In memoriam

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Re: In memoriam

Messaggioda DottorMalatesta » lun 21 dic 2015, 17:00

DocFlipperino ha scritto:Un ricordo del Direttore d'Orchestra Kurt Masur scomparso sabato.



Direttore che non ho mai amato più di tanto, perlomeno nel repertorio operistico (Ariadne, Fidelio). Ho avuto modo di ascoltarlo dal vivo due o tre volte. L´ultima qualche anno fa a Verona in una serata tutta beethoveniana in cui diresse davvero molto bene.

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Re: In memoriam

Messaggioda DottorMalatesta » mer 06 gen 2016, 19:03

Purtroppo ieri è morto l´immenso Pierre Boulez.

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Re: In memoriam

Messaggioda mattioli » mer 06 gen 2016, 20:28

Si fa presto a dire: aveva 90 anni, era malato, ce l'aspettavamo.
Il dispiacere è fortissimo lo stesso.
Io riesco solo a dire: grazie.

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Re: In memoriam

Messaggioda Don Giuseppe » gio 07 gen 2016, 12:13

R.I.P., con grande dispiacere per l'uomo e per l'intellettuale.
Muore con Boulez l'ultimo esponente dell'utopia (ma per quanto mi concerne distopia) novecentesca, estrema propaggine dell'individualismo romantico: la musica come pura intellettualità avulsa dalla gratificazione edonistica ed emozionale.
Rimpiangeremo Boulez soprattutto come direttore d'orchestra, ma le avanguardie del Novecento - a mio modestissimo parere - verranno viste in futuro come una semplice curiosità storica e scompariranno completamente dal repertorio (come del resto già sta avvenendo) nel giro di un paio di decenni. Molto più moderno, anzi "contemporaneo", Sardelli che compone salmi e concerti in puro stile vivaldiano. Ma quest'ultima prendetela come una pura provocazione... :roll:

Saluti.
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Re: In memoriam

Messaggioda teo.emme » gio 07 gen 2016, 12:55

Con tutto il rispetto, Don Giuseppe, credo che immaginare la musica contemporanea come parentesi intellettualistica, sia errato e fuorviante. E' illusorio pensare che la musica colta post-weberniana sia destinata a sparire a favore di un linguaggio vagamente "orecchiabile" proprio della musica di consumo. Innanzitutto perché quello spazio è occupato da altri generi musicali (Musical, colonne sonore, pop-rock), che sono cosa diversa dalla musica colta e rispondono pienamente alle esigenze popolari. Del resto già nell'800 la musica colta iniziò a distaccarsi dalla musica di consumo. Quindi c'è da intenderci: cosa sparirà secondo Son Giuseppe? Tutto il linguaggio derivato dal serialismo? Schoenberg, Berg, Webern? Colpevoli di non riprodurre rimasticature di Puccini e Strauss? E ancora illusorio è pensare che la morte di Boulez interrompa quella ricerca sul linguaggio musicale che dalla dodecafonia in poi si è sviluppata nell'evoluzione della musica contemporanea: non c'è solo Boulez (compositore che appartiene ormai al XX secolo), ma anche Henze (scomparso da poco) e i grandissimi Rihm e Reimann. La musica colta contemporanea non può e non deve ricalcare formule già superate perché risulterebbe falsa e artificiosa: è ben più falso Sardelli che scrive nel 2015 scopiazzando lo stile di Vivaldi (con risultati, a mio giudizio, raccapriccianti), di un compositore che ricerca nuovi linguaggi. Che poi stiano sparendo dal repertorio questo è tutto da dimostrare. Così come è tutto da dimostrare il fatto che strizzar l'occhio al gusto più facile imitando Vivaldi o Puccini o Strauss sia una carta giocabile: la chiusura autoreferenziale dell'attuale opera americana (indistinguibile dalle colonne sonore) o le scorribande neomelodiche di certi compositori italiani, dimostrano l'esatto contrario. Tornare indietro - parola ordine di ogni reazionariato - fingendo un'ipotetica età dell'oro è ingenuo e fallimentare. Poi potrà piacere o meno la musica contemporanea, ma non si può pretendere che per essere "giusta" debba suonare come musica barocca.

Ps: ci sarebbe anche da intendersi sul concetto di modernità. Berg, Schoenberg, Webern sono ormai classici, al pari di Beethoven e Mozart. E così lo sono - secondo me - Messiaen, Henze e Boulez.

Pps: veramente triste - e sintomatico del ritardo mentale e culturale che viviamo in Italia - il fatto che ieri nessun telegiornale (o almeno la maggior parte di essi) ha dato la notizia della morte di Boulez, dando invece larghissimo spazio e appassionati coccodrilli alla scomparsa di Silvana Pampanini :roll:
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Re: In memoriam

Messaggioda Don Giuseppe » gio 07 gen 2016, 14:01

Spesso sono anche fuorvianti i termini "moderno" e "contemporaneo". Quando due o più persone pronunciano tali termini, spesso si riferiscono a cose diverse. Per me in musica è moderno tutto ciò che parte dalla monodia accompagnata (inizio '600) in avanti, mentre qualcun altro definirà "antica" la musica del '600 e '700. Ma il termine "contemporaneo", quando si parla di musica composta 100 e più anni fa (Schoenberg, Berg, Webern) o quando si parla delle avanguardie post-weberniane, che si sono già esaurite da qualche decennio, mi sembra inappropriato: ormai si tratta di fenomeni appartenenti alla storia, e possono essere guardati e giudicati con l'oggettività (ammesso che possa esistere parlando di arte) che viene dalla distanza temporale.

Per me è contemporaneo tutto ciò che parla alla contemporaneità, che viene compreso e vissuto dai contemporanei come una cosa viva, che si afferma in seno alla propria epoca con la forza dell'evidenza. Se una forma d'arte non parla ai contemporanei, o se parla ad una ristrettissima cerchia di "iniziati", è semplicemente un fenomeno autoreferenziale e non può accedere al diritto di rappresentare la propria epoca. Io non sono nessuno, nel senso che non ho gli strumenti per asserire come avrebbe dovuto essere la musica del Novecento (di certo non una rimasticazione del Romanticismo o di Puccini...), ma mi pare evidente che tutto ciò che si è originato dalla Seconda Scuola di Vienna ha fallito clamorosamente il compito di rappresentare la propria epoca e non è stato mai vissuto dai contemporanei come una cosa viva. Per fare un esempio derivante dal mio campo specifico: nel 1637 a Venezia nacque l'opera impresariale, e già nel giro di un paio di decenni in tutta Italia esistevano teatri d'opera a pagamento. Quel modello d'opera, che dal punto di vista strutturale rimase immutato fino a Verdi, rappresentò la contemporaneità in modo eclatante, con un'evidenza tale da non ammettere discussioni. Se davvero la musica dalla Seconda Scuola di Vienna in avanti avesse rappresentato il Novecento, avrebbe intriso di sé tutto il secolo, sarebbe entrata nel gusto, avrebbe sostituito nella prassi compositiva e nelle preferenze degli appassionati la musica dei secoli precedenti. Così non è stato, mi pare talmente evidente da rendere inutile qualsiasi dimostrazione di tale assunto... e, se così non è stato, non è certo perché il pubblico è ignorante, o i tempi non erano maturi o altri luoghi comuni che ho già sentito più volte in giro, ma è stato così semplicemente perché tale musica non aveva la capacità di parlare alla propria epoca.

Quanto ad una presunta età dell'oro della musica agognata dai reazionari, io ho idea che la vera età dell'oro sia quella attuale, senza nostalgie per il passato. Siamo nell'età in cui tutto è disponibile, tramite le incisioni discografiche e tramite internet: possiamo accedere a tutta la musica del mondo, di tutte le epoche e di tutti gli stili. Allora sì che tutto diventa potenzialmente contemporaneo, anche quando è stato composto tre o quattro secoli fa.

Un'ultima noticina su Sardelli: saranno pure raccapriccianti i suoi esiti, ma quando li eseguiva come bis alla fine dei suoi concerti vivaldiani, tutti - anche gli appassionati più smaliziati - erano lì a chiedersi quali inediti di Vivaldi avesse mai riscoperto il Maestro toscano....

Saluti.
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Re: In memoriam

Messaggioda DocFlipperino » gio 07 gen 2016, 16:26

Nel 1960 Bernstein parlava così del Boulez compositore.

"Boulez composes with a system, a terribly complex one, which is vaguely related to the serial systems we know in Schoenberg and Webern, but so different and advanced as to make the twelve-tone system seem quite old-fashioned."

Mi piace ricordarlo così.
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Re: In memoriam

Messaggioda DottorMalatesta » gio 07 gen 2016, 17:34

teo.emme ha scritto:
Pps: veramente triste - e sintomatico del ritardo mentale e culturale che viviamo in Italia - il fatto che ieri nessun telegiornale (o almeno la maggior parte di essi) ha dato la notizia della morte di Boulez, dando invece larghissimo spazio e appassionati coccodrilli alla scomparsa di Silvana Pampanini :roll:


Parole sante!

Grazie a tutti per l´interessantissima discussione.

Agli inizi del Novecento si è verificata una frattura tra compositori e pubblico. Non so se, come dice il Don, sia l´estrema propaggine dell´individualismo romantico. Quel che è certo è che alcuni compositori di musica “colta” hanno cominciato a comporre per loro stessi, utilizzando un linguaggio dalle regole comprensibili solo a loro stessi (si pensi solo alla notazione di certe composizione). In molti di questi casi la produzione musicale è quindi diventata espressione di un solipsismo egotico e pago di sé. Prima vi era condivisione tra chi l´arte la produceva e chi ne fruiva. A partire dal Novecento non è più così. (Per inciso, giudico patetici e ridicoli i tentativi, tipicamente post-sessantottini, di portare nelle fabbriche la musica dei vari Berio e Boulez da parte di Abbado e Pollini. Lo trovo ideologico, pretestuoso e in fondo inutile, e lo dico nonostante l´ammirazione sconfinata che avevo e continua ad avere per Abbado e Pollini). Lo stesso accade anche per le arti figurative. L´impressione è che la filosofia, il concetto, l´idea abbia avuto il sopravvento sull´estetica.
Le opere di Beuys non sono in realtà “solo” delle idee camuffate da oggetti artistici? Le composizioni seriali non sono in fondo matematica camuffata da musica? La “musica” aleatoria di Cage è forse qualcosa di diverso che casualità pura, non-significante ed insignificante camuffata da musica?
Cos`è diventata l´arte, nel Novecento? Benedetto Croce diceva che l´arte è ciò che da sempre è stata considerata arte. Vale ancora, oggi, una (non)definizione come questa?

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Re: In memoriam

Messaggioda teo.emme » gio 07 gen 2016, 18:05

Ti riporto quello che scrive lo stesso Boulez:

"Tutti noi abbiamo avuto vent’anni nel 1945, e il 1945 segna la fine della Seconda guerra mondiale, la fine di un’epoca e della lotta contro un regime opprimente. La conclusione che trarrei automaticamente da una situazione simile, così, senza nemmeno bisogno di riflettere, è che noi non volevamo quei compromessi che avevano macchiato la generazione precedente, quei compromessi a volte necessari in termini di comprensione e facilità. Al contrario, per noi era importante stabilire un linguaggio nuovo, partendo da coloro che avevano scelto di rifiutare il compromesso. Rigore e purezza significavano evitare i compromessi. In questa direzione erano impegnati non solo dei francesi come me, ma un gruppo di giovani di tutta Europa. Noi fummo i primi veri europei che rifondarono la musica del Dopoguerra. Un appuntamento come Darmstadt fu molto importante perché non c’erano più le nazioni, i nazionalismi e il punto di vista nazionale, ma solo il desiderio di conoscere l’altro, di confrontarsi con lo straniero, che era colui che lavorava sì in un altro paese ma allo stesso modo in cui lavoravamo noi. Quando si parla della scuola di Darmstadt, non bisogna dimenticare che non era una cosa molto teorica, un’altra esperienza in qualche modo a sua volta dittatoriale, come la si immagina oggi, ma un incontro di spiriti liberi che intendevano restare tali all’interno del panorama europeo. E per essere liberi bisognava guardare in faccia la realtà, prenderla di petto. Per quanto riguarda l’Italia, sono stati molto importanti i rapporti, anche conflittuali, con Luigi Nono e Bruno Maderna. A Darmstadt abbiamo formato un gruppo forte e solidale di fronte agli altri che però al suo interno si apriva a grandi discussioni. Nono per esempio era politicamente più orientato di me. Karlheinz Stockhausen aveva una tendenza al misticismo che a me risultava completamente estranea. Tra noi esistevano forti differenze, ma la purezza del linguaggio era un fenomeno comune alla nostra generazione e questo fu importante."
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Re: In memoriam

Messaggioda teo.emme » gio 07 gen 2016, 18:18

Don Giuseppe ha scritto:Un'ultima noticina su Sardelli: saranno pure raccapriccianti i suoi esiti, ma quando li eseguiva come bis alla fine dei suoi concerti vivaldiani, tutti - anche gli appassionati più smaliziati - erano lì a chiedersi quali inediti di Vivaldi avesse mai riscoperto il Maestro toscano..

...proprio questo lo trovo raccapricciante. Ha senso rifare Vivaldi nel 2015? E chi lo fa può definirsi "compositore" o "falsario"?
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Re: In memoriam

Messaggioda DottorMalatesta » gio 07 gen 2016, 18:25

Matteo, nessuno mette in dubbio che fossero giovani, idealisti, pronti a mettere il mondo sottosopra. Nessuno mette in dubbio che avessero le idee chiare e non volessero farsi mettere i piedi in testa da nessuno.
Quello che mi permetto di mettere in dubbio è che la "purezza del linguaggio", nel loro caso, si sia tradotta in un linguaggio chiaro.

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Re: In memoriam

Messaggioda teo.emme » gio 07 gen 2016, 18:35

Don Giuseppe ha scritto: Se una forma d'arte non parla ai contemporanei, o se parla ad una ristrettissima cerchia di "iniziati", è semplicemente un fenomeno autoreferenziale e non può accedere al diritto di rappresentare la propria epoca. Io non sono nessuno, nel senso che non ho gli strumenti per asserire come avrebbe dovuto essere la musica del Novecento (di certo non una rimasticazione del Romanticismo o di Puccini...), ma mi pare evidente che tutto ciò che si è originato dalla Seconda Scuola di Vienna ha fallito clamorosamente il compito di rappresentare la propria epoca e non è stato mai vissuto dai contemporanei come una cosa viva. Per fare un esempio derivante dal mio campo specifico: nel 1637 a Venezia nacque l'opera impresariale, e già nel giro di un paio di decenni in tutta Italia esistevano teatri d'opera a pagamento. Quel modello d'opera, che dal punto di vista strutturale rimase immutato fino a Verdi, rappresentò la contemporaneità in modo eclatante, con un'evidenza tale da non ammettere discussioni. Se davvero la musica dalla Seconda Scuola di Vienna in avanti avesse rappresentato il Novecento, avrebbe intriso di sé tutto il secolo, sarebbe entrata nel gusto, avrebbe sostituito nella prassi compositiva e nelle preferenze degli appassionati la musica dei secoli precedenti. Così non è stato, mi pare talmente evidente da rendere inutile qualsiasi dimostrazione di tale assunto... e, se così non è stato, non è certo perché il pubblico è ignorante, o i tempi non erano maturi o altri luoghi comuni che ho già sentito più volte in giro, ma è stato così semplicemente perché tale musica non aveva la capacità di parlare alla propria epoca.


Invece di discussioni ne ammette e, del pari, non è affatto così evidente. L'errore è alla base della valutazione di "autoreferenzialità" riferita ad un modello di comunicazione che non è quello perseguito da quel genere di musica. Il rapporto diretto, la fruizione immediata, il divertissement è oggi rappresentato da altre forme artistiche dalle quali la musica colta deve necessariamente distinguersi: qui sta il senso della ricerca di un nuovo linguaggio che parli anche ad uditorio più ristretto o fatto di soli iniziati. Non è questo il problema. La forma come tale non può essere reiterata all'inginito, ma qualsiasi evoluzione porta ad uno strappo: strappo che coinvolge sia le modalità espressive, sia la fruizione. L'opera impresariale è un modello commerciale che certamente rimane stabile (ma non immutato), tuttavia ne viene stravolta forma e sostanza. Peraltro anche Wagner - ad un certo punto della sua carriera - scrive musica in modo che oggi potremmo definire autoreferenziale poiché privo di committenza e con l'intento -. dichiarato - di "formare" un nuovo tipo di pubblico senza nulla concedere a quello tradizionale. Se dunque Wagner scrive per "iniziati" con intenti didascalici, perché non concedere lo stesso a certe esperienze del '900? In fondo perseguono un fine molto simile con mezzi rapportati alla propria epoca. Siamo così sicuri che l'effetto di una musica svincolata dal linguaggio tonale sia molto diverso da quello che, a metà '800 era la rivoluzione d'ascolto wagneriana? Qual'è il fine della musica parlare alla propria epoca o della propria epoca? Oppure parlare di un'epoca futura?

Dici che che non hai idea di come "dovrebbe essere" la musica del '900, ma un interrogativo bisogna porselo: perché se si vuole davvero uscire dalla storia - e "tornare indietro" rispetto al linguaggio post-weberniano è uscire dalla storia - bisogna capire dove andare a parare, e non vedo molto altro rispetto allo sterile recupero di modalità espressive già passate e superate (superate perché "vissute" già nella loro epoca).
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Re: In memoriam

Messaggioda teo.emme » gio 07 gen 2016, 18:37

DottorMalatesta ha scritto:Quello che mi permetto di mettere in dubbio è che la "purezza del linguaggio", nel loro caso, si sia tradotta in un linguaggio chiaro.

Ma forse la chiarezza di linguaggio (e la sua immediata fruizione) non erano finalità perseguite: aggiunge Boulez - sui giovani compositori - "Ci sono cose su cui credo che i compositori d’oggi non abbiano riflettuto abbastanza, anche se le opere interessanti non mancano. All’Ircam e con l’Ensemble Intercontemporain ho il vantaggio di sentire sempre le ultime cose delle nuove generazioni. E organizziamo il concorso di Lucerna con opere commissionate a compositori di 25-30 anni, per capire da che punto cominciano, cosa cercano di fare, in quale direzione vanno. Mi sembra inutile l’abuso che talvolta si fa dei rumori possibili. Non che la cosa mi sorprenda, ma la trovo insufficiente come riflessione. E poi, scrivere cose molto complicate che non si possono suonare. Perché scrivete in questo modo, quando sapete che non si potrà eseguire? Perché aumenta la tensione, rispondono. Ma non aumenta la libertà, dico io. Anche se poi aggiungo sempre: fate pure, per avere esperienza. Perché senza esperienza del fallimento non si può andare avanti."
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Re: In memoriam

Messaggioda mattioli » gio 07 gen 2016, 18:54

Beh, è un dibattito interessante ma non nuovo. Credo che ognuno di noi abbia sostenuto almeno una discussione (e quasi tutti più d'una) su questi argomenti.
La faccio quindi molto breve, e prendete questo intervento come una postilla a quanto è stato detto.
Posto che anch'io, come teo.emme, credo che non abbia alcun senso riscrivere musiche già scritte (anche per la banale ragione che il vero Strauss o il vero Britten sono migliori di chi li rifà, e molto migliori di chi li frulla insieme), mi sembra però che le ultime generazioni di musicisti "contemporanei" si stiano ponendo il problema di usare un linguaggio che il pubblico possa comprendere e di conseguenza che i loro lavori possano essere fruiti anche al di fuori del ghetto dei festival specializzati e delle rassegne ad hoc.
Mi limito all'opera: un autore come Adès viene rappresentato, con successo, davanti al pubblico "normale" dei teatri normali, anche quelli più reazionari tipo il Met, e la sua prossima opera debutterà a Salisburgo.
La recita che ho visto io di quel capolavoro che è Written on skin di Benjamin si svolse all'Opéra-Comique (nell'ambito di una serie di rappresentazioni, non una botta e via) davanti a un teatro plaudente e soprattutto pieno. Voglio dire che, se appena si fa lo sforzo di esprimersi in un modo minimanente comprensibile, la musica contemporanea può avere un pubblico, come dire?, "non specializzato".
Minoritario, certo. Ma sull'insieme delle persone che ascoltano musica oggi nel mondo sono minoritari anche quelli che scelgono Mozart. E non dimentichiamo che per il pubblico "medio" di una società concertistica o di un teatro d'opera italiano sono "difficili" già Schonberg o Webern o Britten...
Ciao

AM
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Re: In memoriam

Messaggioda teo.emme » gio 07 gen 2016, 19:11

mattioli ha scritto:E non dimentichiamo che per il pubblico "medio" di una società concertistica o di un teatro d'opera italiano sono "difficili" già Schonberg o Webern o Britten...

In questo senso, in occasione dell'ultimo Rosenkavalier dato alla Scala, ascoltai un delirante dialogo tra alcuni signori seduti dietro di me, che dibattevano sull'opportunità o meno di eseguire l'opera di Strauss in un teatro italiano, ritenendola scelta estrema, snobistica e da fare non nell'ambito di una stagione. Quindi, quando si parla di fruizione del pubblico, bisogna specificare sempre di quale pubblico si tratta. Perché se si va a teatro ad ascoltare Berg (mica Nono) e si passa l'intera durata a ridacchiare e commentare volgarmente ciò che si sente (e mi è capitato in un Wozzeck), forse l'unico orizzonte possibile è una Traviata di provincia.
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