Guillaume Tell (Rossini)

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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda reysfilip » ven 18 lug 2014, 10:42

Ho visto il video di questo Guillaume Tell bavarese, e...mamma mia!
La regia è praticamente un Bieito annacquato, ma almeno Bieito realizza scenografie più semplici e di solito sa anche come sfruttarle. Qui il nulla, a parte gironzolare tra quei tubi. Comunque complimenti alla Bayerische Staatsoper: ci vuole coraggio a prendere un regista che non ha mai fatto opera e buttarlo nel Guillaume Tell. Infatti il signor Antu Romero Nunes è affermato in tutta l'area germanica come regista di prosa, e da bravo regista tedesco si è adattato la parte alle sue "esigenze" facendo una notevole serie di taglietti e revisioni. Vabbè almeno ci ha provato.
La parte musicale a me non è sembrata così pessima. :oops:
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda DottorMalatesta » ven 18 lug 2014, 12:43

vittoriomascherpa ha scritto:
DottorMalatesta ha scritto:...struttura anfiteatrale...

Ma ANFIteatro non sarebbe una roba speculare come il Colosseo, o perlomeno quasi, come la Philharmonie?


Già...
:oops:

Diciamo "ad emiciclo"?

: Thumbup :

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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda DottorMalatesta » gio 09 ott 2014, 11:47

Sabato sera sarò a Bologna per il Tell.

Ci sarà qualche altro/a operadischino/a?

Ciao!

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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda mattioli » gio 09 ott 2014, 18:10

Sabato sera sarò a Bologna per il Tell.


Ma non è una matinée?
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda DottorMalatesta » gio 09 ott 2014, 20:10

mattioli ha scritto:
Sabato sera sarò a Bologna per il Tell.


Ma non è una matinée?


Tranne che a Monaco (dove dura due ore e mezzo, intervallo incluso : Andry : ) il Tell di solito inizia come soirée e finisce come matinée o viceversa (in questo caso penso che per mezzanotte e mezza lo spettacolo sarà finito...).

Peraltro sarò a Bologna per meno di 24 ore. Questo giro niente tortellini in brodo né prosciutto : Hurted :

A presto!

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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda mattioli » ven 10 ott 2014, 11:23

Quel che cercavo di dire è che la recita del 18 inizia alle 15.30, quindi nemmeno se eseguono tutto può finire dopo la mezzanotte...
Ciao, divertiti a Bologna

AM

PS: come faccio a cambiare la password?
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda DottorMalatesta » ven 10 ott 2014, 11:28

mattioli ha scritto:Quel che cercavo di dire è che la recita del 18 inizia alle 15.30, quindi nemmeno se eseguono tutto può finire dopo la mezzanotte...
Ciao, divertiti a Bologna

AM

PS: come faccio a cambiare la password?


E quello che cercavo di dire io è che domani inizia alle 19.00! : Chessygrin :

Per la password suggerirei messaggino privato al bagnoli!

: Thumbup :

Ciao!

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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda DocFlipperino » ven 10 ott 2014, 11:35

meravigliosamente surreali :shock:

vi adoro! : Chessygrin :
-------------------------
è in arresto. sì! all'ottavo piano....
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda DottorMalatesta » ven 10 ott 2014, 12:08

DocFlipperino ha scritto:meravigliosamente surreali :shock:




Lo so. Ci hai mai visto insieme? Sembriamo Stanlio e Ollio :lol:

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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda mattioli » ven 10 ott 2014, 12:31

Un divertente qui quo qua, come dicono i veri colti...
Comunque io sono Ollio, perché peso circa il triplo di Malatestino. A proposito, Mala, se non capisci la regia guarda nel programma di sala...
Ciao ciao

AM
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda DottorMalatesta » dom 12 ott 2014, 21:02

mattioli ha scritto:A proposito, Mala, se non capisci la regia guarda nel programma di sala...


Ti dirò, Alberto: non condivido del tutto la valutazione sulla concezione registica e sul risultato complessivo. :roll: Vediamo se riesco a farmi capire... :mrgreen:

A prima vista la regia di Vick sembrerebbe focalizzarsi sulla solita opposizione tra oppressi ed oppressori, ma in realtà il nucleo della concezione registica di questo spettacolo risiede nel contrasto tra natura e artificio. Da un lato la comunità degli svizzeri e il suo legame alla madre terra, origine e senso di ogni cosa (“ex terra omnia”). Dall’altro gli austriaci, per i quali la natura va posseduta, dominata, manipolata, ricreata artificialmente. Da un lato la terra nella sua spontaneità, autenticità e immediatezza, dall’altro l’asetticità della "tecnica". Prima ancora che a Thomas Mann e alla sua contrapposizione tra Kultur e Zivilisation, il pensiero corre a Jean-Jacques Rousseau, morto quattro anni prima della nascita di Rossini, intellettuale che fu la “coscienza critica” dell’Illuminismo, nel suo denunciare la corruzione dell’essere umano provocata a suo dire dall’allontanamento dallo stato originario di natura ad opera del “progresso” delle scienze e delle arti (si rilegga il suo “Discorso sulle scienze e le arti”).
La comunità degli svizzeri è costretta all’interno di uno spazio bianco, asettico, una sorta di prigione dalla quale è reciso ogni legame con la natura. In apertura del primo atto gli svizzeri, uomini e donne, sono costretti a ripulire il pavimento eliminando ogni residuo di terra. Se la terra è prima di tutto madre, la violenza subìta dal popolo svizzero è quella di chi – come Arnold - si vede privato del proprio genitore.

Immagine

Per gli austriaci invece la natura viene ricreata artificialmente, asservita alla brama di potere, manipolata a fini di propaganda (la ripresa cinematografica di fondali su cui sono dipinti panorami alpini), privata di vita e quindi imbalsamata (i cavalli all’inizio del secondo atto). I ballabili al terzo atto mostrano gli oppressori austriaci che seviziano il popolo svizzero con atti “contro natura” (particolarmente insistita la sottolineatura della pedofilia di Gessler), con chiaro riferimento a Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini (però la realizzazione di Vick è piuttosto tiepiduccia: riferendosi al film di Pasolini McVicar, nella sua Salome, aveva dimostrato ben altra forza espressiva; peccato perché invece i ballabili del primo atto di questo Guillaume Tell sono davvero molto “a fuoco”). Il secondo atto si apre mostrando dei cavalli imbalsamati “clamorosamente finti” e che al momento della congiura “verranno rovesciati e trasformati in barricate, mostrando plasticamente quel che sono: artificio, spot, finta natura, finta terra” (come scrive Alberto Mattioli in un bellissimo contributo nel programma di sala). Natura e artificio. Artificio contro natura. Natura contro artificio.

Immagine

Tuttavia, a prima vista alcune scelte registiche sembrano incongrue rispetto alla concezione di fondo dello spettacolo. Perché aprire il terzo atto mostrando il cadavere di un cavallo imbalsamato e decapitato da cui sgorga vero sangue? Perché questa commistione di natura e artificio, in apparenza così incongrua? Perché la videoproiezione del mare alla fine del quarto atto, proprio quando si celebra la vittoria della natura sull’artificio? Perché il finale con la scala rosso sangue che scende dal soffitto, allusione al progresso dell’uomo (sale la scala solo il giovane Jemmy, il “futuro dell’umanità”) ed esaltazione delle “magnifiche sorti e progressive”? Vick costruisce tutto lo spettacolo sulla contrapposizione tra natura e artificio (anche il filmino al quarto atto che mostra Arnold bambino ricevere una zolla di terra dalla mano padre è la dimostrazione che ormai della realtà della natura è rimasto solo l’immagine artificiale, il ricordo fatto di celluloide), eppure non riprende questo aspetto nel finale.

Immagine

Perché? Nel finale, tanto per dire, avrebbe potuto pensare a qualcosa di diverso. Poteva mostrare il popolo che abbatte il muro di plastica sullo sfondo per far ri-entrare la foresta oppure far vedere il popolo che rimuove le asettiche piastrelle bianche del pavimento per far ri-emergere la terra da cui era stato separato a forza (“liberté, re-descends des cieux; que ton règne re-commence”). Si poteva concludere l’opera mostrando un po´ di terra che scende dal cielo come pioggia fecondante… E invece no. Nessun ritorno all’autenticità della natura. La concretezza della terra è sostituita dalla simbologia della scala rivestita di velluto rosso che scende dal cielo e che fa salire al cielo. La concretezza della realtà è sostituita dall’artificialità dell’utopia. Impossibile tornare nel seno della natura: dopo la caduta, dopo il “peccato originale” nessun ritorno all’Eden è possibile. La natura nella sua immediatezza è perduta per sempre. Da un artificio, quello della tecnica che manipola la natura secondo i suoi fini (si veda il concetto di “téchne”/tecnica espresso dal filosofo Emanuele Severino) si passa ad un altro artificio, quello dell’utopia socialista nel progresso umano. Rousseau avrebbe gridato al tradimento. E con lui, probabilmente, lo stesso Rossini.
Per quanto riguarda la concezione di fondo dello spettacolo, tutto più o meno bello, tutto più o meno condivisibile. Peccato che a teatro la forma conti almeno quanto il contenuto, anzi di più. Così dovrebbe essere sempre, nell’arte. Purtroppo, ad esempio nell’arte visiva contemporanea, capita spesso di assistere ad una scissione quasi dolorosa tra qualità della forma e del contenuto: la forza e la suggestione del contenuto troppo spesso si “incarna” in forme mediocri, col rischio che l’arte, dopo il divorzio tra estetica e concetto, si degradi in forma senza contenuto o contenuto senza forma. Come talora capita in questa regia. Vick propone una tesi suggestiva e valida, ma realizza uno spettacolo di imbarazzante goffaggine. Il problema sta nella sua difficoltà nel gestire le peculiarità di quest’opera caratterizzata, come poche altre, dall’identità sfuggente e mutevole: Guillaume Tell è opera francese ed italiana, neoclassica e preromantica, narrativa ed evocativa, tradizionale ed innovativa. Le imponenti proporzioni dell’architettura di questa “madre del grand opéra” sono appesantite da una direzione d’attori fiacca (per non dire assente), da una narrazione priva di tensione, da un “vorrei ma non posso” o da un “vorrei ma non troppo”. Insomma, uno spettacolo interessante, ma riuscito a metà.
Nel complesso eccellente, invece, la parte musicale. Michele Mariotti sottolinea forse in maniera troppo insistita le inquietudini preromantiche dell’opera, talora col rischio di eccedere nelle sonorità, ma dirige con estrema chiarezza, esaltando dettagli e colori senza perdere di vista la tensione complessiva dei vari brani. E’ un direttore straordinariamente talentuoso, e tra i giovanissimi direttori italiani certo il più promettente ed interessante.
Il protagonista, Carlos Alvarez, nella parte che fu creata da Dabadie, dimostra grande sicurezza, ma la voce è costantemente bloccata sul mezzoforte, e il rischio è quello di una certa piattezza espressiva e monotonia. Mathilde è interpretata dalla brava e solida Yolanda Auyanet, a suo agio in tutta la tessitura, sebbene a tratti non impeccabile nell’intonazione. Michael Spyres affronta il temibile ruolo di Arnold con l’eleganza e la stilizzazione degna di un autentico haute-contre: la sicurezza degli estremi acuti emessi in registro pieno con consonanza di testa (sebbene con una voce non eccessivamente voluminosa), le mezzevoci, il dominio della prosodia francese, la resa degli aspetti elegiaci e sognanti di questo personaggio “mesto e gentile”… Al giorno d’oggi impossibile chiedere di meglio. Di ottimo livello i comprimari, tra i quali si segnala la Jemmy di Mariangela Sicilia, voce sicura e svettante (e convincente dal punto di vista scenico): penso che negli anni a venire questo giovane soprano ci serberà delle sorprese. Ottima la prova di coro ed orchestra. Applausi convinti e calorosissimi per tutti.

Più di qualcuno (dove il più è inteso in senso soprattutto qualitativo, trattandosi di gente come Maugham : Love : , Beck, Tucidide...) ha visto questo spettacolo. Sarebbe bello discuterne insieme...

VIVA ROSSINI : Love : !!!

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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda vivelaboheme1 » gio 16 ott 2014, 15:52

Per chi approdi a Biologna in treno, come è stato per chi scrive, Il solo motivo di non ascoltare e e non vedere questo straordinario Guglielmo Tell è... la Stazione Ferroviaria di Bologna nell'imponente e presumibilmente costosissima ristrutturazione che l'ha trasformata, allo stadio attuale (manca qualche rifinitura) in un INCUBO per il viaggiatore in partenza o in arrivo. Quando arrivate dovete salire, salire, ancora salire, scale mobili e non, prima di riveder le stelle, cioé Piazzale Medaglie d'Oro. Per ripartire, calcolate - fra indicazioni criptiche o erronee e scale per scendere, scendere, ancora scendere, un quarto d'ora fra Piazza Medaglie d'Oro e il vostro treno: e calcolate bene, perché rischiate di perderlo, persi nell'avveniristico labirinto. Credevo che l'Oscar della ristrutturazione idiota spettasse agli ideatori della "nuova" Stazione Centrale di Milano - quella in cui per andare da un tapis-roulant all'altro si fanno centinaia di metri a piedi senza tapis-roulant. Ebbene, Bologna, "vince" a... binari bassi il Premio dell'Idiozia. In entrambi i casi, i rispettivi Architetti/Ingegneri ne escono sotto le ingiurie degli utenti.


Ma ne valeva la pena, per questo Tell Francesco ci ha descritto dettagliatamente la parte scenica, solo che (e per fortuna, così si discute) non sono d'accordo con le sue conclusioni parzialmente negative. Non mi dilungherò, perché più interessato, qui, a segnalare un altro aspetto di grandezza (la direzione). Dirò subito che, nell'insieme, il Don Giovanni-formato mignon di Graham Vick (Circuito Lombardo) di cui ho appena narrato, mi sembra lavoro più compiuto (infatti è più contestato da quelli che, nel 2014, ancora "si scandalizzano" per il sesso in scena). Qui, di fronte al difficilissimo "monumento" rossiniano, la "mano" di Vick è stata pur sempre ardita, ma nel complesso più cauta. Gli è scappata, a mio avviso, proprio all'inizio una brutta, didascalica, gigantografia del Cervino visto più o meno da Zermatt, che è Svizzera ma c'entra come i cavoli a merenda. E (più nei primi atti che nel terzo e quarto) il rischio del "didascalico" non è completamente evitato. Vick, da grande "narra" sempre benissimo la vicenda: quel che mette in scena potrà (ad alcuni) parer stravagante, ma storia (anche faticosa, se vogliamo) del Tell ne esce netta, raccontata per filo e per segno: a rischio, appunto, di volere , a tratti, "spiegare" fin troppo. Ma non ho colto - se non come motivo di merito per Vick - quegli aspetti contraddittori che Francesco segnala come "non rossiniani" (il programma di sala è interessante là dove lascia aperta la "posizione" dell'ottimo GIacchino riguardo la questione del "potere" e di come l'opera la tratta: non direi che il Tell sia "contenustisticamente", lavoro "spiegato" e "spiegabile" una volta per tutti: è una meraviglia musicale, questo sì, e questo, alla fine ci importa). Ciò detto, basta la risoluzione scenica - in bilico fra comico e tragedia - straordinaria (bravissima la compagnia di ballo, così come curatissima, al solito con Vick, è la recitazione di tutti, pur un filo più tradizionale rispetto a quella cinematografica adottata nel Don Giovanni lombardo) della festa e delle danze del terz'atto, per dire del talento di Vick. Il "bilico" fra comico (che c'è anche qui, nel "serio" Tell) e il tragico è proprio uno degli aspetti meglio colti e realizzati da Vick.

E le danze del terzo atto sono una delle meraviglie della direzione di Michele Mariotti, che è - ed è questo che mi premeva - la vera e prima forza di questo Tell bolognese (ed è individuato bene. come tale, dal pubblico). Mariotti ha solo 33 anni ma, come direttore d'opera (non l'ho ancora ascoltato in repertorio sinfonico), è, per maturità, di almeno dieci davanti a tutti, dicasi tutti, i cosiddetti "direttori ragazzini", più o meno circolanti in questi anni (Daniel Harding approda ora, alla soglia dei 40, alla maturità d'una grande intelligenza, dopo inizi da fenomeno seguiti a stagioni critiche di evoluzione, Guastavo Dudamel direttore d'opera è una equazione ancora irrisolta, fra gli italiani "vedo" Jader Bignamini (oltre al maturissimo, non ancora quarantenne, Matteo Beltrami, carriera defilata che meriterebbe l'approdo in grandi teatri) che di anni però ne ha 38: fin qui eccellente lo riascolterò a Parma nella Forza). Mariotti ricorda, nella fondamentale sobrietà della resa musicale e nella bellezza ed efficacia di una mano sinistra (ero in un palco di quart'ordine, a picco su di lui e la buca, come mi piace stare) tanto bella in sé quanto efficace negli esiti, con orchestra e soprattutto cantanti e palcoscenico, il giovane Claudio Abbado. Che era, circa a quell'età, più radicale e iconoclasta. Mariotti è più "gentile" e incline anche al gioco strumentale, ma l'essenzialità,la non-platealità, è la stessa che era del "ragazzo" (anzi giovane uomo) Abbado. Non sono il primo a cogliere il paragone, lo aveva fatto, molto meglio di me, il grande Elvio Giudici, con le cui descrizioni di Mariotti concordo appieno. E' una non essenzialità che non cancella od esclude - anzi esalta! - l'"emozione" musicale. La Sinfonia - giustamente salutata da ovazioni da stadio del teatro - è pura emozione proprio laddove rifugge dalla platealità, cercando, e trovando, la finezza dello strumentale (cosa non sono il flauto di passaggio dal temporale alla pastorale, e la pausa che ne precede il tema! Cosa non sono gli accenti dati da Mariotti alla fanfara, presa in tempo"giusto", senza frenesia e giocata, appunto, suglia accenti!). E si va di conseguenza, per tutta l'opera. La "mano" di Mariotti è ben visibile nella naturalezza e "facilità" (in un'opera così trascendentaler!) del canto di tutta una compagnia di canto tutta puntuale ed equilibrata ma priva (e forse è meglio) del fuoriclasse che sfori sugli altri. Anche là dove difficoltà si presenti (Spyres, magnifico nel lirismo dell"Asil", acchiappa senza dominarlo il virtuosisimo di '"Aux armes"), Mariotti è con i cantanti e con la scena, senza andarvi al traino, ma imponendo una sua precisa linea di concezione e concertazione. Le parti concertate (esempi,il famoso terzetto, che qualcuno temeva tagliato, e invece c'è, e i finali 3 e 4) sono una meraviglia di esattezza e nello stesso tempo di "lettura d'interprete". Fra le esecuzioni d'eccellenza del Tell di questi anni, c'è stata sicuramente quella, magnifica, di Pappano con i complessi di Santa Cecilia e un cast che comprende le note trascendentali del tenore Osborne. Ma Pappano, né dal vivo (lo ascoltai all'Auditorium romano alla ripresa) né in disco, osa il tempo "immobile", "sospeso" adottato da Mariotti nel finale 4 (possiamo dirlo? Eurovisione tv a parte negli anni della nostra infanzia, è forse il più bel finale d'opera mai concepito, senza il quale sicuramente non avremmo quello splendido del Ballo verdiano): il "tutto cangia" ("tout change") diventa davvero stupore, che poi - da tale "immobilità" viene come scagliato in aria (e , reso così, è da brivido) nel crescendo (orizzonte immenso e magnificenza della natura) di un'estasi esultante (alla quale a mio avviso la "scala rossa verso il cielo" voluta da Vick fa da contrappeso dialettico - discutibile, certo, come co dice Francesco - ma certamente stimolante, per l'occhio ed il pensiero). Se il finale di Vick si inserisce nella categoria del discutibile-stimolante, quello di Mariotti (e prima di lui di Rossini!) va diritto su quello dell'esaltante. E partono, in un Teatro Comunale completamente, conquistato, le ovazioni-applausi ritmati di circa quindici minuti, con un'accoglienza a tutto il cast, ma in particolare e segnatamente al direttore, per ricordare la quale dobbiamo ancora andare alle repliche dei Boccanegra o Macbeth di Claudio Abbado alla Scala: accoglienza peraltro meritatissima. Bologna aveva già, ma ha resto "stabile", la presenza di un talento giovane quanto prezioso ( e ancora una volta, dopo la recente, favolosa esperienza d'ascolto di Daniele Gatti in concerto a Milano, il milanese presente in sala al Comunale si pone qualche domanda sulle scelte d'altro genere operate a Milano). E piace anche, alla fine, l'understatement di Mariotti che lascia il teatro salutando gli amici e inforcando la sua bici con il sellino ricoperto di cellophane-antipioggia.Una immagine di "naturalezza", e di sostanza "non esibita", che si ritrova, pari pari, sul podio
La compagnia di canto, per quanto detto sopra, va nominata in toto: ma (piaccia o meno il timbro di Spyres, comunque sensibilissimo e plausibile Arnold), dall'imponente Alvarez (Tell) alle pure sensibili ed appropriatissimo Yolanda Ayutanet ed Enkeleida Shkoza(Matilde ed Edvige) al magnifico Jemmy di Mariangela Sicilia, all'esattezza anche fisica di Luca Tittoto (Gessler) e Simone Alberghini (Melchtal: impressionante la "fisicità" della sua uccisione in scena), tutti contribuiscono al felice esito. Alla mia replica, l'orchestra (perdonabili sviste negli ottoni, qua e là) è andata in crescendo (magnifica nelle danze, qui con "legni" formidabili) dopo qualche inziale timidezza. Splendidi il coro di Andrea Faidutti, e (si è detto) il corpo di ballo.

Una nota di ordine ippico equestre (è la mia materia, e qui replico a Francesco): i cavalli in scena, finti o veri che siano, sono storicamente insidie e spesso maledizioni per i registi (li usò bene Ronconi a suo tempo in spettacoli "storici", "cadde" invece clamorosamente da cavallo, e paradossalmente da cavalli morti in scena, Werner Herzog, proprio a Bologna, in una Giovanna d'Arco orrenda scenicamente pur nell'ottima direzione del giovane Chailly. Tralascio quelli vivi di Zeffirelli nella sua antica Aida scaligera: all'epoca gli zoccoloni sul palco"coprivano" la Marcia Trionfale, nella brutta ripresa recente li ha fatti andare al passo con esito almeno più delicato). A mio avviso, Graham Vick, in questo Tell, ha usato benissimo, con efficacia e molta ironia, i suoi cavalli finti, sia che stiano dritti sul palco, sia che Arnold vi monti (con una certa difficoltà: Spyres è un ottimo cantante ma non ancora Buffalo Bill), sia che vengano ammucchiati come barricate quando non servono più; sia, infine, nella visione - tragica e straniata, ma ancora ironica - del sangue, "foret" ma visibilmente finto, del cavallo decapitato che ha colpito l'attenzione di Francesco. Rispetto a tanti suoi colleghi, dal giornalista ippico Vizzardelli viene senz'altro "assolto", ma direi anche "promosso con buon voto", nell'uso scenico dei quadrupedi.

A parte la stazione ferroviaria, Bologna mi ha dato gioia.


marco vizzardelli
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda DottorMalatesta » gio 16 ott 2014, 16:40

Caro Marco,
la tua prosa è come sempre gradevolmente speziata (a volte sa un po´ troppo di piccante, ma il piccante a me piace!).
8)
Più che su quanto ci vede d´accordo, trovo interessante confrontarmi con te sulle opinioni diverse. Che, nel caso presente, si concentrano sul giudizio alla regia di Vick. Regia che, gestione ippica a parte (qui l´espero sommo massimo sei tu! : Cowboy : ), non mi sentirei di promuovere a pieni voti. Il problema non è (solo) Vick. Il problema è quel monstrum che è il Guillaume Tell e il Grand Opéra in generale, di cui il Tell è la “mamma”.
Proporre, oggi, questo repertorio in chiave narrativo/illustrativa avrebbe senso unicamente se si avesse a disposizione un cast di cantanti/attori d´eccezione, con un gioco scenico accattivante che non faccia mai calare la tensione. Ora, il cast di Bologna, variabile dal buono all´ottimo dal punto di vista vocale, era a mio modo di vedere variabile dal discreto al pessimo da quello scenico. E non è che la mano di Vick si sia sentita più di tanto (anche senza considerare il fatto che, a differenza di un McVicar, non mi sembra il regista in grado di far recitare anche le scarpe).
Va anche detto, per converso, che proporre questo repertorio rinunciando aprioristicamente alla narrazione/illustrazione (e quindi proponendo letture intellettuali, destrutturanti, o di concetto) mi sembra altrettanto problematico. In fin dei conti questo è un repertorio di grande presa, di grande impatto, di grande immediatezza espressiva. Infarcirlo di Konzepten, per quanto interessanti e stimolanti, mi sembra quantomeno rischioso (anche prescindendo dalla difficoltà di trovare una concezione interpretativa che sia sufficientemente solida e salda da riuscire a sopravvivere alla “forma” del Grand Opéra (dove per forma mi riferisco non solo a quel mix di spettacolarità ed introversione, ma anche alla lunghezza e alla esteriorità di un genere infarcito come pochi altri da convenzioni lontane dalla sensibilità di uno spettatore odierno). Ma non si può neppure risolvere il problema rifacendosi ad una magniloquenza ed esteriorità Zeffirelli-style. La forma può essere accattivante quanto si vuole, ma va riempita.
Percorrere una terza via, cercando di salvare i proverbiali cavoli con la capra, come ha fatto Vick (che non rinuncia ad un didascalismo nei punti chiave della vicenda), mi sembra ancor più problematico.
Lo attendo comunque al varco del Don Giovanni a Bolzano. E non vedo l´ora! 8)

DM

P.S.: ho trovato la gigantografia del Cervino funzionale ad una concezione basata sulla contrapposizione tra “natura” e artificio.

P.P.S.: condivido il tuo giudizio entusiasta su Mariotti. Mi sembra davvero, almeno tra gli italiani della sua generazione, il più interessante e promettente direttore operistico.

P.P.S.: la stazione di Bologna è davvero un incubo!!!! :mrgreen: Ma per chi vive confinato in un paesotto dove alle nove di sera sono tutti a letto, la "movida" dei giovani bolognesi allarga davvero il cuore! 8)
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda michele cesareo » gio 16 ott 2014, 19:29

C'ero anch'io, a quella recita....
Non fisicamente, ma per il tuo cortese tramite, cosi ben descrittivo.
Grazie tante !
Michele
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Re: Guillaume Tell (Rossini)

Messaggioda vivelaboheme1 » gio 16 ott 2014, 20:37

Chiedo scusa a tutti per la miriade di piccoli refusi rimasti nel mio racconto del Tell, ma è successo che questa mattina stavo perdendo l'intero scritto (bello lungo!) al momento dell'invio (solito mio vizio di non "salvare"), l'ho salvato con un copia incolla dell'ultimo minuto, e l'ho lasciato così com'era, dovendo andare in ufficio. Un refuso però qui lo correggo. Verso metà, parlando di Mariotti scrivo "la non essenzialità esalta l'emozione ". Il NON va evidentemente eliminato, intendevo dire l'esatto contrario, cioè che la sostanza e l'essenzialità di Mariotti riescono benissimo a sfociare nel "coté" emotivo. La fondamentale razionalità dell'approccio non raffredda mai la "temperatura", il che è un altro segno del talento di questo dotatissimo direttore.

marco vizzardelli

PS Continuo a dissentire sulla capra e sui cavoli attribuiti a Vick, ma non esser d'accordo su tutto è il sale e il pepe della nostra passione. Ieri sera, a casa di amici a Milano, ho fatto la simpaticissima conoscenza di un noto regista d'opera e teatro della vecchia guardia, con il quale eravamo d'accordo al massimo su uno spettacolo su dieci ricordati da entrambi... e ci siamo divertiti come pazzi a pizzicarci a vicenda.

PPS Continuo invece a trovare funzionale ad un bel niente la gigantografia del Cervino...anche se (pur se ora d'estate ha perso quasi tutte le tracce di neve) in se stesso, ma non sul palco del Comunale, resta a mio avviso (soprattutto la "facciata" svizzera) la più bella montagna del mondo! E anche in questo caso, il disaccordo è l'anima della passione

PPS Sono invece pienamente d'accordo, oltre che sull'entusiasmo per Mariotti, su quello per la fantastica movida dei ragazzi e ragazze bolognesi. Vivendo in quel paesotto chiamato Milano, nel quale si passa da zone morte (l'intero centro, da Duomo a San Babila a Manzoni a Cavour) a zone isteriche (le Colonne di San Lorenzo e relativo sballo), la movida bolognese, che trovi anche all'uscita dal Comunale, ha ben altro sapore! Sono assolutamente convinto che la scelta di un uomo di gusto quale Claudio Abbado, di trascorrere i suoi ultimi anni a Bologna, tenesse ampio conto delle "atmosfere", che questa volta anch'io ho trovato ripristinate appieno, dopo un periodo forse meno frizzante. Bologna è bellissima . Lodevoli anche i tagliolini ai pistacchi e agrumi gustati a mezzogiorno "Da Pietro" (via de 'Falegnami, laterale del corso Indipendenza) che, uniti ad un buon Sangiovese, mi hanno permesso di riprendermi con prontezza dal sopra narrato choc ferroviario d'arrivo.
vivelaboheme1
 

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