Les Contes d’Hoffmann al Met riservano sorprese e delusioni.
E’ impossibile parlare della regia di Bartlett Sher senza considerarla come uno splendido lavoro di equipe con le scene di Michael Yeargan, i Costumi di Catherine Zuber e le luci di James F. Ingalls. Tutti e quattro sanno davvero come stupire e tenere altissima l’attenzione dello spettatore con “quadri” immaginifici di spettacolare bellezza. La birreria lurida e piena di camerieri in perizoma, il laboratorio di Spalanzani che ricorda gli inventori folli dei cartoni animati, il palazzo veneziano che ricorda il luogo di feste orgiastiche ai limiti del porno. Insomma l’occhio non sa quasi mai dove guardare, tanta e tale è la ricchezza di idee e particolari del team che ci si perde nell’enorme palcoscenico alla ricerca di una completa comprensione di quanto sta in scena: forse un difetto che rende lo spettacolo “oltre le righe” ma il tutto è talmente “eye-catching” che il divertimento è assicurato.
La prima grande sorpresa arriva dal protagonista. Vittorio Grigolo è Hoffmann da subito e mai avrei immaginato una totale immedesimazione nel personaggio da parte del tenore aretino, sia vocalmente che interpretativamente. Grande attore in scena, divertente, divertito, misurato, sufficientemente folle e disincantato nel raccontare i suoi amori da dimenticare. Una grandissima prova anche dal punto di vista vocale: sicuro, musicale, dalla voce brillante e svettante negli acuti. Una piacevolissima sorpresa. Ho avuto modo poi di ascoltarlo ospite di un programma tv e ha spiegato – in un quasi perfetto inglese – la sua visione del personaggio, puntualmente resa in scena. Bravo.
Non meno brave le donne con una menzione particolare per Erin Morley, straordinaria bambola, svettante negli acuti senza essere petulante, divertente, meccanica al punto giusto, trascinante nella sua aria, terminata con una meritatissima ovazione. Brava la Nicklausse di Kate Lindsey dalla voce cremosissima e calda, perfetto alter ego del protagonista, in versione mistress capricciosa…. Lascia perplessi Hibla Gerzmava, non tanto per la sua prestazione come Antonia, cantata con voce adeguata, dolce, sofferente, quanto per la scelta – abortita fortunatamente qualche giorno prima – di voler interpretare tutti e tre i ruoli, per i quali a mio avviso non avrebbe avuto adeguati mezzi vocali. Christine Rice punta tutto sull’erotismo nell’interpretare Giulietta, forse spinta dal regista, regalandoci un bel personaggio ma un po’ monocorde. La sua fuga sulla gondola però è davvero un momento di teatro affascinante.
Ed eccoci alla grande delusione: Thomas Hampson. Cosa lo abbia spinto a interpretare tutti e quattro i ruoli “scuri” è un mistero! I ruoli richiederebbero un bass-baritone con buoni acuti e Hampson purtroppo va in difficoltà nel cercare di scurire la voce per ottenere un colore che non ha, trovandosi come incatramato. In particolare “Scintille, diamant” è faticosissima con pericolosi scarti di inotonazione. La delusione maggiore però arriva dal lato interpretativo dove Hampson avrebbe potuto giocare le sue migliori carte, Forse davvero troppo preso dai problemi vocali, invero sollecitati dai mille movimenti scenici, ha optato per una generica cattiveria, buona per tutti i ruoli, senza differenziare o approfondire i personaggi, un po’ come se interpretasse la stessa parte declinata con nomi diversi…. Mah….
Bravi tutti gli altri personaggi, soprattutto scenicamente.
La direzione di Yves Abel – che ha scelto una versione mista Oeser con alcune modifiche – è stata lineare e in linea con il rutilante mondo di Sher. Tempi rapidi nei momenti “cinematografici”, piccoli indugi nei momenti più romantici, in particolare nella Barcarolle e nel finale dell’opera. Grande successo per tutti, con punte di trionfo per Grigolo e la Lindsey.