Io invece sono d'accordo con Marco Ninci. A mio parere - già l'ho scritto in passato e, ovviamente, sono stato trattato qui come un
minus habens - gli anni di Muti alla Scala sono oggetto di una "leggenda nera" largamente immeritata e frutto di pregiudizi e/o distorsioni. Non voglio certo dire che fu quella meraviglia assoluta che raccontavano i giornali o i fan (detesto i fanatici di ogni parrocchia), ma certamente non fu il regno delle tenebre raccontato in modo così truculento da Mattioli, Marazzi, Vizzardelli, Malatesta (che però, mi pare parli più per sentito dire che per esperienza diretta) o Bagnoli. Trovo, innanzitutto, che i capi d'accusa formulati da quest'ultimo siano del tutto inconsistenti (ripetto le sue convinzioni, certamente, ma non le condivido). Innanzitutto trovo che il punto di partenza sia sbagliato, o quanto meno assai "partigiano": capisco che per questo sito uno spettacolo operistico si risolva essenzialmente nella regia e che, la regia, debba essere OBBLIGATORIAMENTE "decontestualizzata" e "destrutturata" per "ribaltare" la "stupida" drammaturgia originaria e costruire una nuova e geniale sequenza di eventi per istruire i comuni mortali a ritrovare significati inediti etc..etc.. ma risolvere l'intero spettacolo operistico in base all'aspetto visivo mi sembra quanto meno incompleto. Ma veniamo alle accuse mosse a Muti, messo alla berlina come l'ultimo dei buffoni e addirittura descritto come una specie di matto che si crede il massimo esponente della presunta "tradizione italiana":
1) "presenzialismo": di solito è la prima accusa. Muti dirigeva tutto e addirittura non permetteva ad altri di primeggiare sul podio. Falso! Certamente Muti era il direttore principale. Lo era istituzionalmente: non aveva mille collaborazioni in giro per l'Europa e non teneva neppure il piede in due scarpe (come il suo successore che teneva un piede a Milano e l'altro a Berlino e un trolley sotto il podio). Si dedicava alla Scala rinunciando - di fatto - ad una sicuramente più redditizia carriera discografica. Però a Milano lavorava...e pure molto. L'orchestra suonava in modo incomparabilmente superiore a quanto fa oggi. Era figura presente. Aveva plasmato un SUO riconoscibilissimo suono. Bene? Male? Come al solito se questo lo fa Muti è - per molti - male assoluto. Se lo fa qualcun altro è invece segno di professionalità e partecipazione. Mi sembra logico che un direttore che occupava gran parte del suo tempo a preparare in modo eccellente un'orchestra, quell'orchestra tenda a dirigerla spesso. Peccato veniale? Certamente, ma condiviso con tanti altri (pensiamo a Pappano a Londra: nessuno si è mai sognato di criticarlo perché dirigeva almeno la metà degli spettacoli della ROH!). Ma a Muti si deve per forza riservare un trattamento diverso (in Italia naturalmente, dove tutti si scoprono giuristi, commissari tecnici, velisti provetti e pure direttori d'orchestra...).
2) "assenza di grandi direttori": conseguenza della prima accusa. E come la prima è una "verità" da ridimensionare. Molto. Io per questioni anagrafiche ho vissuto il ventennio mutiano (paragonato da qualcuno addirittura al ventennio fascista...e a cui augurerei di tornare indietro nel tempo a quegli anni così da smetterla di fare stupide ironie sul tema) e non mi ricordo di aver ascoltato SOLO Muti. Ma probabilmente mi sbaglio e tra il 1988 e il 2002 la presenza sul podio di Maazel, Gatti, Ozawa, Bertini, Rozhvdestvnskij, Sawallisch, Gavazzeni, Campanella, Chung, Chailly, Sinopoli, Gergiev, Davis, Bychkov, Bartoletti, Rostropovich, Tate, Conlon, Gelmetti, Pretre, Temirkanov etc...era frutto di immaginazione o erano ologrammi o figuranti mascherati. E pure il Boulez in ben 4 concerti era probabilmente una maschera... Ovviamente si elencheranno anche i direttori mancanti e si accuserà Muti di non aver permesso che alla Scala tornassero Abbado o Kleiber...come se i motivi dell'assenza fosse la presenza di Muti. Ognuno creda a quel che vuole. Peraltro - passato Muti - mi chiedo perché non sono venuti a pioggia i "grandi direttori"...a meno di considerare Rustioni, Morandi, Luisotti, Luisi et similia dei nuovi Karajan... Dove sono i grandi nomi che si racconta fossero allontanati da Muti? Chi han portato Lissner e Barenboim? Non mi pare chissà quale incremento annunciare il prossimo arrivo di Nello Santi...
3) "assenza di grandi registi": a parte che Strehler e Ronconi SONO grandi registi...torno alla premessa. Su questo sito la figura del regista è la principale dello spettacolo operistico. Per molte altre persone no. E non è che siano tutti necessariamente dei selvaggi con l'anello al naso... Ma siamo sempre ai pregiudizi: convinzioni personali legittime, ma non certo bollate col timbro della verità assoluta. Certo Pier'Alli e Kokkos non si possono guardare, ma non tutto era così. Oltre ai già citati Ronconi e Strehler ci sono stati splendidi spettacoli anche a livello visivo: la Butterfly di Asari, la Lady Macbet di Engel (splendido spettacolo), Cobelli (con Angelo di Fuoco e Iphigenie en Tauride), il Parsifal di Lievi (che pure era molto suggestivo) e molti altri, tra cui la Boheme di Zeffirelli. Certo con alti e bassi. Come capita ovunque. Di scarso pregio le accuse finali mosse da Bagnoli: quando mai alla Scala ha fatto fare la regia in famiglia???? Che se poi si parla di nepotismi, oltre a guardare in casa nostra si può anche guardare altrove: penso a Rattle che infila la sua consorte in ogni produzione possibile... E poi facciamo un confronto con quel che è venuto dopo: in dieci anni (a presunta emergenza smaltita dunque) che si è visto? Qualche ottimo spettacolo preso in prestito e per il resto? Ad essere sinceri il nulla...
4) "assenza di cantanti": Muti usava i cantanti che all'epoca giravano. Anzi, si sforzava di uscire dalla logica del nome - con risultati spesso discutibili - privilegiando l'insieme al singolo elemento. Tutti però dovevano aderire alla visione del direttore. E meno male direi, altrimenti che ci sta a fare??? Francamente nel post Muti non ho mai ascoltato cast stratosferici...o particolarmente innovativi direi. A meno di ritenere i capricci di Alvarez un passo avanti...o il Nucci reiterato sino all'oltretomba una scelta rivoluzionaria. Il problema cantanti però era ed è molto diffuso: è un'incapacità generalizzata a selezionare e a distribuire. Ora come allora.
5) "provincialismo culturale": questa è quella che preferisco...un vero e proprio cavallo di battaglia, la parola d'ordine che vuol dire tutto e niente e che va bene per qualsiasi cosa. Anche perché spessissimo - anzi, sempre - è riempita SOLO da gusti personali e opinioni (ancorché legittime)...si fa Rossini e non Berg: provincialismo culturale. Si fa Berg e non Rossini: provincialismo culturale. E' un giochino che funziona sempre...salvo quando si chiede concretamente di indicare in cosa consista. Ma mi domando, se era provinciale la Scala di Muti, la Scala di Lissner che ha avuto l'unico pregio di riciclare alcune buone produzioni europee e che a parte il Tristan si è barcamenata tra un "vorrei, ma non posso" (stile orrido Ring del bicentenario) e routine modello ASLICO col repertorio del melodramma, come dovrebbe essere definita?
Certo, ripeto, non voglio cadere nel vizio opposto: la gestione Muti ha avuto luci e ombre, esattamente come altre esperienze. Trovo assurdo paragonarla a quella di Abbado - erano altri tempi e rispondeva ad altre esigenze - e trovo ingenuo confrontarne le scelte di repertorio: sono due musicisti del tutto diversi ed entrambi hanno compiuto scelte coerenti con le loro attitudini (si pensi al diverso rapporto con Rossini). Che senso ha rimproverarli per quel che NON hanno fatto? Muti ha peccato di
ὕβϱις quando si è incaponito con Wagner (o meglio col Wagner sbagliato: avrebbe avuto più da dire con Lohengrin o Tannhauser secondo me...), tuttavia comprendo umanamente l'azzardo (così come comprendo il deludente Mozart che Abbado che si è ostinato a dirigere nell'ultima parte della carriera senza aggiungere nulla alla sua interpretazione). Si cita la lezione di Boulez, colpevolmente ignorata da Muti alle prese con Wagner...ma siamo sinceri, il Wagner maggiormente praticato oggi - non nella provincialissima Milano
ça va sans dire, ma al Met, a Vienna, a Bayreuth, a Berlino, a San Pietroburgo - è più o meno quello lutulento di certa tradizione (Thielemann, Levine, Luisi, Gergiev, Brenboim...).
Detto questo, prima di essere accusato di voler fare gratuita polemica - o di essere liquidato da Mattioli & friends come un imbecille
- vorrei anche ricordare alcune specifiche del "regno" di Muti alla Scala...che molti si dimenticano o che ridicolizzano in nome di uno sciovinismo al contrario, ma che a mio giudizio sono momenti importanti della storia di quel teatro e che benissimo possono stare alla pari dei migliori esiti abbadiani.
a) rinnovamento del repertorio: sì non è un abbaglio, ma Muti ha ripensato al repertorio. Ovviamente operando scelte diverse e concentrandosi verso un determinato periodo storico, ma comunque ha dato al teatro un preciso orientamento estetico. Può piacere o meno, ovvio, ma non è stata una scelta banale. Non c'era Handel. Ok...e allora? Non c'è neppure adesso, ma in compenso vi erano altri autori e altre riscoperte (Gluck, Cherubini, Spontini).
b) Verdi. Piaccia o meno il Verdi di Muti è radicalmente diverso rispetto alle banalizzazioni della tradizione italica. L'adozione di edizioni critiche, la ripulitura dalle incrostazioni tradizionali, il generale ripensamento dei piani sonori, l'integralità, l'abolizione di certe trovate circensi... Se le fa Minkowski è un genio, ma siccome l'ha fatto Muti allora è un cialtrone...un finto filologo arruffapopoli. Eppure il clima notturno del suo Trovatore, ricchissimo di echi donizettiani e suggestioni romantiche, è una delle cose migliori ascoltate in quel teatro. Così come il suono della sua Traviata mi rimarrà sempre impresso nella memoria: l'attacco dei violini nel preludio (di una perfezione assoluta, del tutto incomparabile allo sgangherato attacco del recente Gatti) che fa correre la mente alla purezza dell'inizio di Lohengrin. Senza contare il coraggio di fare Traviata in un clima di scontro tra bande che regnava nel loggione... Ma ci sarebbe da ricordare anche Attila, i Vespri (sottratti alla retorica risorgimentale), Macbeth, persino Otello e Don Carlo.
c) Rossini. Questo è un capitolo importante, e purtroppo non del tutto compiuto - come la rimpianta mancata realizzazione di Norma e Medea. Eppure gli esiti sono stati altissimi. Il Tell soprattutto (credo che il finale sia l'emozione più grande da me provata a teatro. C'era il problema della lingua, certo, ma le rivoluzioni si fanno per gradi, e portare un Tell integrale e ricondotto ad una lettura coerente (priva di rigurgiti verdiani) senza trasformarlo in un acutificio è stato, per la Scala, rivoluzionario. A parte che la versione ritmica è stata del tutto rivista in modo da correggere gli errori del Bassi... Come non ricordare La Donna del Lago e il suo clima neoclassico (il confronto con l'ultima "roba" ascoltata alla Scala neppure si pone) o il Moise (integrale e in lingua originale).
d) Mozart. Chi parla di un Mozart vecchio stile non sa, probabilmente, quello di cui parla. Prescindendo dalle ingombranti incisioni coi Wiener (non particolarmente riuscite) quello scaligero resta uno dei più interessanti ascoltati in quegli anni. Proprio per la cura filologica assolutamente inedita in Italia. Se qualcuno ha la bontà di ricordare la trilogia dapontiana rammenterà l'estrema cura di Muti nel calibrare le sonorità orchestrali. La stessa formazione era ripensata (il numero ridotto degli orchestrali variava ad ogni titolo) e gli equilibri archi/fiati rivisti a favore di questi ultimi (per evidenziare una maggior trasparenza e liberare l'architettura sonora dagli eccessi degli archi). Così com'erano evidenziate le appoggiature nella linea di canto e valorizzato il continuo (si alternavano cembalo e fortepiano). Senza contare gli splendidi allestimenti di Nozze e Don Giovanni (spettacoli storici). Ripensando a quel Mozart non posso non ricordare quel che è successo dopo: passi per l'impacciato Dudamel (in un allestimento di rara bruttezza) che riuscì a far durare il primo atto circa due ore...ma che dire di Barenboim? Davvero pareva tornare indietro nel tempo con un Mozart massiccio e pesante, con un'orchestra degna di Bruckner e un atteggiamento di totale chiusura ad ogni approccio filologico...
Ultimo accenno lo faccio all'orchestra: all'epoca di Muti era un'ottima compagine, dal suono identificato, precisa, e capace di adattarsi ad altre bacchette (diversissima era con Gergiev o con Sinopoli). Questo lo si deve ad un lavoro continuo e alla presenza di una figura di riferimento. Muti lo era. Piaccia o meno. Adesso non c'è nessuno, qualcuno racconta che si è "liberata", ma intanto non riesce a portare a termine con ordine Ballo in maschera o Trovatore... Lo stesso Gergiev quando è tornato con Turandot si è trovato un'orchestra impreparata e imprecisa e, non avendo fatto le prove, è riuscito a dare una vera lettura solo nelle ultime recite dirette. Quindi di cosa stiamo parlando? A me pare che sia la solita guerra tra bande di chi crede d'avere in tasca la verità (dall'una e dall'altra parte)... Muti non era il diavolo e non era neppure il salvatore. Qui mi pare che gli si vogliano far pagare colpe non sue.