Guillaume Tell - ROH

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Guillaume Tell - ROH

Messaggioda torretower » dom 12 lug 2015, 21:08

Visto che si è fatto un gran parlare dell'opera andata in scena a Londra ho pensato di recuperare la scena che tanto ha fatto discutere.

Io personalmente non l'ho trovata così scandalosa. O meglio, non per gli stessi motivi di cui hanno parlato i giornali. Mi è parsa più che altro fuori luogo...totalmente avulsa dalla scena che viene disegnata dalla musica di Rossini.

In ogni caso guardatela (dura solo 5 minuti) e fatevi un'idea

https://drive.google.com/file/d/0B82DjtjaSOMoWFp6eXBfZENZYjA/view?usp=sharing

P.S. Un anno fa la bella Opolais fu protagonista di scene molto più "forti"....ogni tanto le polemiche mi sembrano veramente senza senso.
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Re: Guillaume Tell - ROH

Messaggioda beckmesser » lun 13 lug 2015, 12:40

Una cosa è certa: Damiano Michieletto non vuole corriere il rischio che neppure il più sprovveduto degli spettatori si perda qualcuna delle mirabolanti idee che escogita nei suoi spettacoli. Per cui: si vuole esprimere che il Tell è un dramma incentrato sull’amor di patria? E lui riempie TUTTO il palcoscenico della ROH di terra, che gli svizzeri baciano, nella quale ficcano le mani e si rotolano dentro. Ancora: si vuole esprimere che il Tell è un dramma dove, dopo una lunga lotta, la conclusione apre ad una speranza di rinascita? E il bravo regista piazza un enorme albero secco in scena dal secondo atto in poi (ovviamente evoluzione di quello che un cattivissimo Rodolphe strappa da terra al momento dell’omicidio di Melchtal) e, sul finale, un bambinello esce dal coro e pianta nella terra un nuovo tenero germoglio, il tutto con tanto di bravo occhio di bue puntato sopra, giusto per essere sicurissimi che la cosa non rischi di sfuggire… Infine: si vuole intendere che Tell è combattuto e riottoso all’idea di assumere il suo ruolo di liberatore ed eroe nazionale? E l’ottimo regista piazza in scena un suo alter ego che con gesti enfatici continua ad ogni istante a piazzargli in mano frecce, pistole e balestre. Già, l’alter ego… Perché Michieletto, nell’orgia di citazioni e rimandi ad altri registi, finisce col citare anche se stesso, riprendendo l’idea di fondo della sua Gazza Ladra: e nella sinfonia tutto viene impostato come una fantasia di Jemmy che, giocando con soldatini e leggendo un bel fumetto sulla vita di Guglielmo Tell, decide che il su’ babbo ha da diventare il liberatore del suo popolo. Il problema è che, per meglio esprimere il concetto, il bravo regista ha pensato di far prendere vita al Guglielmo Tell del fumetto, che imperversa in scena per tutta l’opera, interagendo con gli altri personaggi. Solo che, in un’ambientazione del tutto moderna (con tute mimetiche, mitra, divise militari, ecc.) vedere questo Tell in calzamaglia, mantellone rosso e cappello piumato, fa un po’ un effetto “rosa purpurea del Cairo”, e il risultato è sull’orlo del comico (e infatti qualche risatina fra il pubblico serpeggia…).

A parte queste trovatine fra l’ingenuo e il didascalico, lo spettacolo e anche bello, ma è un Tell normalissimo, e ancora una volta non sono riuscito a capire dove stia la grandezza e l’originalità di Michieletto. Ma non mi rassegno: prima o poi avrò anch’io un’illuminazione.

Dal punto di vista musicale, il trionfatore si chiama Gerald Finley, che si conferma il miglior Tell dei nostri tempi (e, forse, non solo di quelli). Scenicamente, non è aiutato dal fatto di avere sempre fra i piedi il suo alter ego calzamagliato, ma vocalmente è fantastico, e un ruolo insidioso come pochi dal punto di vista espressivo, riceve una caratterizzazione indimenticabile. Osborn è Osborn, e il suo Arnold è ben noto: ogni volta più sicuro vocalmente e più indefinito espressivamente. Se, come si dice, perseverare è diabolico, per la scelta della Byström Pappano rischia la dannazione eterna: già pessima Mathilde a Roma, qui è anche peggio, sotto tutti i punti di vista.

Resta Pappano, appunto: che qui convince molto meno rispetto a Roma. Innanzi tutto, i tagli: che non sono neanche tanti, ma sono fatti talmente male da rovinare l’equilibrio di primo, terzo e quarto atto. Poi, l’orchestra, che ancora una volta dimostra quanto Rossini possa essere insidioso: imprecisa, ritmicamente molliccia, opaca nei colori… E lo stesso direttore sembra tendere ad una lettura di un’uniformità eccessiva nella sua cupezza e mancanza di brillantezza, che se valorizza le pagine più drammatiche (impressionante il finale del secondo atto), nelle parti più “riempitive” (che poi tali non sono affatto) arriva molto vicino alla monotonia.

Successo trionfale per tutti.

Beck

PS: non entro nella questione dello stupro che (se è vero quel che dice l’ottimo Mattioli) già era innocua alla prima, e nelle repliche è stata ulteriormente edulcorata. La reazione alla prima fa pensare che, se non altro, un po’ di sana follia operistica non è esclusiva del pubblico della Scala…
beckmesser
 
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