Vabbé, scusatemi se la prendo larga. Partiamo dalla famosa definizione di D’Annunzio: “il più melodrammatico dei melodrammi”. In effetti, il Ballo è forse l’opera in assoluto meno “politica” di Verdi (ben curioso, se si pensa a quando fu scritta): per esempio, nulla ci viene detto delle motivazioni della congiura contro Riccardo. In più, presenta il classico schema appunto melodrammatico, il consueto triangolo lui-lei-l’altro. Ma, e qui secondo me sta il punto, mentre il baritono cornificato (almeno solo in potenza) e il soprano combattuto fra amore e dovere sono dei topoi melodrammatici, il tenore, questo tenore, non lo è affatto.
Io credo che, con Riccardo, Verdi aggiunga alla sua collezione un altro straordinario “ritratto di italiano”. Chi è Riccardo? Ma Riccardo è il classico vitellone magari di provincia, che passa le giornate al bar con gli amici a dir cazzate e ad architettare scherzi. Il classico adolescente non cresciuto, il “giovane” che rimane tale fino a quarant’anni. Puro Fellini.
E’ il governatore di una remota provincia dove chiaramente non succede un tubo e non c’è niente da governare e lui, almeno fino alla metà del secondo atto, passa il tempo a cazzeggiare, a travestirsi, a star dietro alle scemenze di Oscar, a mischiarsi al popolo e non per sapere cosa il popolo pensa di lui (un classico del potere assoluto fin dai tempi di Svetonio) ma semplicemente per spassarsela. Finché non si innamora, davvero e di brutto e (qui sta il genio di Verdi) diventa improvvisamente adulto, consapevole, dunque sofferente. Uomo, insomma. Oscar (che giustamente Budden vede come il suo alter ego) diventa Riccardo. Qui sta il nocciolo dell’opera, che altrimenti sarebbe non solo il più melodrammatico, ma anche il più banale dei melodrammi.
Ora, perché l’opera funzioni, bisogna che sia chiaramente “raccontata” la cornice frivola e, diciamolo, anche un po’ baraccona nella quale si muove Riccardo. C’è moltissimo Offenbach, in questo Verdi. Infatti si fa ricorso a formule assolutamente non italiane (vedi i couplets di Oscar) o francamente operettistiche. Ascoltare per credere la stretta dell’introduzione, che è davvero un puro Offenbach.
A me sembra che nessuno come Busch abbia colto quest’aspetto, che nessuno come lui abbia la brillantezza, la grazia, l’ingenuità di questa corte di bambinoni che si tirano gavettoni. E che quindi, per contrasto, sia ancora più impressionante il passaggio all’età adulta, l’età in cui si ama (e si soffre) davvero. Per questo, nonostante il tedesco, se dovessi ascoltare fino alla morte un solo Ballo, sarebbe questo.
Che sbrodolata, eh? Scusatemi ancora (alle volte il forum
è un ottimo sistema per chiarirsi le idee, anche se forse – sono stato un po’ involuto – non per chiarire le proprie agli altri).
Ciao miao bao
AM