C´è un momento di questa Elektra di Chèreau, vista per ora solo in DVD, che mi sembra davvero interessante nella sua programmatica anti-convenzionalità. Non so che ne pensa Beckmesser o gli altri che abbiano visto lo spettacolo dal vivo o in video. Sarei davvero curioso di sapere come è stato reso questo momento in teatro, e se la lettura che vi propongo appare condivisibile.
E´ il momento dell´uscita di scena di Klitemnestra. Nella regia di Chéreau, entrano dalla porta di sinistra due servi, silenziosi, che consegnano una busta ad una serva. La busta passa di mano in mano tra le ancelle, nessuna delle quali osa consegnarla alla padrona, profondamente turbata dallo scontro con Elektra (momento che segna, per Chéreau, la fine definitiva di ogni possibilitá di relazione e legame tra le due). Alla fine una delle serve piú giovani (e la più carina
)si fa coraggio, e con un gesto veloce mette la lettera nella mano di Klitennestra. La donna guarda appena la busta, non la apre, e senza alcun gesto o espressione, lentamente e silenziosa esce verso il fondo della scena che cala nella piú completa oscuritá.
Nulla potrebbe essere piú diverso da quanto si è soliti vedere in questo punto: una vecchiaccia sfatta che se ne esce gridando ai quattro venti “Lichter! Mehr Lichter!!”, agitandosi come un´ossessa con tanto di immancabile, sguaiata risatazza finale.
Utile leggere la didascalia di Hofmannsthal:
Esse si fronteggiano, gli occhi negli occhi, Elettra in
preda a selvaggia ebbrezza, Clitennestra atrocemente
ansimante per lo spavento. La confidente scende
di corsa. Sussurra qual cosa nell’orecchio di Clitennestra.
Dapprima sembra che costei non capisca. A
mano a mano si riprende. Gesticola: «Luci!». Corren
do escono serve e si pongono dietro Clitennestra.
Clitennestra gesticola: «Altre luci!». Escono serve in
numero sempre maggiore, si pongono dietro Clitennestra,
sì che la corte si riempie di luci e fluttua sui
muri un giallastro chiarore. Ora i tratti di lei lentamente
si mutano e lo spasimo cede a una maligna
esultanza. Chiede che le sussurrino la notizia un’altra
volta, mentre neppure per un attimo perde d’occhio
Elettra. Tutta saziandosi fino alla bocca di gioia
selvaggia, tende in atto di minaccia le mani contro
Elettra. Poi la confidente le raccoglie il bastone ed
ella, appoggiandosi su tutt’e due e alzando la veste
mentre sale, lesta e vogliosa si affretta in casa. Dietro
di lei, con le fiaccole, le serve, come fossero inseguite.Klitennestra dapprima sembra quasi non comprendere (“dapprima sembra che lei non capisca”). Questo potrebbe spiegare l´assenza di reazione da parte della donna nella regia di Chèreau. In realtá, a mio modo di vedere, la cosa si spiega in altro modo. Klitemnestra sa cosa contiene quella lettera, tutti lo sanno. (“Alle standen herum, und alle wußten's schon, nur wir nicht! Dirà Chrysothemis poco dopo). E cosa fa Klitemnestra? Si richiude in un lutto, si circonda di oscuritá, silenziosa, addolorata. Di qui la differenza rispetto a quanto prescritto dal libretto. Per inciso è interessante notare comecomunque Chéreau riprenda il libretto nel suo richiedere all´interprete una estrema sobrietà nei movimenti: Klitemnestra non grida ai quattro venti “Lichter!”, ma si limita a “winken”, accennare (accenna, fa un accenno, non come è stato malamente tradotto “gesticola”!).
Il regista nell´intervista che ho postato dice una cosa fondamentale: nel libretto vi è un´omissione. Nulla viene detto delle ragioni per cui Klitemnestra ha ucciso il marito. Siamo soliti guardare alla vicenda con gli occhi di Elektra, e quindi fare di Klitemnestra una madre degenere, una spieteta assassina. Ma, si domanda Chèreau, e se la donna avesse avuto delle “valide” ragioni per uccidere Agamemnon? Perché non guardare alla vicenda anche dal suo punto di vista?
Penso alla melodia carezzevole del “Das ist mir so bekannt” nel duo madre-figlia. Chèreau definisce questa melodia come una ninna-nanna, come il residuo di un legame familiare, emotivo, affettivo che ora appare lontano e riemerge dalle nebbie del passato. E l´incontro tra madre e figlia diventa in questa regia il tentativo, disperato, di riannodare una relazione tra madre e figlia e tra figlia e madre, e non una melliflua, subdola strategia escogitata da Elektra per restare in scena sola con la madre e “metterla nell´angolo”, come di solito si interpreta questa scena. Si pensi al momento di questo spettacolo in cui Elektra si getta ai piedi della madre, e le cinge le ginocchia mentre lei le accarezza i capelli.
Così, al momento dell´uscita di scena di Klitemnestra, si vede una donna che, dopo aver perso definitivamente la figlia, apprende (sebbene in maniera “implicita”: non è necessario aprire quella busta!) di aver perso anche il figlio e di essere quindi rimasta, proprio come Elektra, “allein”, sola.
Come dice nell´intervista, per Chéreau i momenti di transizione (quindi anche quello dell´uscita di scena di Klitemnestra) sono quelli piú complessi da realizzare per la difficoltá di rendere in poco tempo un´evoluzione psicologica talora enorme. Come da convenzione, nella regia di Chéreau l´uscita di scena di Klitemnestra viene osservata attentamente da Elektra. E, sebbene nulla nello sguardo o nel gesto di questa Klitemnestra evochi la gioia, Elektra dice “Worüber freut sich das Weib?” (perché si rallegra la donna?). È strano, straniante. Perché solo Elektra vede la madre rallegrarsi? Nulla di quanto si è visto, nella reazione della donna, lo lascia intendere. Il legame relazionale tra le due si è definitivamente spezzato. Elektra diventa incapace di comprendere, di leggere l´altro, chiusa in una forma di autismo, in cui resta imprigionata in se stessa (“autos”). Non è solo delirio, allucinazione, è proprio una forma di blocco psicologico, di regressione ad un egoismo/egotismo che è una sorta di prigione in cui vi è solo l´”io” e tutto è letto a partire dall´”io”. Soggettivitá estrema, annientamento dell´oggetto. L´oggetto non esiste in sé, ma solo perché io lo vedo, perché io lo creo.
Non a caso parlo di autismo. Elektra diventa incapace di comprendere la fine modulazione del gioco delle relazioni emotive (la cosiddetta “intelligenza emotiva”). Perde la capacitá di cogliere, interpretare e comprendere le emozioni e il loro contenuto comunicativo. Le emozioni (espresse attraverso lo sguardo, il gesto, il corpo) rappresentano un´importantissima fonte di comunicazione: trasmettono pulsioni interiori, intenzioni, bisogni, desideri. E sono quindi fondamentali per la vita di relazione e per la sopravvivenza della nostra specie, fondata su interazioni sociali e di gruppo. Le emozioni si sono evolute e sviluppate per promuovere i legami sociali (si pensi all´importanza che ha il sorriso nella nascita e nel consolidamento della relazione madre-figlio), e la loro condivisione è fondamentale nella genesi e nella costruzione delle relazioni umane.
Elektra ha perso la capacitá di comprendere e parlare questa lingua. La fonte del linguaggio emotivo in lei si è come inaridita. Questa è l´afasia di cui soffre (Schweigen und Tanzen! Tacere e danzare! Sono le sue ultime parole, prima di cadere seduta, svuotata, inebetita come nel finale di questa regia). Questa è l´afasia che Elektra condivide, nella loro “relazione impossibile”, con il fratello (che si allontana dalla sorella per andare ad uccidere la madre senza una sola parola!) e con la madre (“Du könntest vieles sagen, was mir nützt. Wenn auch ein Wort nichts weiter ist! Was ist denn ein Hauch? Tu potresti dirmi molte cose che mi potrebbero giovare. Anche se una parola non ha alcun valore. Cos´è un alito?“). L´incubo che opprime, che schiaccia Klitemnestra durante la notte è quindi l´afasia relazionale, il dolore di una donna che ha perso la capacitá di comprendere il linguaggio della relazione affettiva ed emotiva, in primis con la figlia (ecco perché Klitemnestra non comprende il senso di quanto le dice Elektra, e le dice “non parlarmi per enigmi!), ed è quindi condannata, come Elektra, nella prigione della sua solitudine “allein, weh, ganz allein!”.
E´ l´afasia, lo svuotamento di significato delle parole, che rappresenta la maledizione della modernitá, come Hofmannsthal già espresse nella celeberrima "Lettera di Lord Chandos" (Ein Brief) del 1902:
http://www.cristinacampo.it/public/hugo ... nsthal.pdfScusate il lenzuolo e la sintassi pessima, come al solito
DM