E' probabile che gli ultimi "direttori veri", cioé in grado di dirigere dando un' impronta interpretetativa e non limitandosi a far sussurrare l'orchestra in accompagnamento ai cantanti, de I Capuleti e i Montecchi siano stati addirittura il giovane Claudio Abbado e in seguito Riccardo Muti. L'opera belliniana passa tradizionalmente nelle mani dei blandi "maestri accompagnatori". Ci voleva il più intraprendente ed organizzato teatro lirico italiano d'oggi, la Fenice di Venezia, per chiamare, sul podio dei Capuleti, un vulcano di genialità e senso del teatro in musica quale Omer Meir Wellber. E l'opera, in scena in questi giorni di metà gennaio, ne è uscita trasfigurata, in una espressività scabra, violenta, sommamente tragica (impressionanti i colpi di grancassa, sordi e scurissimi, che siglano la vicenda) cui l'orchestra de La Fenice - tutt'uno con Wellber con il quale è affiatatissima - vincendo l'essenzialità dell'orchestrazione medesima belliniana fino a farne, appunto, "espressività" - ha dato apporto magnifico. Idem il coro: costretto da una regia piuttosto cervellotica a movimenti e posizioni abbastanza assurde, ha fornito prestazione magnifica per intensità e spessore drammatico richiestigli. e assolutamente ottenuti dal direttore isrealiano. E' pur vero che i Capuleti sono opera di voci: ma di dramma, anzi di tragedia, dunque di teatro in musica si tratta: e grandissimo teatro è, in particolare, la quarta ed ultima parte (il finale second'atto), dall'autoavvelenamento di Giulietta in poi. E qui, si deve dire, i Capuleti de La Fenice si sono avvalsi di un Romeo di grandissima classe: quallo sortito dalla voce e dell'intelligenza di una Sonia Ganassi incandescente, saldissima nella vocalità pur ormai "larga" per la parte (si sente che frequenta ormai altri ruoli) dunque magari chiamata, nel primo atto, a far fronte con l'espressione ad un disegno vocale belcantista che oggi la può mettere un po' in difficoltà, ma memorabile là dove il suo Romeo prende i toni del noir e della tragedia. Lì la cantante attrice Ganassi è magistrale: una rilettura di Romeo respirata momento per momento con Wellber, con il quale la cantante si è indubbiamente benissimo trovata.
La Giulietta di Jessica Pratt è più, tutta, "sul canto": impeccabile, forse un po' algida, come accade a questo soprano. Una bellissima prova di "strumento vocale" cui manca, rispetto a quella della Ganassi, il "carattere" drammatico, che pure non mancherebbe alla Giulietta belliniana.
A posto Shalva Mukeria-Tebaldo e Luca Dall'Amico-Lorenzo.
Deboluccio, invece, lo spettacolo di Arnaud Bernard: riesce ad essere efficace quando delinea il dialogo fra i singoli, ma non sempre lo fa e si perde in intutili controscene che lo rendono di oscura lettura, inutilmente inserendo personaggi in abiti (elmetti) moderni, brutti pannelli scenici geometrici. Poco felici anche i "colori" di scene e costumi. Ma il finale, con i personaggi "bloccati" in una tela con cornice dorata, è bello ed efficace e trova - almeno in quel momento - il tono giusto della tragedia così ben disegnata dal podio, da Omer Meir Wellber, cui siamo grati di una lettura tale da aprire squarci di novità su un'opera - e forse un repertorio - troppo spesso "convenzionalizzati" da direttori di routine.
marco vizzardelli