riuscita intendiamoci, Cherau non è Audi!), riconducibile a un modello all'epoca rivoluzionario (mi riferisco ovviamente alla Neue Bayreuth di Wieland), può salvarsi secondo me solo se ci si affida a interpreti assolutamenti outstanding, altrimenti il fallimento è garantito. Qui di eccezionale non c'era proprio nessuno, essendoci artisti nella migliore delle ipotesi buoni professionisti, nella peggiore completamente inadeguati, eppure le cinque ore volavano letteralmente via, merito di uno spettacolo dinamico, curatissimo, di impatto immediato, che non riununcia a una lettura simbolica (la quale anzi assume nuova freschezza), ma utilizza una simbologia chiara a chiunque ma allo stesso tempo forte e incisiva, impiantata così su solide basi realistiche di facile immedesimazione. Per questo, come qui ripetutamente sostenuto, non si può affatto ridurre la lettura di Guth a una chiave borghese/realistica, nè a un semplice revival biografico (ho sentito anche questo a teatro), così come l'Ariadne zurighese non era certo la storia di clienti e camerieri di un facoltoso ristorante: tutto l'armamentario filosofico era presente e sottolineato benissimo, molto più che in qualunque altra lettura simbolica, ma, per fare un esempio, mai un terzo atto mi è sembrato così breve e ricco di dinamismo!
Gli altri tutti un gradino sotto. Noseda non concerta male, l'orchestra suona anche più che dignitosamente (meglio che a Roma l'anno scorso secondo me), ed io forse, a differenza di Francesco, ero molto prevenuto, viste le negative prove precedenti (Manon Lescaut, Aida, Simone). Certo, il primo atto è abbastanza tirato via (curioso come in ognuna delle tre sere sia stato impostato in maniera molto diversa: cauto e misurato la prima, lento e sbrodolato la seconda, frenetico e parossistico la terza), e negli altri c'è una certa frenesia che spesso si traduce in superficialità (senza essere per niente d'aiuto ai cantanti). Eppure, considerando anche che era un debutto, meglio così che cadere nel trappolone di fare il Grande Direttore della Grande Tradizione Tedesca, spappolando e dilatando tutto all'inverosimile facendo il verso a Furtwängler. Se non altro l'ascolto era abbastanza piacevole e la serata non presentava sacche di noia.
Seiffert alla prima era veramente inascoltabile, vi risparmio i particolari di come ha massacrato il terzo atto. Molto meglio vocalmente la terza sera, con pochissime difficoltà, quasi meglio di Gould a Bayreuth. L'interprete però è molto generico, e l'attore è quasi imbarazzante. Molto meglio Vinke che continua a stupirmi ogni volta che lo ascolto (mi colpì più che favorevolmente nel Sigfried della sacra collina). Regge benissimo la parte, la voce è bella e ci sono intuizioni interpretative assolutamente non secondarie, soprattutto nel duettone. Delle donne meglio la Nicholls della Merbeth, la quale forse può vantare un colore di voce più bello nella zona acuta, ma assolutamente impari alle difficoltà anche solo vocali del ruolo. Come interprete poi siamo quasi al nulla. La sua collega secondo me si conferma, dopo la bella prova romana, un prospetto più che interessante per il futuro: alcune frasi è vero sono buttate via, e raramente esprime il calore femminile che la giovane irlandese deve avere (Wesbroek
) però la sicurezza su tutta la gamma è notevole e non si nota mai un momento di cedimento. Così così la Brängane, ottima però come attrice nella complessa lettura che Guth da al suo personaggio. Ottimi Kurwenal e Marke (incredibile come sia volato il terribile monologo del secondo atto, anche merito della regia). Successo non troppo entuasiastico, e teatro che purtroppo si svuota sempre durante gli intervalli.
E niente, neanche stavolta sono riuscito a evitare una sbrodolata, spero che qualcosa sia comprensibile. Devo ancora abituarmi a uno stile di scrittura più rapido, essenziale da spazio virtuale.