Ma, quell'anziano direttore che alla Scala avanza e sale sul podio con passo incerto e stanco, ed esegue un'Aida mortale, lenta e pesante nella scansione e nei fiati impossibili richiesti ai cantanti, lutulenta e greve nel suono, è lo stesso che a Napoli incendia di passione Tristan und Isolde, avvolgendolo in un meraviglioso suono pastoso, che infiamma fino a renderlo fremente il duetto atto 2°, che scalda di affetti il monologo di Marke rendendolo memorabile, che accende di illusorio vigore ritrovato il doloroso ultimo atto di Tristan, che, infine, ci lascia in una surreale nuvola di suono (quelle arpe, proprio all'ultimo!) nella quale avvolge l'annientamento di Isolde? E che, ad opera conclusa, salta sul palco come un giovincello con tutta l'orchestra, corre da tutti i cantanti, raccogliendo il meritato trionfo?
Sì, è sempre lui: Zubin Mehta, che al San Carlo di Napoli (del quale è ospite per la prima volta) tocca uno dei vertici della sua gloriosa carriera, coadiuvato con ottima volontà da un'orchestra non immacolata ma impegnatissima e devota, e da un valido cast: la forse miglior prova da soprano del comunque mezzosoprano Urmana, che talora urla ma è intensa e consapevole Isolde, il solidissimo Tosrten Kerl, un Tristan che (caso rarissimo, al giorno d'oggi) arriva vocalmente fresco come una rosa all'ultimo atto, il magnifico, dolente Marke di Stephen Milling (forse il migliore in campo), l'intenso Kurvenal di Jukka Rasilainen, la decorosa Brangane di Lioba Braun. Il tutto avvolto nell'elegante spettacolo di Lluis Pasqual (ripreso da Caroline Lang) su scene e costumi di Frigerio e Squarciapino, giustamente recuperato dal San Carlo.
Il milanese in trasferta a Napoli ammira e applaude questo meraviglioso Mehta, poi però si chiede: cosa c'è che non va alla Scala di Milano (specie di questi tempi), che un po' tutto e tutti ci s'intristiscono?
marco vizzardelli