reysfilip ha scritto:La Denoke è alle prese con un linguaggio che non le appartiene per niente,
Concordo.
Paul Groves, che non conoscevo, ha una voce sicuramente limpida e bella ma si sente che ha avuto momenti migliori per cantare ruoli come questo (e infatti vedo che sta per debuttare Lohengrin a Oslo).
Male. Come a dire, quando hai la voce rotta sei pronto a cantare Wagner.
Devo comunque ammettere che alcune parti mi sono poco chiare, soprattutto nel terzo atto, che comunque si conclude con una scena veramente meravigliosa.
Che Warlikowski non sia un regista “facile” mi sembra indubbio. Pure, trovo che questa Alceste sia uno spettacolo estremamente intrigante. Interessantissima la continua commistione tra aspetti di realismo (anzi, a tratti addirittura di iperr-realismo come nell’intervista alla regina Alceste ad inizio spettacolo, o allo scontro dialogato tra Admeto e il padre Ferete) e aspetti chiaramente onirico-surreali (non solo nella scena dell’Ade ma anche in numerosi momenti dello spettacolo).
La vicenda non è trasposta in un lontano “altrove”. Il mito è qui e ora. Quasi ogni personaggio reale ha un proprio alter-ego mitologico. Così il Sacerdote (uno splendido Willard White), rappresentante di una religione che è “stampella” del potere (di grande impatto il suo porgere il rossetto ad Alceste, invitandola a nascondere, a “mascherare” il suo pallore di more. Come a dire: coraggio, bella mia, il tuo sacrificio è necessario al bene dello stato) ha la sua efficacia controparte nella figura di Morte/Caronte, con un accostamento analogico di grande immediatezza: la religione come instrumentum regni, pronta a sacrificare le istanze di vitalità del singolo a favore di un presunto “bene superiore” .
Admeto è un uomo meschino, pusillanime, insensibile e spregevole. E’ chiaro che il tentato suicidio della consorte (narrata nell’intervista introduttiva) non ne ha modificato in alcun modo il rapporto con Alceste (che anzi, ha continuato ad utilizzare a fini “strumentali”, per accrescere la forza del suo regno). La morte di Alceste è quindi un sacrificio che ha il sapore dell’omicidio.
Tutto il terzo atto si inserisce con grande coerenza nell’impostazione complessiva dello spettacolo. In questo Ade assistiamo a scene di “rianimazione di cadavere”. Non il tentativo di vincere la morte con la vita. Ma il tentativo, destinato allo scacco, di far respirare un cadavere. E infatti, una volta riemersi dall’Ade ritroviamo Alceste in carrozzella, tetraplegica, verosimilmente in stato vegetativo. Non è l’amore che le ha infuso vita, ma è stata rianimata artificialmente con atti che nulla avevano dell’amore. Nell’Ade i cadaveri si muovono come animati da scosse elettriche, come cadaveri sottoposti a defibrillazione. Si assiste al tentativo artificiale di portare in vita dei cadaveri. Ma non c’è amore. Mai. Anzi, assistiamo a scene di vera e propria necrofilia, di sesso (non amore!) con cadavere.
A chi si deve l’efficacia di questa “rianimazione di cadavere” che riporta Alceste in “vita”? Ad Eracle. Davvero la persona più indicata! Eracle, l’ “eroe” che uccise di propria mano moglie e figli (e glielo rinfaccia Morte/Caronte in un dialogo intriso di cinismo). Eracle, l’alter-ego di Admeto (che poco prima avevamo visto col volto mascherato giocare a scherma (altro simbolo di morte) con i figli di Admeto ed Alceste).
Non c’è amore. Non c’è amore nel sacerdote, non c’è amore nel popolo (indifferente alle vicende della monarchia così come al sacrificio di Alceste), non c’è amore in Admeto.
Non c’è alcun amore altrui che redime, che salva. Nel finale Alceste, incosciente e confinata in sedie a rotelle, si rialza animata dal proprio amore. Il miracolo non è opera di un deus ex machina. Non è un caso che Apollo, il dio della luce, sia in realtà portatore di una luce al neon effimera, artificiale, intrisa di morte (è la stessa luce al neon che illumina l’Ade/obitorio). E’ Alceste stessa a compiere il miracolo, è il suo amore a ridarle, sebbene solo per un attimo, vita. Il miracolo della vita sgorga dal suo stesso sangue sparso per la propria casa, per la propria famiglia, per i propri figli: come reso manifesto nei disegni che traccia col dito intriso di sangue nell’inserto video finale.
Insomma sicuramente uno spettacolo da vedere.
Direi!
PS: Il prossimo mese Warlikowski mette in scena il Don Giovanni alla Monnaie, e come sempre verrà offerto lo streaming per un mese, quindi magari potremmo ritoccare l'argomento.
Volentierissimo!
DM