Una Boheme evocativa e sognante nelle immagini di Francesco Micheli. Una Boheme concreta, più scolpita che disegnata e dipinta, nella solida, moderna, teatrale direzione di Jader Bignamini. Occhio e orecchio sembrano in contrasto, invece l'esito è stimolante proprio perché dialettico. La Boheme di Micheli è il sogno infranto di un gruppo di giovani: i comignoli di Parigi, le silouettes luminose della Torre Eiffel, del Sacre Coeur appaiano e svaniscono, in trasparenza, lasciando spazio alla realtà dei poveri mobili, delle povere cose, degli stracci, d'una povertà non disperata ma dura. E' molto alto, in tale visione, l'esito del Terzo Quadro (bravissimi doganieri, lattaie, spazzini: tutto il "contorno", in questa Boheme, dà il segno di un teatro in piena salute!) - la Barriere scabra, ghiacciata, l'osteria che si apre a quinta, il gioco delle coppie Marcello-Musetta, Rodolfo-Mimì, la finta lite e il finto addio, lo struggimento della stagione che passa: qui le immagini crude di Micheli e la concertazione essenziale, lirica ma trattenuta, di Bignamini trovano un perfetto equilibrio: è il cuore dell'opera, il momento del vero struggimento. Qualche squilibrio, invece, nel quadro del Cafe Momus: rimane arduo, qui, superare la visione "a piani" datane da Zeffirelli (è il suo capolavoro di regia d'opera, e bisogna dirlo senza riserve). Anche Micheli tenta i piani visuali ma resta un po' a metà, Parpignol è poco significativo, e le "grisettes" che affiancano Musetta non pienamante convincenti, e tutto il gioco drammatico (il conto da pagare, la baruffe, la"messa in scena" di Musetta) manca d' incisività. Nel finale di quadro, proprio sul passaggio della banda in ritirata, Micheli immette una controscena di Mimì che viene colta da un accesso di tosse, il che crea un problema espressivo anche ad orchestra e direttore: infatti la chiusa di quadro "esce" interlocutoria, affascinante ma irrisolta.
Dopo il magnifico terzo quadro, invece, il finale è perfetto nella sua scabra intensità. Bignamini scolpisce le frasi, gli interpreti lo seguono con intelligenza, la commozione è fprte proprio perché non deflagra. Mimì-Giannattasio si spegne esalando - in "parlato" con un filo di voce - le ultime parole. E sul "Coraggio!" di Marcello a Rodolfo, il colpo di piatti è violentissimo, secco, lancinante: la fine (raro ascoltarlo così intenso).
Carmen Giannattasio presta a Mimì la sua bella voce tornita, in sé fin troppo sana (l'interprete è accorta a "spegnerla" nell'ultimo atto), un po' matura rispetto a quelle giovani degli interpreti maschili. Bignamini le distende (entrata, "ma quando vien lo sgelo", "sono andati") un vero tappeto di colori, sul quale la bella voce trova pieno appoggio. Matteo Lippi, Rodolfo, parte un po' teso, alla "prima" e all'inizio costringe Bignamini a qualche saggio recupero, poi prende sicurezza e disegna un Rodolfo fresco, scattante, dalla parola ben scandita, ovviando (quasi sempre) ad una tendenza all'inflessione nasale ("schiaccia" un po' "la speranza", ma in genere è facile in acuto). Tutto il meglio di questa Boheme - non per niente si diceva del terzo quadro - si ha quando primattore è il Marcello di Julian Kim,una spanna sopra tutto il resto del cast: voce potente quanto espressiva per un personaggio a tutto tondo in se stesso e nel dialogo con i partners. Quando canta Marcello, questa Boheme trova tutti i giusti equilibri. Buoni il Schaunard di Armando gabba e lo "scuro" Colline (un fantastico, stilizzato bianco e nero la "Zimarra" di Bignamini) di Andrea Mastroni. "Forte" drammaturgicamente la Musetta di Francesca Dotto.
Per Jader Bignamini un altro passo nella carriera di ottimo giovane interprete dell'opera italiana. Per la Fenice (sempre efficace l'orchestra, la più cresciuta fra quelle italiane in questi ultimi anni) l'ennesima dimostrazione di salute e solidità di realizzazioni. Con voglia di far bene e senza squilli di tromba e relative, uggiose polemiche in uso perenne altrove.
marco vizzardelli