... e il suo Lohengrin (qualche commento in libertà...)
Odio i figli di Papà. Figurarsi che considerazione ho per i “nipoti e pronipoti di Nonni” (anche perché, come genialmente diceva Karl Krauss “Quelli non ereditano mai un po' di talento, soltanto il naso”).
L´idiosincrasia nei confronti di uno dei due nipoti (Wolfgang) è presto spiegata: mediocrità registica, ostracismo nei confronti dei discendenti dai sacri lombi di Wieland, discutibilissime posizioni revisioniste, e persino – lo si scopre leggendone l´autobiografia – un´abilità nel campo della direzione artistica da ridimensionare (si apprende, ad esempio, che alcune delle più celebri riuscite della sua gestione, incluso il celebrato Ring di Chéreau-Boulen, sono state frutto di pura casualità o di una fortunata serie di eventi). Parce sepulto.
Devo tuttavia ammettere, e in fondo lo faccio controvoglia, che la pronipotina Katharina sa il fatto suo. La sua direzione artistica al Festspielhaus di Bayreuth si caratterizza da una difesa ad oltranza del Regietheater tedesco più duro, con spettacoli programmaticamente volti ad épater la bourgeoisie. In questo, il festival si conferma come una roccaforte (forse l´ultima rimasta) del Regietheater di impronta tedesca (quello che, oltreoceano, chiamano Eurotrash). Scelta rispettabile, ma rischiosa (una simile ideologia rischia di appartenere all´epoca giurassica).
Trovo ben più interessante la Katharina Wagner regista.
Conosco molto bene i Meistersinger, registrati a Bayreuth e riversati su DVD (se ne era parlato in un altro thread cui rimando: viewtopic.php?f=6&t=1931&p=22615&hilit=katharina+wagner#p22615). Nei giorni scorsi ho visionato il Lohengrin di cui la pronipote curò la regia nel 2004 (appena ventiseienne) a Brema. Spettacolo contestatissimo (il sipario si chiude su una valanga di fischi e urla), e che pure trovo interessante.
Sul Web c´è tutto. Solo, maledettamente spezzetato in 24 "puntate":
https://www.youtube.com/watch?v=Al0IpUe3J-I
Curioso che, negli anni in cui il giovane Wagner era tutto un “ribelle ribollire” di insoddisfazione in un perenne atteggiamento di sfida contro tutto e tutti, la sua attenzione sia caduta su un testo che – come scrisse (mi pare) Thomas Mann – ha la parvenza di una fiaba immersa nella realtà storica. Wagner scrisse (se non erro nella “Comunicazione ai miei amici” del 1851) che Lohengrin era figura dell´artista incompreso, che chiede di essere accettato per quello che rappresenta, che chiede di essere amato per ciò che è (Lehnhoff nel duetto al terzo atto della sua regia fa di Lohengrin un compositore vestito come Wagner e seduto al pianoforte). Difficile pensare ad una lettura politica (un po´ come fece Götz Friedrich per il Tannhäuser del 1973) di quest´opera: tradizionalmente Lohengrin è l´opera intrisa di blu (come la definiva Mann), la fiaba del cigno, del cavaliere del Graal. Tutto vero, tutto giusto. Però è interessante vedere quello che in quegli anni stava succedendo fuori e “dentro” Wagner.
Quelli sono gli anni in cui Wagner frequentava teste calde come Bakunin e Herwegh, e leggeva Proudhon e Feuerbach. Lohengrin venne rappresentato nel 1850 a Weimar, grazie agli auspici di Liszt, mentre Wagner era in esilio a Zurigo dopo i moti di Dresda dell´anno prima.
Negli ultimi anni alcune regie hanno proposto una lettura esplicitamente “politica” del Lohengrin. Tra queste, appunto, la regia di Katharina Wagner e quella di Peter Konwitschny. Konwitschny ambienta il Lohengrin in una classe elementare popolata da bambini nel periodo della repubblica di Weimar. Nella visione priva di speranza del regista tedesco, l´innocenza non è violata dall´esterno, ma il male nasce dall´interno dell´essere umano (“so tritt das Unheil in dies Haus!”, "così il male entra in questa casa!". come dice Friedrich). Konwitschny rovescia l´insegnamento rousseauiano per cui il bambino è buono, e ci mostra come il male si annidi in ogni essere (ricordate “Il Signore delle mosche” di Golding?), come l´innocenza sia un´illusione: Lohengrin è un prodotto (una proiezione?) di quella società (per Feuerbach Dio è una proiezione dell´uomo), Gottfried (il Führer von Brabant) riappare come una macchina da guerra, Hitler nasce dalla delusione e dalla disillusione.
Katharina Wagner si muove sulla stessa linea, ed immerge la vicenda in un mondo (quello di un paese dell´est europeo dopo la caduta del comunismo) claustrofobico, dove la speranza è fin da subito votata al fallimento. Lohengrin è un eroe del popolo, che insorge contro la burocrazia e la tecnocrazia del regime. Egli nasce dalla speranza di chi spera in una figura che dia voce ai loro sogni ed aspirazioni. Lohengrin è la speranza dei giovani in rivolta contro il vecchio mondo, è il loro eroe. Agli occhi dei giovani Lohengrin è una sorta di Jan Palach nella rivoluzione di Praga. Ma la realtà è ben diversa: Lohengrin è mediocre, meschino, egocentrico, narcistista, in nulla diverso dai burocrati del regime comunista che ha soppiantato (Friedrich e Ortrud). Il suo matrimonio con Elsa (una giovane perseguitata dal pregresso regime comunista) viene celebrato per motivi politici, per rafforzare l´immagine di leader carismatico legato al popolo. Il racconto del Graal viene presentato come un freddo annuncio di dimissione. La sua uscita di scena è una fuga, un lavarsi le mani, un sottrarsi alle responsabilitá e un deludere le aspettative di un intero popolo.
Tecnicamente la giovane Katharina ci sa fare: sa muovere le masse, sa valorizzare i momenti “forti” della vicenda, narra la sua visione della vicenda con coerenza e precisione. La scenografia è funzionale, le luci anche. Il suo è il Lohengrin della disillusione, della perdita di ogni ideale, della rivoluzione fallita. Al Wagner maturo, deluso nel vedere il fallimento degli ideali politici di riforma della società, questo Lohengrin forse non sarebbe dispiaciuto.
Regista da tenere d´occhio. Sarà interessante vedere cosa la pronipote Wagner combinerà l´anno prossimo nel teatro di casa nel Tristan und Isolde.
Ciao,
DM
P.S.: scusate la prosa sconnessa, scrivo un po´ di getto...