da vivelaboheme1 » mar 12 ago 2014, 23:59
Iniziamo dall’esito, anzi dagli esiti della prima de Il Trovatore a Salisburgo 2014, cui ho assistito. Dieci minuti netti di ovazioni da stadio con crescendo di entusiasmo alla sortita di Anna Netrebko e di Daniele Gatti. Due fischietti due, immediatamente sommersi e annullati dall’ovazione, all’indirizzo degli artefici della parte scenica. Poi, al discorso del brindisi post-opera in foyer, Alexander Pereira, citati ed elogiati tutti gli artefici, ha lasciato per ultimo Gatti, al quale ha riservato la seguente frase: <Questa è stata la miglior direzione di opera italiana che io abbia ascoltato nella mia vita>. Al che, l’appassionato milanese di musica presente al Festspielhaus, che qui scrive, si è chiesto “sì, ma allora perché alla Scala…?”. Ma amen.
In ogni caso, la frase di Pereira ha colto nel segno. Daniele Gatti ha letteralmente “incendiato”, dal podio, questo Trovatore di cui è stato il cuore ed il motore musicale e drammaturgico. Il suo approccio è stato, qui, rispetto alla sofisticatissima Traviata della Scala, molto più “di prima mano”. Il Trovatore è, nel catalogo verdiano (e non solo) l’opera-opera, ed è l’opera del fuoco. Gatti l’ha resa incandescente e al contempo l’ha “concertata”, nel vero e totale senso del termine, portando le singole parti ad un livello di interazione reciproca quale raramente è dato di ascoltare: i Wiener Philarmoniker (tutt’uno con il direttore e qui assurti a “personaggio” dellì’opera, tale la duttilità, la fantasia, l’atteggiamento “artistico” – sono i Wiener! ) e ogni membro del cast interagiva a quel grado di evidenza musicale e drammaturgia che si ottiene – ma è molto raro – quando sul podio c’è un concertatore di classe superiore. Trovatore “opera –opera”, forse L’Opera, per eccellenza, espressione, nella sua stranissima, contorta vicenda, di un mondo lontano che sta agli interpreti far vivere. Da questa riflessione, è partita probabilmente l’idea registica di Alvis Hermanis, di un Trovatore del sogno e della memoria, di un oggi che ricrea e rivive l’ieri. L’ambientazione in un grande museo di pittura (che ricorda visivamente gli Uffizi) ha questo senso. Idea bellissima, di base ( a dir la verità, in passato, già Ronconi aveva pensato qualcosa di simile), anche se nella realizzazione non tutto ha avuto efficacia costante. C’è una magnifica intuizione: che Mamrico sia l’unico personaggio non sdoppiato: lui esiste solo “nell’opera”, Il Trovatore è lui. Tutti gli altri sono al contempo personaggi di oggi che “si trasformano”, nel sogno e nella memoria, nei personaggi dell’opera: custodi del museo, o guide per i turisti, che “diventano”, mutando pelle e costume, Leonora, Azucena, il Conte di Luna ecc. E, in questo gioco del sogno e della memoria (cui fanno da riferimento scenico i grandi quadri: Bronzino, i fiamminghi, per lo più in ritratti di madonne con il bambino (Azucena) o scene erotiche (i due amanti e il Conte)), ci sono almeno due momenti memorabili. L’entrata di Azucena: “Stride la vampa” è la spiegazione ai turisti, di inusitato effetto comico, di una buffa guida grassoccia e miope, che, improvvisamente, nel racconto di una vicenda lontana, alle parole “mi vendica, mi vendica”, cambia registro espressivo dal comico al tragico e, di colpo, “diventa” Azucena. Una sequenza scenica e musicale che vede Marie Nicole Lemieux (favoloso debutto nel ruolo!) semplicemente strepitosa, con il perfetto apporto espressivo di Gatti e Wiener. L’altro momento memorabile è la sequenza Miserere-Tu Vedrai, cantata, in tempo moderato ma intensissima espressione, da Leonora-Anna Netrebko vestita-svestita metà da sorvegliante del museo metà nel rosso di Leonora (tizianesco, nell’aspetto anche fisico dell’attuale Netrebko, che appare oggi davvero una splendido ritratto femminile di Tiziano). “Non ti scordar di me” canta Manrico sullo sfondo, e tutta la scena diventa un gioco della memoria. Magnifica. Altrove, lo spettacolo non è sempre così efficace, e il rischio della sfilata di quadri è alto. Però, ha sempre il merito di narrare bene, e rendere insolitamente chiara una vicenda che, sappiamo benissimo, è quasi assurda anche solo da raccontare. Chiaro che il riscontro musicale ad una idea scenica di questo tipo (l’opera come rappresentazione di un tempo che fu, rivissuto oggi) poteva solo essere un Trovatore melodrammatico e ardente al massimo grado. Ed è ciò che Gatti, i Wiener, il coro ell’Opera di Vienna (di insolito corpo e colore “italiano”: non sempre e non spesso lo si ascolta così: di meravigliosa “presenza” nel concertato dl secondo quadro e nel cadenzatissimo Squilli, Eccheggi La Tromba Guerriera chesto e ottenuto da Gatti) e tutto il cast ha espresso e realizzato. Anna Netrebko è una formidabile Leonora (solo un po “prudente” nella presa di certi acuti, talora si sente che li “prepara”, ma era la prima rappresentazione…). Il timbro scurito il fraseggio sensuale si uniscono a ciò che fu ben definito, in un’intervista, da Montserrat Caballè (“Anna – disse la Caballè – è fra i soprano di oggi quella in possesso più evidente di un dono che anche a me fu concesso: il “carisma”). Una Leonora di uno spessore musicale e “di personaggio”
ben diverso dall’esilità di molte interpreti contemporanee del ruolo. Francesco Meli-Manrico, nel suo canto “antico” risponde perfettamente all’immagine voluta dalla regia, e fraseggia come un padreterno. Non è tenore d’acuti spettacolari (ma il do breve con discesa della Pira, e quello lungo dell’All’Armi, anche qui con discesa, lo trovano puntuale nella spettacolosa scansione “cavalleresca” impressa da Gatti) ma di bella “frase”: va da sé che Ah Si Ben Mio ne esce un gioiello. Di Marie Nicole Lemieux abbiamo accennato: un formidabile debutto musicale ed espressivo nel ruolo della zingara, forse è proprio lei, nel cast, quella che ha fatto propria con più efficacia e totalità l’impostazione musicale e drammaturgia. Placido Domingo ha iniziato
la prima teso e a fiati corti ed è un Conte-tenore (stavolta il timbro baritonale non è parso neppur tentato) . Ma è così artista e musicista da far tutt’uno con il direttore e da interagire totalmente, non solo nella drammaturgia, ma anche nel timbro, nei suoni, con i compagni di viaggio: il suo No No Non Può Nemmeno Un Dio “dentro” il coretto fei suoi seguaci e il coro delle monache è una meraviglia di timbrica e di fusione. E i duetti lo colgono perfetto nell’equilibrio con i partner, all’ultimo atto non ci si ricorda più degli affanni, degli anni, del registro tenorile: si ascolta un artista, meravigliosamente “concertato”, assieme a tutti gli altri, dal podio. Riccardo Zanellato è un Ferrando inappuntabile, a posto gli altri membri del cast d’un Trovatore scenicamente discontinuo ma interessante nell’idea di base, e memorabile musicalmente nell’unità musicale e drammaturgia che è frutto d’una concertazione mirabile del direttore “con” orchestra, coro e cantanti. Vale la pena ricordare (visto che in Italia si preferisce, spesso, la denigrazione biliosa e acida dei grandi compatrioti: basta leggere alcuni siti o alcune “voci”) che Daniele Gatti è il solo direttore vivente, italiano e non, che abbia diretto al Festival di Salisburgo nuovi allestimenti (nati con lui) di opere di Wagner (Maestri Cantori), Verdi (Il Trovatore, il primo della sua vita), Puccini (La Boheme), Richard Strauss (Elektra). E il solo italiano vivente invitato a Bayreuth. Per quanto possa dire chi qui scrive, non avendo potuto ascoltare dal vivo in opera Karajan (solo in repertorio sinfonico), fra gli ascolti “live” (cioè vissuti in teatro, non davanti ad un vinile ad un CD o ad un DVD) di una vita, questo Verdi ha riscontro solo e soltanto negli esiti (Boccanegra su tutti) colti da Claudio Abbado .
marco vizzardelli