mattioli ha scritto: [...] In tutto il mondo si continuano a rielaborare i capolavori del passato con interventi ben più pesanti di quelli di Henze e queste "manomissioni" girano, tranquillamente applaudite. Vedi proprio l'Ulisse di Monteverdi-Kentridge o i Bizet e i Mozart di Brook o i Boccherini (e altri) rielaborati da Berio. Tutte hit che hanno avuto successo dappertutto.
Anche qui l'unica regola è che non ci sono regole.
Mi era solo sfuggita la replica...provvedo a rispondere. In realtà parlo di qualcosa di differente: non di rielaborazione dei capolavori del passato (pratica ovviamente legittima anche perché è chiaramente scritto in locandina), ma di esecuzione di un repertorio che appartiene ad un genere diverso dalla tradizionale "opera" e che più di altri necessita di un intervento "creativo" (inutile ribadire lo stato in cui si trovano le "partiture" monteverdiane e altre coeve: in cui è tracciata la linea di canto e il basso con, a latere, qualche generica indicazione strumentale). Anche perché questo genere di intervento deriva da una libertà oggi inconcepibile nel rapporto esecutore/composizione: non esistendo una vera partitura, probabilmente gli interventi degli strumenti erano decisi dall'ensemble con un approccio non troppo differente da quello della "commedia dell'arte" - e lo stesso vale per il canto gestito in modo assolutamente libero e secondo la tecnica della sprezzatura. Ecco, visto lo stato delle cose mi chiedo quanto sia "filologico" (lo dico in termini paradossali, intendiamoci) rinchiudere quest'estrema libertà esecutiva in uno schema fisso e dogmatico se pure fondato su ricerche serie e ricostruzioni più o meno affidabili. Non è assurdo parlare di regole nei confronti di un tipo di teatro che nasce libero? Sarebbe come "filologizzare" la commedia dell'arte, non credi? E quindi - torno all'obiezione - rilevo un disagio nell'ammettere la liceità di quelle che non sono "rielaborazioni" velleitarie (come quelle che mi citi, che mi paiono divertissement o variazioni sul tema - anche se di quelle elencate ho visto solo gli spettacoli di Brook), ma esecuzione dell'opera nel senso più profondo, ossia la sua proposizione non come reperto archeologico, ma come musica viva. Dell'Ulisse secondo Henze un tuo collega - Giudici (ho controllato) - scrive peste e corna dimostrando, a mio parere, di rimuovere il problema di cui parlavo e di derubricarlo a resistenza reazionaria (se leggi sul suo volume dedicato all'opera vedrai quel che scrive, non relativamente all'esecuzione, ma alla legittimità di quell'intervento, confondendo, ancora, proposta filologica e dogma esecutivo). Circa il fatto che tali operazioni sarebbero eseguite in tutto il mondo, mi permetto di dubitare: prendi la recente proposta scaligera del ciclo monteverdiano...