da LeProphete » lun 23 mag 2016, 11:11
Ero presente dunque ieri pomeriggio e, grazie a un’offerta rivolta agli abbonati under30 della Scala, ho potuto assistere allo spettacolo da un palco di proscenio il che mi ha dato modo di ammirare e gustare i numerosi dettagli di questa sublime produzione. Mi duole però riferire che il teatro contava praticamente il 50% di posti vuoti, ma per lo meno non si sono verificati fuggifuggi dopo la prima operina, anzi il pubblico era caldo e ha festeggiato con ardore il successo dello spettacolo.
Il pomeriggio si è aperto con “L’heure espagnole”, operina buffa che si chiude proprio nel giro di un’ora scarsa, rappresentata per la prima volta il 19 maggio 1911 all’Opéra-Comique in accoppiata con la “Therese” di Massenet. Il soggetto è tratto dalla commedia omonima di Franc-Nohain (pseudonimo dello scrittore Maurice-Étienne Legrand, che sarà poi lo stesso librettista dell’opera di Ravel), rappresentata all’Odéon di Parigi nel 1904 con buon successo: una pièce brillante, quasi boccaccesca, ambientata in una bottega d’orologiaio nella Toledo del XVIII secolo che racconta una giornata giornata della seducente Concepcion, intenta ad approfittare dell’assenza del marito per ricevere i suoi innumerevoli spasimanti. Ravel doveva essere ben familiare con le storie spagnole poichè sua madre era basca. Ne nasce così una piccola gemma del genere, una eroticizzante commedia degli equivoci. Il cast scritturato dalla Scala vantava la presenza di Stéphanie D’Oustrac nel ruolo dell’ammaliante Concepcion, vero motore e punto di forza della produzione. Non da meno i “suoi” uomini: il marito Torquemada prendeva le forme marionettistiche in Jean-Paul Fouchécourt; Gonzalve, l’amante macho e latino, aveva la voce di Yann Beuron; l’ingenuo ma prestante Ramiro era Jean-Luc Ballestra mentre don Inigo era personificato da Vincent Le Texier. Non erano certo nomi conosciuti dalla maggior parte del pubblico, ma sicuramente sufficientemente noti agli appassionati di lirica: la D’Oustrac ci sta lasciando delle prove veramente superbe nel barocco, così come Fouchécourt, Ballestra e Le Texier sono davvero impareggiabili nei ruoli cardini del repertorio francese. Un cast affiatatissimo di attori-cantanti che ha saputo divertire e stupire il pubblico.
Dopo un doveroso intervallo per il cambio scene, ci ha atteso “L’Enfant et les sortilèges”, singolare racconto coreografico di grande impatto onirico. Nacque da un’idea della scrittrice Colette, che propose il soggetto al direttore dell’Opéra di Parigi in quale individuò in Ravel il musicista più adatto cui sottoporre il progetto. Ravel esitò molto prima di comporre. Dopo un lungo lavoro, la partitura fu messa in scena con entusiastico successo all’Opera di Monte-Carlo il 21 marzo 1925, con le coreografie di George Balanchine e la direzione di Victor De Sabata. La trama è semplice: un bimbo capriccioso viene castigato dalla sua mamma a stare da solo fino all’ora di cena. Il bimbo si addormenta e conosce le personificazione degli oggetti e degli animali ai quali spesso tira numerosi scherzi. Capisce così i propri errori e viene perdonato. Il bimbo ha avuto un’interprete di lusso in questa produzione: il mezzosoprano Marianne Crebassa. È un bambino davvero multiforme: dispettoso, curioso, poi si fa rispettoso, capace di cambiare e migliorarsi. Un’interprete davvero che è a tutto tondo, e supportata da un timbro davvero meraviglioso. Armelle Khourdoȉan interpreta davvero brillantemente i tre ruoli più complessi (Le feu, La princesse, Le rossignol) dell’operina, senza alcuna difficoltà causata sia dell’impervio registro (Le Feu), sia dalla pigolanza (Le rossignol), sia dalla lagnanza (La princesse). La mamma, la tazza cinese e la libellule hanno avuto voce posata e mai sopra le righe di Delphine Haidan. Jean-Paul Fouchécourt è stato un bravissimo vegliardo ma anche spettacolare nel ruolo della teiera boxeur nonchè simpaticissimo ranocchio; Jean-Luc Ballestra e Stéphanie D'Oustrac sono stati ottima coppia di mici. Stéphanie D'Oustrac ha saputo essere anche un timidissimo scoiattolino mentre Ballestra è stato un saltellante orologio memore del coniglio bianco di Alice. Jérȏme Varnierè è stato corretto nel ruolo del divanetto mentre ottimo in quello dell’albero. Buona Anna Devin nel ruolo della poltroncina (Bergère) e fantastica onomatopeicamente in quello del pipistrello. Altri ruolo son stati sostenuti dagli allevi dell’accademia di canto: Fatma Said quale pastorella, Chiara Tirotta quale pastore e Elissa Huber quale gufo. Il coro di Bruno Casoni ha interpretato davvero in modo eccellente le multiformità richiesta: i pastorelli della carta da parati, le voci bianche in quello dei numeri e spettacolare il coro finale del bosco.
Marc Minkowski ha saputo ben differenziare le due opere. Nella prima è riuscito a scomporre perfettamente ogni ritmo richiesto, con abilità e grande senso drammarturgico. Sin dall’inizio si percepisce infatti il ruolo del tempo: un tichettio costante è quasi presente nella partitura, e che indica alla bella donna che il tempo stringe e, anche se il marito è davvero un bel tonto, ha poco tempo per far quel che deve fare con l’amante. Il direttore francese ha perfettamente in mano l’orchestra e la partitura: con estrema eleganza di gestualità ci porta abilmente nella Spagna musicale, sottolineando con giusto accento le numerose danze iberiche; inoltre ci da un perfetto quadro musicale dei personaggi e delle azioni in gioco. Superlative sono le rese dei momenti maggiormenti onomatopeici: il momento in cui Ramiro descrive con l’orologio si salvò da un’incornata di toro e lo strabiliante modo con cui il giovane estrae il pingue don Inigo dalla pendola.
Di contro in “L’Enfant et les sortilèges” Minkowski opta per una lettura notturna e fantasmagorica della partitura, e il momento più riuscito è sicuramente la seconda parte, in cui troviamo pennellati con maestria l’inquietudine della notte nel bosco e le sue presenze animali, nonchè il bellissimo e struggente corale finale, a parer mio il momento più alto dello spettacolo. Ovviamente da non dimenticare sono tutti i momenti in cui i singoli personaggio vengono rappresentati e descritti con una molteplicità di timbri e ritmi mai uditi prima a teatro.
Il vero motore della produzione è però il superbo e succolento spettacolo di Laurent Pelly e del suo team creativo. È praticamente impossibile descrivere ogni singolo dettaglio di questa prestigiosa produzione, e non basterebbero pagine per entrare nel merito di tutto. Una cosa va sottolineata: conoscevo la produzione grazie al DVD di Glyndebourne ma da vicino e dal vivo ho potuto vedere come risolveva con la mimica facciale e il trucco singoli elementi altrimenti difficilmente riproducibili. Credo che il livello massimo di cura nel dettaglio sia stato nella scena della carta da parati: nei punti in cui sono disegnati i volti dei pastorelli e personaggi della carta erano dislocati degli oblò che si apriravano e pastorelli in carne e ossa cantavano la propria parte. Davvero meraviglioso!
Per chi può, uno spettacolo da non perdere assolutamente!