Turandot (Puccini)

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Re: Turandot (Puccini)

Messaggioda DottorMalatesta » lun 04 mag 2015, 18:24

VGobbi ha scritto:E voi cosa ne pensate?


Una edizione ancorata saldamente al suo tempo che, almeno per quanto mi riguarda, risulta parecchio datata e che, in fondo, non rispecchia la mia concezione di Turandot. Borkh, sicuramente. Ma anche Del Monaco (per capire come non va cantato Calaf : Chessygrin : ) e Tebaldi meritano di essere conosciuti.

Comunque secoli davvero che non la ascolto. : Blink :

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VGobbi ha scritto:Scusate l'off-topic "ma non troppo", ma dopo la visione di questa Turandot (che personalmente reputo davvero uno splendido spettacolo),


Che ti è piaciuto in particolare? Alla fin fine dello spettacolo il momento che ho apprezzato di più è stata l´apertura del secondo atto, col siparietto da varietá un po´ Weill-Brecht un po´Otto Dix di Ping Pong Pang. Alla fine i riferimenti visivi all´espressionismo tedesco e al simbolismo liberty erano pertinenti, ma a mio parere l´estetizzante e un po´ anestetizzante non-regia di Lehnhoff si accontentava di "illustrare" senza assolutamente approfondire le dinamiche dei personaggi o la drammaturgia dell´opera.
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Re: Turandot (Puccini)

Messaggioda DocFlipperino » mar 05 mag 2015, 9:28

VGobbi ha scritto:E voi cosa ne pensate?


sentita ora mentre in Expo attendo che qualcuno si senta male..... :oops:

esattamente come me la ricordavo: Borkh bravissima vocalmente ma totalmente estranea a come io vedo Turandot. Del Monaco troppo "delmonacheggiante". Erede troppo "areniano", nel senso che tutti gli impasti timbrici inventati da puccini vengono uniti in un ammasso di suono esagerato. Resta la Tebaldi, forse più Leonora che Liù, ma vocalmente straordinaria, prodiga di tutto quanto possa mandare in sollucchero un amante del puro suono, sentire che cosa è quel "Principessa, l'amore...."



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Re: Turandot (Puccini)

Messaggioda DottorMalatesta » mar 05 mag 2015, 18:30

Stanno ritrasmettendo la Turandot scaligera su Rai5.
Ribadisco il mio giudizio più che soddisfatto sul piano musicale, meno, molto meno sul piano registico. Se c'era una regia, in questa Turandot, io non l'ho vista. Ho visto uno spettacolo di gran splovero, parzialmente interessante per quanto riguarda i richiami visivi alle estetiche contemporanee di Turandot (espressionismo e simbolismo e Jugendstil), ma nessun approfondimento della drammaturgia dell'opera. Ora, abbiamo capito ormai tutti che Turandot è una grande opera del Novecento musicale, sorella della Frau ohne Schatten, Lulu, Salome, Elektra, Pelleas udn Melisande. Abbiamo avuto alcune incisioni chee ci hanno spalancato gli orecchi (Maazel, Mehta, Karajan) in tal senso. Dal punto di vista registico invece? Tutto fermo? Insomma... Lehnhoff ha riproposto unaTurandot espressionista-simbolista che, per carità, ci sta, è efficace, funziona, è appropriata, etc etc. Però non sarebbe finallmente ora di avere una Turandot che, anziché essere ancorata al suo presente si sforzi invece di parlare al nostro presente?

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Re: Turandot (Puccini)

Messaggioda reysfilip » mar 05 mag 2015, 18:48

Diciamo pure che Lehnoff penso si sia limitato ad aggiungere qualcosa a una regia che già aveva fatto 13 anni fa ad Amsterdam (sorvoliamo quindi sul fatto che da nuova produzione che doveva essere siamo passati a produzione importata).
Io ho visto solo i primi due atti (e ascoltata completa via radio) e devo dire che non mi è dispiaciuta. Registicamente mi è parsa davvero un buco nell'acqua, o quantomeno belle scenografie e belle alcune idee (tipo i tre ministri a inizio secondo atto) e alcune immagini, ma poi un'incapacità di muovere le masse (tant'è che nel secondo atto le mette in terrazzo e amen) e alcune trovate veramente infelici (Calaf che pensa in ginocchio...roba da recita della parrocchia).
Menomale Chailly ha diretto in modo meraviglioso. Peccato per Antonenko, che ha gli acuti della parte ma è espressivo come un barattolo di sardine, e la Stemme che è proprio fuori parte. Diciamo che la Stemme è stata chiamata perché la star da inaugurazione doveva esserci, ma allora prova a far debuttare qualcuno e a dire qualcosa di nuovo portando per la prima volta una belcantista sul palco dopo le idee di Mehta e Karajan. Per il resto tutti assai bravi, dall''Agresta a Tsymbalyuk ai tre ministri. Comunque domani guarderò anche il terzo atto, dato che stasera vado a vedere (ma soprattutto sentire data la regia di Pier'Alli) il Fidelio di Mehta. Se volete riferirovvi.
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Re: Turandot (Puccini)

Messaggioda DocFlipperino » mar 05 mag 2015, 19:20

Certo che ci riferirai del Fidelio, Filippo 8)
Io intanto stasera vedo Turandot in teatro e domani se riesco vi racconto.

W noi!
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Re: Turandot (Puccini)

Messaggioda DottorMalatesta » mar 05 mag 2015, 19:50

Bravi, voglio vedervi entrambi in Home!

8)

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Re: Turandot (Puccini)

Messaggioda VGobbi » mar 05 mag 2015, 23:52

DottorMalatesta ha scritto:Che ti è piaciuto in particolare? Alla fin fine dello spettacolo il momento che ho apprezzato di più è stata l´apertura del secondo atto, col siparietto da varietá un po´ Weill-Brecht un po´Otto Dix di Ping Pong Pang. Alla fine i riferimenti visivi all´espressionismo tedesco e al simbolismo liberty erano pertinenti, ma a mio parere l´estetizzante e un po´ anestetizzante non-regia di Lehnhoff si accontentava di "illustrare" senza assolutamente approfondire le dinamiche dei personaggi o la drammaturgia dell´opera.

Allora, a differenza della maggior parte delle persone che scrivono qui, io ho una bassissima cultura, o meglio conoscenza dal punto di vista regisitico. Se ho imparato, l'ho fatto solo ed esclusivamente grazie ai vostri interventi. Per parte mia, fin da piccolo, ho sempre prediletto l'ascolto del cd, rispetto alla visione delle videocassette per un semplicissimo motivo : il cantante deve tratteggiare il personaggio solo ed esclusivamente con la voce (che sia chiaro, anche per evitare inutili equivoci, non corrisponde mica al classico cantante che mi spara bordate di suono ... no no, tutt'altro. La voce può essere scassata quanto volete, ma che sappia "esprimere" e "trasmettere emozioni").

Poi però mi sono reso conto, come per molti interpreti, l'assenza del video sia penalizzante per la comprensione del personaggio. Non solo, ma come un regista sia determinante per la riuscita nella creazione del personaggio, nella visura d'insieme e nella capacità di attualizzarsi, reiventando l'opera (termine che qui viene chiamato "destrutturare").

Tornando a questa Turandot, cosa fa Lenhoff? Per fortuna non destruttura, ciò rende più facile capire le intenzioni del regista e lo spettacolo. :mrgreen:

A parte gli scherzi, il suo spettacolo resta molto funzionale, pur nella sua semplice tradizionalita', senza però risultare vecchio, nella sua capacità di "muovere" i personaggi (su tutti il terzetto Ping/Pang/Pong, mentre sfido chiunque a far recitare uno come Antonenko) e nella bellezza della coreografia dai colori accesi. Vero, alla fine mi sono accontentato di poco, ma io ho passato una serata piacevolissima, senza annoiarmi. Vi pare davvero così poco?
Nemmeno noi siamo d'accordo con il gobbo, ma il gobbo è essenziale! Guai se non ci fosse!
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Re: Turandot (Puccini)

Messaggioda VGobbi » mar 05 mag 2015, 23:54

Ah dimenticavo. Sono curiosissimo anch'io di leggere le impressioni finali di reysfilip (non solo sulla Turandot milanese, ma anche sul Fidelio bolognese) e flipperin (non è stato male nessuno all'Expo?).
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Re: Turandot (Puccini)

Messaggioda DottorMalatesta » mer 06 mag 2015, 8:52

reysfilip ha scritto:Peccato per Antonenko, che ha gli acuti della parte ma è espressivo come un barattolo di sardine, e la Stemme che è proprio fuori parte. Diciamo che la Stemme è stata chiamata perché la star da inaugurazione doveva esserci, ma allora prova a far debuttare qualcuno e a dire qualcosa di nuovo portando per la prima volta una belcantista sul palco dopo le idee di Mehta e Karajan.


Però quello proposto alla Scala era un cast assolutamente di prim´ordine. La Stemme resta una fuoriclasse. Se si vuole fare la “solita” Turandot, la Stemme è un´eccellente scelta (al pari di qualche altro sopranone, Theorin, Herlitzius…). Parimenti, se si vuole fare il “solito” Calaf, Antonenko resta un´ottima scelta (e non è che ce ne siano poi molte altre… Certo, ci sarebbe Botha…). Agresta e Tsymbalyuk niente da obiettare. Così come Chailly. Si tratta comunque di grandi nomi.
Insomma, per essere la “solita” Turandot si è trattato di un´esecuzione comunque buona. Forse, in una prospettiva così tradizionale il finale di Berio c´entrava come un po´ i cavoli a merenda (forse si poteva riabilitare il finale primo di Alfano). Comunque, se a qualcuno piace Turandot in un certo modo (che è un po´ il solito modo di fare Turandot: sopranone drammatico e tenore stentoreo), penso non ci sia nulla da obiettare circa la resa musicale dello spettacolo. Forse si poteva tentare un approccio un po´ diverso (correndo però dei rischi: forse si è voluto proporre una Turandot più tradizionale, meno innovativa e sperimentale; anche la regia andava in questo senso). Personalmente in Turandot, se - in parte comprensibilmente - si aveva paura di tentare la strada della vocalista pura, piuttosto che una hochdramatische come la Stemme avrei visto bene una jugendliche. Qualche anno fa poteva andare bene la Schwanenwilms (però non so vocalmente come sia messa oggi). Come Calaf mi sarei giocato la carta di un tenore lirico, senza dubbio. Forse un Francesco Meli? In fin dei conti sta virando verso un repertorio più "corposo"... Certo, poi bisognava avere un direttore in grado di dirigere Turandot in un´ottica diversa da quella tradizionale (anche in termini di spessore sonoro).

Attendiamo comunque la voce di Flipperin! 8)

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Re: Turandot (Puccini)

Messaggioda Maugham » mer 06 mag 2015, 9:38

Su richesta di Pietrone posto le mie impressioni. Dal vivo.
L'allestimento di Lenhoff è vecchio. Si può scrivere e dire quello che si vuole ma, gratta gratta, è una Turandot che ha preso troppa polvere. Non solo perchè risale al 2001 (quella di Carsen compie il quarto di secolo ma sembra fatta ieri mattina), ma perchè nessuno nel 2015 fa più regia a quel modo lì. In televisione, lo ammetto, rende meglio. Dal vivo mi sembrava di essere tornato indietro di vent'anni. Masse ferme oppure costrette in coreografie geometriche, gestualità dei canti rigida oppure (nel caso di Liù e Timur) come se fossimo in arena, terzetto di maschere trattato come marionette, copricapi fuori contesto (bombette e cilindri), qualche frisson sadomaso che i tedeschi mettono anche nel caffelatte. Insomma, la solita roba da Komische Oper. Se togliamo il finale secondo, dove Lenhoff ha creato un bel contrasto tra la solenne coralità del momento e il tracollo emotivo di Turandot, e l'apertura del terzo atto, con Turandot in controluce che si muoveva come un gigantesco e inquietante insettone notturno, non c'era nient'altro di così memorabile da giustificare il ripescaggio.
La mia domanda è semplice. Perchè rispolverare una Turandot di quindici anni fa?
Chailly. Bene, in alcuni punti benissimo. Orchestra della Scala in gran forma (non la sentivo così da tanto tempo), ottoni perentori, percussioni squassanti, archi lanciati con selvaggio entusiasmo e (finalmente!) senza nessun pudore nel cantare gli squarci melodici della partitura. Lo ammetto, in certi punti qualche baccano di troppo poteva passare per esagerato; ma in Turandot penso che un direttore che non la mandi a dire sia di gran lunga preferibile al sobrio musicista che cerca di trasformare quest'opera in qualcosa che non è. Anche perchè Turandot, così come ce la racconta Chailly, è un sintesi, una microstoria, un campionario della musica novecentesca che Puccini, diciamolo, è riuscito a sintetizzare come Mozart aveva fatto con la musica venuta prima di lui. Berio afferma che tra gli appunti del finale incompiuto faceva capolino addirittura anche una serie di dodici note. Forse. Quello che però abbiamo sottomano basta e avanza per giustificare il genio di Puccini. E Chailly, come Pappano, ci crede. E il risultato è una delle migliori Turandot -sotto il profilo orchestrale- che abbia ascoltato.
Subito dopo Chailly viene la Stemme. Che è artista immensa, declamatrice percussiva e tagliente, capace di caricare di significato la parola musicale creando un arco di tensione che alle sue colleghe (penso alla Theorin, Matos, alla Lindstrom ma anche alla stessa Herlitzius) è precluso. Certo, nello spartito ci sono i do. E questo lo si sapeva. La Stemme ormai arriva con facilità al Si naturale. Sopra si sente lo sforzo. Il volume però è imponente.
L'Agresta è brava. Una Liù di genere ovvero che fa tutto quello che ti aspetti da una Liù come si deve, filati e acuti smorzati compresi. A lei la Scala ha riservato le uniche ovazioni della serata.
Ovazioni che invece merita Tsymbalyuk, una delle voci più interessanti di basso degli ultimi anni, purtroppo relegato (se escludiamo il bellissimo Boris di Monaco con Bieito a menare la polenta) ai soliti Monteroni, Re dell'Aida, Commendatori... Qui ha fatto una trenodia su Liù assolutamente da mandare a mente. Forse deve cambiare agente.
Terzetto delle maschere discreto anche se in difficoltà nel tenere il tempo e bravissimo, ma davvero bravo, Bosi nel ruolo per niente facile (parlo soprattutto dell'intonazione) di Altoum.
Resta Antonenko.
Devo proprio? :D

WSM
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Re: Turandot (Puccini)

Messaggioda DottorMalatesta » mer 06 mag 2015, 9:59

Maugham ha scritto:Resta Antonenko.
Devo proprio? :D


No. :mrgreen:
Però ci avevi promesso di parlarci del Parsifal berlinese : Andry :

PLEEEEEAAAASE!!! :roll:

Qui comunque la Turandot (per chi se la fosse persa in TV):



Ciao!!!

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Re: Turandot (Puccini)

Messaggioda DocFlipperino » mer 06 mag 2015, 14:05

E' difficile parlare di Turandot dopo le parole del Divino......
Una premessa è necessaria. Nutro per Turandot un amore viscerale, legato a incontri per me importanti, sia personali che musicali e pertanto ogni sera che assisto a quest'opera è per me frutto di emozioni e sentimenti che non passano mai senza lasciar segno nel mio vecchio cuore......
La regia - o meglio il quartetto Lenhoff, Schuler, Bauer e Schmidt-Futterer, completamente inscindibili in questa produzione - non dice nulla di nuovo. Ma lo dice molto bene grazie a colori bellissimi e a una certa eleganza. Sono soprattutto le luci che avvolgono continuamente lo spettatore a farla da protagonista, adattandosi in continuazione (e qui il tandem vincente è Bauer/Chailly) ai colori orchestrali. Non mancano le cadute di gusto: la spogliarellista sui libri sacri, il Principino di Persia pronto più per una sodomia che per una decapitazione, ma nell'insieme lo spettacolo si lascia godere per un che di straniante e grottesco. Bella l'idea di impersonare il gelo di Turandot con una corazza modello insettone, corazza che la principessa perde nella fase di scioglimento. Pessima invece la gestione delle masse corali. Suggestivi il finale II e il finale III.

E' però una Turandot da ricordare per la parte musicale.
Chailly conosce questa partitura a menadito e dirige da vero "onnipotente". Sembra quasi volerci ricordare che il nuovo direttore musicale è lui, e che il colore dell'orchestra si plasmerà a sua immagine e somiglianza (lo stesso colore ascoltato lo scorso anno, sempre con Chailly, nel requiem verdiano).
Dicevamo di Chailly, alza la bacchetta e i primi cinque accordi (la-mi-si-do-fa) ci portano immediatamente nell'atmsofera straussiana della Frau. Xilofono e timpani raccontano con estrema violenza che non siamo in una fiaba e i legni, nella lettura dell'editto, rispondono da par loro. L'ingresso della folla vede i legni protagonisti di un suono inquieto, atemporale, angosciante. I tamburi funebri punteggiano l'incontro tra Timur e il figlio con la giusta drammaticità, la cote gira grottescamente nei suoni del gong cinese e delle trombe. Chailly qui è un portento di rubati e "a tempo" senza soluzione di continuità, avvolgendoci in un magma sonoro impressionante. Il coro grida e ride: morte, morte, morte e sugli accordi iniziali l'atmosfera sovraeccitata si placa. L'invocazione alla luna è tenuta su un tempo meno sostenuto dell'andante indicato ma è vivo, pulsante, implacabile (grandissimo il clarinetto in queste frasi). Ma non abbiamo tempo di rilassarci, la marcia funebre incombe dolente, le note sempre uguali ripetute prima in sincope (la, si-sol, la fa), poi in terzine (la si la /sol la sol/ fa), poi in sedicesimi (la si la fa /sol la sol mi /fa) ci aprono l'ingresso di Turandot: solo così capisci perchè il Principe Ignoto perde la testa per lei! Musicalmente esaltante il finale primo: l'apparizione (in partitura) delle anime dei morti è resa in modo spettrale e ci prepara con la giusta angoscia al climax che nemmeno le due arie riescono a interrompere. In un istante giungiamo ai tre colpi di gong: un piccolo indugio, grancassa e timpani quasi sospesi atemporalmente e poi lo scatenato finale. Praticamente perfetto!

Il secondo atto si apre energico, veloce, con svisature quasi "jazzy" e le tre maschere raccontano con brio e vivacità la loro vita; la nostalgia dei luoghi natii. Precisissimo ritmicamente il racconto del Principe di Samarcanda con l'ottavino in gran spolvero fino alla grande melodia finale dove l'orchestra dispiega libera la melodia pucciniana con il massimo convincimento.
Tamburi, trombe, celeste e ottavini ci conducono alla seconda scena e la transizione musicale è così moderna da farci capire quanto sono debitori di Puccini sia Stravinsky sia Shostakovic sia lo stesso Schönberg. Udite cari snob quanto è genio qui Puccini!
La scena degli enigmi è costruita da Chailly come una ragnatela all'interno della quale si muove l'insetto Turandot: sonorità barbariche, grigiastre, sottili fili di suono annodati l'uno con l'altro che cercano di avvolgere il Principe Ignoto per farlo cadere e poter gioire di un ennesimo trionfo! Ma Calaf indovina, si svela e il finale è giustamente tellurico: le percussioni fanno letteralmente tremare la sala ma la precisione della scansione ritmica è talmente perfetta che ci sta anche un po' di suono kitsch!
L'atto terzo è ovviamente il più difficile a causa della cesura. L'andante mosso iniziale è finalmente misterioso, la morte di Liù è delicata, soffusa, quasi inevitabile. Non sto a dare giudizi su quale finale sia meglio o quale sia peggio; deciso di fare il finale di Berio, credo che nessuno lo avrebbe potuto rendere meglio di così. A differenza degli ottimi Bartoletti e Gergiev (da me ascoltati personalmente a Genova e Salisburgo) Chailly prosegue il discorso musicale senza evidenziare la cesura in modo netto, sottolineando invece in orchestra il grande lavoro compiuto da Berio - con buona pace del noioso critico che vicino a me pontificava sull'inutilità di tutte queste note! L'interludio scorre intenso, carico di dolore, quasi una ideale coda della trenodia di Timur - ricordiamo che il cadavere di Liù è ancora in scena - e ci porta al finale dolce, addirittura delicato in questa magica dissolvenza che il regista amplifica con una soluzione in se' banale (i due innamorati che si allontanano mano nella mano al buio verso la luce) ma visivamente efficacissima.
Una direzione che si pone come il vertice delle esecuzioni di Turandot dal vivo, al pari forse solo di quella di Maazel a Vienna. Un punto di riferimento assoluto.
Orchestra strepitosa, coro al di sopra di ogni lode, voci bianche comprese.

Vocalmente gli entusiasmi diminuiscono leggermente, pur rimanendo su un altissimo livello.
Carlo Bosi è un eccellente Altoum, in una parte insidiosa come poche. Brave le tre maschere, soprattutto interpretativamente. A livello vocale sicuramente il migliore è il Pong di Blagoj Nacoski, che canta tutta la parte senza mai scadere nella macchietta.
Tsymbalyuk è straordinario, grazie ad una voce calda, ferma, ben emessa con acuti saldi. Antonenko è il classico tenorone che spara acuti in se' anche gradevoli e facili ma che si accontenta solo di questo. Interpretazione inesistente e fraseggio un po' duro inficiano la sua prestazione. Resta però il dubbio su quale altro tenore scegliere per questa parte. Maria Agresta è una Liù nel solco della tradizione, dimessa, perdente, vittima sacrificale. Ma canta talmente bene, con tutto il repertorio di "cose giuste al punto giusto" da ottenere le ovazioni del Teatro. Liù è una parte in apparenza semplice, monocorde con due arie davvero perfette per vincere facile. La Agresta le canta semplicemente in modo perfetto, arricchendole di filati, assottigliamenti, sonorità piene: e il gioco è fatto! Chapeau!
Resta Turandot: Nina Stemme è una grandissima artista e, se anche è vero che i Do sono difficili (ma meno difficili di venerdì scorso), il risultato è strepitoso per potenza, intensità, forza dirompente. Sorprende, positivamente, per la continua ricerca di note più assottigliate nei momenti musicalmente rarefatti e trionfa a mani basse nel finale (laddove Antonenko è invece in difficoltà). Grande intuizione quella di iniziare il primo enigma con voce gelida e stentorea, proseguendo nel secondo e ancor più nel terzo con una voce più piccola, a testimoniare la paura, lo sgomento, l'ansia del dover lasciare i panni della Principessa di Gelo e vestire quelli di una donna. Altro Chapeau!
Certo, magari a qualcuno piacerebbe una Turandot più belcantistica ma mi permetto di dire che con pochissime eccezioni (peraltro non perfettamente riuscite - e guarda caso con lo stesso Chailly), Turandot in teatro è una cosa, Turandot in sala di incisione è un'altra!

Una serata magnifica, come da tempo non vivevo alla Scala!
Marco
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Re: Turandot (Puccini)

Messaggioda reysfilip » ven 08 mag 2015, 20:00

Ieri sera ho finito la visione di questa Turandot. Confermo le precedenti impressioni (Chailly a me pare fantastico) a parte quella sulla Stemme che nel terzo atto mi è parsa meno in difficoltà e tremendamente brava (soprattutto nel finale).
Peccato non vederla a teatro.
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Re: Turandot (Puccini)

Messaggioda vivelaboheme1 » sab 09 mag 2015, 12:22

Vista ieri sera. Bella - non di più e non di meno - ma non "prende". Chailly indubbiamente sguazza in Puccini e l'esito è decisamente migliore rispetto, ad esempio, all'Aida inaugurale di anni or sono. Da tempo, tuttavia, il maestro milanese ha inaugurato una sua "poetica" dei decibel. Qui il baccano - peraltro controllato, con una bella scelta di suoni sordi, gelidi - ci sta anche (non è il solo modo di leggere Turandot) in una visione barbarica e "novecentesca". E, dalla mia postazione (prima galleria centrale) nonotante il frastuono i cantanti non erano coperti. Il dubbio e il limite è che questa stessa poetica dei decibel viene applicata in Verdi, in Mahler, in Sostakovic.... in tutte, dicasi tutte, le apparizioni di questi anni del direttore. Però con Puccini, Chailly ha da sempre feeling e si sente.
Non mi pare che la sua scelta "fonica" e strutturale si sposi completamente con il (gradevole) kabarett di Lenhoff. Avrei "visto", per questo spettacolo (un po' datato, ma, rispeto, gradevole nel gioco dei colori) una direzione ironica, tagliente, aspra ma leggera. Mentre ascoltavo mi veniva in mente il nome di un geniale outsider della direzione che sarebbe stato bene sul podio "con" questo spettacolo: Kristian Jarvi. Qui siamo (a mio avviso) di fronte ad una direzione (buona) e a uno spettacolo (buono) che procedono di fatto divaricati, anche se il progetto è nato in comune. Fra l'altro, l'orchestra di Chailly è quasi un bianco e nero mentre la scena rutila di colori.Accade poi che la direzione così materica di Chailly debba fare i conti con lo sdilinquimento del finale di Berio (altra cosa gradevole, ma altra cosa estranea al resto). Si passa da Turandot a Via Col Vento, e lo scarto è evidente.Dopo la prima si è sparato a zero sul Calaf di Antonenko. Sicuramente si sentono suoni nasali non gradevoli e alcune note ballano. Però questo canto squadrato, un po' barbaro, "corrisponde" alla direzione di Chailly. Nina Stemme è la grande cantante che sappiamo: canta benissimo la parte Berio e sta in scena come una dea, vestita dello stupendo costume nero a tentacoli (quello, e l'archetto rosso con cui si difende o attacca il mondo sono il meglio dello spettacolo di Lenhoff) che la trasforma da dominatrice, quando domina, ad una sorta di scarafaggio nero spiaccicato quando è a terra, vinta. In un costume c'è tutto il personaggio, e questo è geniale. Eppure alla Turandot-Stemme manca qualcosa: quegli acuti presi – e sparati – “staccando” continuamente la voce (preparazione, pausa, acuto) sembrano indicare una difficoltà, il che finisce per nuocere alla realizzazione vocale del personaggio. Dopodiché, resta Nina Stemme: una gigantessa del canto. Maria Agresta è una quasi impeccabile Liù. Gran basso il Tymoshenko.
Bene l’orchestra (c’è una meraviglia: l’arpa della Prandina in chiusura di Signore Ascolta: momento di genio anche da parte di Chailly) ma… ha trovato il direttore giusto per lavorare (come avrebbe da tanto tempo bisogno) sulle sfumature? Mah. Benissimo il coro.
Il tutto per una Turandot (non di più e non di meno) bella. Che piace ma che non resta nell’anima.

marco vizzardelli
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Re: Turandot (Puccini)

Messaggioda vivelaboheme1 » sab 09 mag 2015, 14:13

Per chiarire: con davanti quella messa in scena, ci voleva un direttore - magari anche un barocchista di genio - che avesse il coraggio di alleggerire anziché appesantire. Eseguirla come fosse Un Opera da Tre Soldi. Aspra, ma fatua, leggera. E il finale di Berio si sarebbe inserito a perfezione. Allora avremmo assistito ad uno spettacolo memorabile

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