Riccardo ha scritto:trovi che la Sutherland sguizzasse tra i rubati addirittura? Lei? A me è sempre sembrata molto metronomica, troppo ferrea nel rigore per queste cose che dici tu.
Dove trovi che attuasse giochi dinamici, alchimie di fraseggio etc?
Ma dici sul serio, Ric?
Ma ...non saprei che esempi farti: tutto direi!
Intanto specifichiamo una cosa: rubare non vuol dire andar giù di metronomo, almeno non nel canto.
La Caballé si prende grandi libertà col metronomo e (in certi casi) compromette l'intelaiatura della frase musicale per sottolineare (con indugi e allargamenti) ciò che le preme sottolineare.
Ma questo non è rubare.
In teoria (so che i pianisti se lo sono dimenticati
) "rubare" significava togliere a una nota (a livello di durata) per dare a quella vicino.
La battuta rimaneva tale a livello di durata: cambiava impercettibilmente il rapporto fra le note al suo interno, non la pulsazione.
In questo la Sutherland è una vera maestra.
Io non ho mai più sentito qualcuno aleggiare sulla melodia come faceva lei, muovendosi con la leggerezza di un fuoco fatuo, pur lasciando alla melodia tutta la sua bella struttura ritmica.
La Callas era ugualmente una maestra del rubato, ma in modo (come dire...) più solido, più determinato. Per lei il ritmo era qualcosa di possente, una semplice anacrusi poteva penetrarti come una spada.
La Sutherland vive il rubato con una leggerezza che invece ti avvolge e ti ipnotizza, che anima la melodia (anche la più semplice) di un'inquietudine dalle suggestioni irreali.
Il suo "Casta Diva" è sconvolgente proprio per questo: non perché faccia "tanti bei suoni" (come pretendono gli ingenui) ma perché con la sua libertà ritmica scioglie la melodia in mille fluttuazioni, in mille evoluzioni, in un ricamo magico di allentamenti impercettibili e fulminei recuperi.
E' per questo che evoca i raggi della luna che filtrano dai rami di alberi secolari.
Se senti il suo "Qual cor tradisti" resti incatenato al suo canto (ebbene, sì... in questo brano... più della stessa Callas, almeno per me) perchè sul nitore giustamente inesorabile di Bonynge (a marcia funebre, cadenzata da quel timpano che sussurra la figurazione della morte) la Sutherland muove il suo pianto in un'infinta serie di tensioni ritmiche, che ti fanno sosprirare (sia pure inconsapevolmente) l'evoluzione di una frase, o l'approdo in una cadenza... che quando arriverà sarà implacabile.
Ma anche nei passaggi veloci e fioriti, la Sutheralnd è sempre maestra di rubato.
Qualsiasi agilità, volatina, scala cromatica, gruppetto, mordente è SEMPRE rubato dalla Sutherland: sembra persino più virtuosa di quel che è, propiro perchè la sua agilità è inquieta, mossa, vibratile e mai meccanica.
No, no... Ric, abbia pazienza!
Il tuo processo di conversione al Sutherlandismo è ancora incompleto!
Dobbiamo ancora lavorarci parecchio!
Il fraseggio della Sutherland, la sua gestione ritmico-dinamica della frase, è qualcosa di immenso. Altro che mi bemolli e bei suoni.
Sulla Silja devo aver detto troppe castronerie se non hai commentato
Ma no, Ric... nessuna castroneria.
Semmai opinioni divergenti.
Diciamo che io non posso spingermi ai tuoi estremirmi.
Il rapporto fra teatro e musica nell'opera è un rapporto dialettico; Strauss ci ha pure scritto un'opera!
Ci potrà essere di volta in volta l'egemonia dell'uno sull'altra, ma l'uno senza l'altra non è opera.
Sarà teatro... sarà musica... non teatro musicale.
Lo stesso vale per il rapporto fra parola e suono nel canto.
E' chiaro che nel canto c'è anche il suono (già portatore di un significato).
E' chiaro che nel canto c'è la parola (già portatrice di significato).
Ma questi due significati interagendo e mescolandosi fra loro ne producono un terzo, che non è più quello della parola, non è più quello del suono, ma è quello del canto.
Non credo che per nessun cantante, nemmeno per la Sutherland e... ancora meno per la Silja, il suono possa avere tanta importanza da oscurare completamente la parola.
Pare che si siamo allontanati molto dal tema del Thread, in realtà non è così.
Perché è giusto che parlando di Elektra, ossia di una delle opere che - come disse la Schumann Heink - ha portato alle estreme conseguenze l'uso del declamato, si arrivi a discutere del rapporto fra suono e parola, come stiamo facendo io e te.
Salutoni
Mat