Carissimo Fadecas,
il tuo post mi offre un'infinità di spunti emozionanti, perché si collegano a tante considerazioni che ho fatto e che faccio su questa Francesca da Rimini Genceriana, che considero una "folgorazione" nel percorso dell'artista turca, una riuscita talmente imprevedibile e lontana dal suo abituale repertorio da non essere ancora riuscito a spiegarmela adeguatamente.
fadecas ha scritto:non si meraviglia di come la Gencer, evitando sistematicamente tentazioni di tipo “verista” a cui era intimamente aliena, sapesse infondere alle figure un po’ marginali del teatro di fine ‘800 una plasticità di rilievo, una rupestre e altera riservatezza, parente in fondo della regalità dolente e corrucciata delle sue eroine donizettiane, che nella gravità dell’affondo timbrico si stagliavano con perentorietà.
Tutto quel che dici è giusto, anche se l'ultima frase (il rapporto alle regine donizettiane) mi lascia perplesso.
Mi lasciava perplesso anche da ragazzo, quando leggevo il commento (bellissimo) di Gianni Gori agli lp di questa Francesca della serie "Documents" della Fonit Cetra.
Anche lui metteva in relazione la "regalità" della Gencer con questa Francesca, regale a sua volta benché incoronata solo di "sfiorite violette".
Eppure io non ci ho mai creduto veramente.
Io sentivo in questa Francesca (che è una delle due o tre incisioni genceriane che amo di più, degna di stare al livello del Devereux napoletano, della Battaglia o della Stuarda fiorentina, della Jerusalem veneziana) qualcosa che non ho mai più trovato da nessuna parte, uno stile, un eloquio, un modo di assaporare la frase con mille artifici ritmici e coloristici ma senza mai venir meno a una naturalezza, una "verità" che non ho mai più ritrovato in nessun personaggio genceriano.
...E tu sai (anche se temo che non concordi) che se devo cercare un limite nella Gencer è proprio nel fatto che alle volte, anzi spesso, non la sento "naturale", quanto fieramente consapevole delle proprie maschere o delle proprie corone (è per questo che le sue regine ronzi de begnis sono per me un fatto culturale prima ancora che vocale).
Niente di tutto questo trovo nella Francesca.
Artifici? Sofisticazioni? Manierismi? Un mare, come sempre.
La sua grandezza sta proprio in questo.
Analizzando singoli scampoli di frase ("guardate il mare come si fi bianco" o "e buona ventura Iddio vi dia, all'uno come all'altro" o "forse io lo vidi") si resta inebetiti dagli infiniti ricami, dall'appoggiarsi sul ritmo (non al modo delle veriste, ma nemmeno delle belcantiste), dalle gradazioni cromatiche e dinamiche che avrebbero choccato persino una straussina, da quel sottolineare ogni consonante, quell'assaporarla con una voluttà che nemmeno un'italiana avrebbe potuto provare, fino a stravolgerne alcune "ah, tu mi svegli" diventa "ah, tu mi z(esse dolce)vegli.
Quindi artifici a gogò.
Eppure... eppure tutto è talmente fluido, vero, umano, fragrante, vivo!
Se si aggiunge la modernità dell'accento e quel suono roccioso, talvolta aspro, che esalta il cotè barbarico del contesto, si potrebbe porre questa Gencer sulla linea di una Muzio piuttosto che di una Somigli.
Tutti gli aspetti che le preme sottolineare del personaggio (la sensualità, l'abbandono, la fierezza, la grandiosità indifesa, la passione che - per dirompente - non delude mai il compiacimento mentale, persino morboso), tutti questi aspetti, dicevo, si intergrano e interagiscono in un ritratto di umanità e di verità che io non sono più riuscito a trovare in nessuna eroina genceriana, nemmeno le sublimi e torbide tiranne del maturo Donizetti.
Sì certo: in comune c'è l'affondo timbrico di cui parlavi. Eppure non basta: questa Francesca è a parte, sfugge a tutte le sintesi e a tutte le definizioni che - in trent'anni di ascolti - sono riuscito a cucirle addosso.
Svela lati del suo essere cantante (e checché tu ne dica, del suo essere donna) che in ogni altro ruolo abbia sentito da lei mi resta nascosto.
Pensa che a un certo punto (non sapendo come giustificare lo strepitoso risultato di questo disco) ho pensato di convincermi che il suo vero mondo fosse questo, più ancora dell'Ottocento.
E che Verdi, Donizetti fossero altri ambiti, meravigliosamente esplorati, ma non tali da rivelare la vera natura dell'artista.
E così mi sono buttato alla ricerca di ...qualcosa che potesse assomigliare a questa Francesca.
La stessa Gencer in Puccini (Butterfly, Tosca, Liù, Suor Angelica) è completamente diversa e mai a questi livelli.
In altri ruoli veristi o naturalisti (Adriana e Santuzza) la Gencer non solo non metteva in discussione la sua tipica retorica (quella donizettiana e verdiana) ma ne provocava lo schianto su di un linguaggio per lei incomprensibile.
Ho scandagliato Gioconda (ipotizzando una consequenzialità fra la Pantaleoni e il sublime dannunziano, fra Boito e la Duse...) ma niente da fare: qualche scintilla "francescana" l'ho trovata solo - in parte - in "Amor dono funesto".
Il suo Angelo di Fuoco è straordinario, ma certi colori sono più vicini alla Battaglia di Legnano o al primo Macbeth (quello di Palermo) che non a questa Francesca.
Mi sono fiondato su Bartok, Chopin e Poulenc, sperando che almeno nella musica da camera riaffiorasse quel taglio così singolare, nobile, corrucciato (come dici tu) ma anche cedevole, languidamente aristocratico, irresistibilmente femminile.
Ma niente da fare: splendida in tutti questi autori (Chopin in particolare) ma sempre diversa, sempre la Gencer che conosco io, che gioca di rimandi, che alterna le maschere, che incenerisce e ammicca con lo stesso sguardo.
Allora ho pensato che forse, negata al naturalismo (come tu giustamente dicevi) la Gencer traesse l'ispirazione per la sua Francesca proprio dalle suggestioni verbali, musicali e post-romantiche del decadentismo.
E infatti, sia pure assolutamente non agli stessi livelli, mi pare che proprio la Falena di Smareglia dimostra una certa continuità: è una Gencer molto declinante, appesantita, eccessivamente retorica, ma abbandonata alla più grandiosa malinconia, all'inutilità del vivere, a tratti struggente e nel finale irresistibilmente fragile ("Stellio... aiuto... addio").
Purtroppo non ho mai sentito il suo Pizzetti (Assassinio, Straniero, il monologo di Fedra cantato una sola volta).
Mi sono spesso fermato a riflette cosa avrebbe prodotto la Gencer a contatto con le origini vere di quel mondo (Wagner) ma sono arrivato alla conclusione che non sarebbe stato convincente.
Aveva troppo bisogno del filtro "post" wagneriano, dello schermo manierista che la sofisticazione dannunziana poteva donarle.
Resta il fatto che la grandezza di questa Francesca ha pregiudicato per me, definitivamente, la possibilità di apprezzarne altre.
Non ho sentito la Olivero scaligera (che tu descrivendola mi hai messo gran curiosità di conoscere) ma devo ammettere che i brani scelti della DECCA mi avevano già sufficientemente persuaso.
Ferme restando le critiche che le rivolgi, io ero già rimasto estasiato dalla mobilità del canto e da quella varietà di spunti sonori che non temevano il confronto con la Gencer... la Olivero merita il titolo di Francesca di riferimento. E tuttavia, lo devo ammettere, la verità che ho sempre sentito nella Francesca della Gencer, io nella Olivero non l'ho trovata.
Mi fido di te sulla netta superiorità della prima Olivero rispetto alla seconda, come sulla bravura della Kabaywanska in questo ruolo.
Al termine di simili dissertazioni, sarebbe bellissimo mettere on line (a profitto di tutti) alcune frasi e frammenti di queste tre Francesche.
Io purtroppo ho in cd solo la Gencer. Tu potresti ridurre in mp3 qualche frammento e mandarcelo?
mi chiedo se, in un ruolo come Francesca – ma potrei citare una galleria di altri ruoli italiani tardoveristi altrettanto protesi verso suggestioni novecentesche non lontane da influssi d’Oltralpe, da Parisina alla Fiamma – l’apporto di un’interpretazione mutuata sui modelli di canto “declamato” alla tedesca, di tipo wagneriano-straussiano, che i gestori di questo forum propugnano di frequente con fervido accanimento, non avrebbe potuto o potrebbe riservare delle svolte pertinentemente innovatrici.
E' un problema che mi sono posto frequentemente.
Ti risponderò a parte!
Per ora salutoni,
Matteo