da beckmesser » lun 28 apr 2014, 12:16
Dunque, vista la recita di sabato scorso. Onestamente, continuo a non capire tutto l’entusiasmo per lo spettacolo di McVicar: che è bello a vedersi, sontuoso al punto giusto, spettacolare, ma totalmente rinunciatario dal punto di vista drammaturgico. Non penso affatto, sia ben chiaro, che il teatro di regia sia l’unica soluzione possibile (tutt’altro). Mi andrebbe benissimo un approccio diverso, ma da un regista di tal nome mi aspetto che almeno provi ad indagare la drammaturgia così peculiare di quest’opera ed a trovare un linguaggio registico adatto a valorizzarla, ad esplicitarne le implicazioni storiche ed estetiche. Insomma, mi sarei aspettato (quando vidi lo spettacolo a Londra) che McVicar provasse a fare quanto fece così memorabilmente col Faust. Invece, sarà un limite mio, ho visto solo sfilate, processioni, tutti fermi durante i concertati, tutti seduti a pic-nic durante il duetto d’amore. Mah… Oltretutto, rispetto a Londra la parte visiva mi è sembrata un filo sottotono: non so se è stato un problema specifico della mia recita o della posizione in cui ero, ma non mi sembra che il cavallone abbia sputacchiato fuoco dalle narici: non che sia un grosso problema, ma dato che era il momento clou dello spettacolo un po’ è mancato. Cos’era? Problemi di sicurezza sul lavoro che non esistevano a Londra?
Dal punto di vista musicale, eroe della serata e stato ovviamente San Pappano, fatto segno di hola ed ovazioni ad ogni ingresso. Notato en passant che mi sembrava ci fosse un minimo di carattere “dimostrativo” (così come spesso avviene alla Scala, sia con gli applausi che coi fischi), l’entusiasmo era più che meritato: direzione trascinante, orchestra al top (gli ottoni in buca non hanno steccato una sola nota), ritmo, colori, dinamiche, c’era tutto. Continua a mancarmi, in Pappano, la sensazione di un qualche approfondimento storico (stando a quest’opera, ad esempio, Gardiner continua a parermi su un altro pianeta), ma sono quisquilie. Come si dice: avercene…
Nel cast, la Antonacci comincia a denotare qualche fatica, ma resta interprete di classe superiore. Kunde, quando si tratta di declamare e di sparare, continua ad avere una canna impressionante, con si e do acuti di tutto rispetto; qualche pena nei passi più cantabili, e la prima parte dell’aria del quint’atto aveva una legnosità di modulazioni non propria piacevole a sentirsi. Buco nero della serata, per mio conto, la Didone della Barcellona: che ha cantato bene, si vede che si è impegnata molto, ma che balza nei posti alti della mia classifica di cantanti più fuori parte mai ascoltati. Non ha proprio niente per essere Didone: non (per quel che conta) il timbro, duro e asessuato; non la psicologia del personaggio; non, soprattutto, il fraseggio: in un ruolo tutto giocato sull’alta oratoria raciniana al confine con la retorica, esprimersi in una specie di lingua franca in cui non si riusciva a capire praticamente nulla ha rischiato di compromettere tutto il finale, salvato solo dal solito San Pappano. Comprimari (si fa per dire) fra il discreto (i due tenori) al pessimo (l’Anna della Radner) allo strapessimo (il Chorèbe di Capitanucci, inascoltabile).
Splendida serata in ogni caso, in attesa di Elektra (che sarà pure meglio): peccato solo si tratti spettacoli importati…
Saluti,
Beck