da reysfilip » lun 21 ago 2017, 23:00
Vi riporto qui qualche impressione di 3 spettacoli visti a Salisburgo nei giorni scorsi.
VENERDI: ARIODANTE
Dite quello che volete, ma questa produzione pensata per lo scorso Festival di Pentecoste è un capolavoro. Inevitabile che tutto giri intorno a lei, la Bartoli, che affronta per la prima volta il ruolo di Ariodante. E lo affronta come lo affronterebbe lei: coloratura spericolata e snocciolata nitidamente nelle arie incalzanti, suoni eterei, schiariti, colorati all'ennesima potenza là dove il ritmo si fa largo. Ed ecco uno "Scherza, infida" che gareggia in sfumature con quello sensazionale inciso dalla Von Otter con Minkowski. Solo che qui siamo in teatro, e la Bartoli è supportata dal giovane Gianluca Capuano, il quale, dopo aver diretto benissimo Idomeneo a Pistoia lo scorso maggio, qui sbalordisce per come affronta una partitura piena di contrasti rendendo scatenati gli archi nell'accompagnamento di "Mi palpita il cor", e allo stesso tempo riesce ad alleggerire la trama orchestrale fin quasi al soffio nel già citato "Scherza infida".
Detto ciò il cast di contorno è di livello altissimo. Kathryn Lewek fa una Ginevra completa sia vocalmente che scenicamente, oltre a essere bellissima. Sandrine Piau è una Dalinda ormai rodata ma perfettamente funzionante. Christophe Dumaux è un Polinesso sensazionale con una linea veramente invidiabile. Villazon non è abituato a questo repertorio, e si sente qualche difficoltà in alcuni passaggi, ma alla fine tiene la linea con notevole maestria e realizza un Lurcanio scenicamente pazzesco, tormentato nell'animo come poche volte si vede.
Loy realizza uno degli spettacoli più interessanti della sua carriera. Una sorta di viaggio nell'ambiguità sessuale dei ruoli en-travesti, per cui Ariodante inizia come uomo perfetto, ma dal finto tradimento, i dubbi lo trasformano nella sua controparte femminile. Il tutto è corredato da un qualche riferimento all'Orlando della Woolf, in un teatrino dal doppio livello: borghesotto e moderno da un lato, settecentesco e parruccoso dall'altro. Da qui la coppia principale finirà per uscire accettando ognuno la sua controparte femminile o maschile. Per quanto il concept possa risultare un pasticciamento misto di Carsen e Guth, lo spettacolo tiene e le 4 ore filano in modo eccelso. Grande rilievo è dato ovviamente alle scene di Ariodante con due momenti incredibili: Ariodante che durante lo "Scherza infida" abbraccia il vestito di Ginevra e in cui sarà costretto a mettersi, e il "Dopo notto atra e funesta" in cui il protagonista chiede di accendere un sigaro e incita i servi con la coloratura usata in modi espressivi e quasi comici.
Inutile dire che alla fine viene giù il teatro.
SABATO: La CLEMENZA DI TITO
Sabato pomeriggio. Piove. Entriamo alla Felsenreitschule, uno dei luoghi più incredibili dove abbia mai visto un'opera. Ancora non sapevo che il giorno dopo ci sarei rientrato.
Lo spettacolo di Sellars-Currentzis (inscindibili secondo me in questa creazione) è bellissimo. Un inno corale e laico, o comunque over-religioso, alla compassione umana come raramente se ne sono visti. Tuttavia non sempre le aggiunte famose funzionano e qualche volta l'attenzione cede. Si passa da momenti di una bellezza straordinaria, ad altri di cui non si capisce il senso. In tutto ciò fa da padrone, la massa, la collettività del fantastico coro in cui i singoli non si annichiliscono, ma trovano la forza di reagire e affrontare le complesse situazioni che si sono create. E tutto viene stemperato in questo amore per l'uomo che porta Tito addirittura a staccare le macchine che lo tengono in vita pur di non affrontare nuovamente i tormenti pubblici e privati che finiscono per assillare un regnante.
Curioso il confronto con la Clemenza che Guth ha realizzato contemporanemente a Glyndebourne vedendoci un continuo tentativo di riconciliazione tra i due amici, in una netta distinzione tra parte pubblica-artificiale e mondo (naturale) degli affetti sinceri, quasi preclusi a Tito e a cui egli stesso anela. Guth separa i mondi, Sellars li unisce.
La direzione di Currentzis è estrema, e a mio avviso quasi paradigmatica: laceratissima, contrastatissima, virtuosistica. Chi dice che non ha senso del teatro dovrebbe vedere l'intesa che c'è nell'aria di Sesto "Parto, ma tu ben mio" tra direttore, clarinettista e mezzo-soprano: uno dei più alti momenti di teatro in musica che io abbia mai visto, complice anche una Crebassa straordinaria, che ha primeggiato sul resto del cast, non sempre all'altezza della situazione purtroppo.
DOMENICA: LEAR
Gran finale e botta di fortuna, entriamo anche alla prima del Lear. Il cast è una roba epocale sulla carta e 3 debutti mi azzarderei a definirli già storici. Il primo è Finley nella parte principale, creata per Fischer-Dieskau; un'aderenza scenica e vocale mai vista, domina la scena con semplicità e carisma allo stesso tempo, disegnando un gigante che finisce per annichilirsi nella follia. La seconda è la Goneril di Evelyn Herlitzius, perfettamente a suo agio in questa parte creata dalla Dernesch, vocalmente saldissima, scenicamente ottima come era intuibile. Incredibile anche Charles Workman che si butta nella parte arduissima di Edmund con una facilità e una tenuta invidiabili. Nel resto del cast si distinguono il Gloster di Lauri Vasar, il Kent di Matthias Klink, e l'Albany di Derek Welton. Molto brava anche la Prohaska come Cordelia anche se messa un po' alla frusta in alto, mentre Gun-Brit Barkmin si porta a casa il ruolo di Regan, ma rimane un notevole esempio di miscast, essendo quella parte scritta per una ex-Konstanze. Per questo motivo la Barkmin viene un po' cannibalizzata dalla Herlitzius pur dimostrando una tenuta vocale a dir poco invidiabile.
Welser-Moest dirige in modo ingessato la partitura monstre: gli manca il nerbo, il senso teatrale e di frustata che questo repertorio vorrebbe. L'effetto è spesso quello di una pappa informe.
Bellissimo ed efficacissimo invece lo spettacolo di Simon Stone, al suo debutto nella regia d'opera. Scenicamente impeccabile, tutto fila su questa piattaforma, prima fiorita e poi asettica, in una sequela di immagini di ascendenza estetica quasi BarrieKoskiana. E le immagini sono fortissime, di sicuro impatto, tanto che rimani incollato alla sedia in attesa del prossimo colpo di scena. Bellissimo il vagare di Lear nella brughiera sotto una vera pioggia battente, sconcertante e tremendamente reale l'inizio della seconda parte in quella che diventa una vera e propria macelleria umana di offese fisiche e sanguigne. Peccato che perda un po' di enfasi nel massacro finale, ma alla fine si lascia il teatro con un effetto di pugno nello stomaco.
In sostanza, a Salisburgo il cambio di rotta si sta rivelando propizio ed è la dimostrazione che osare spesso paga.