La "Rossini renaissance"

opere, compositori, librettisti e il loro mondo

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La "Rossini renaissance"

Messaggioda DottorMalatesta » dom 09 feb 2014, 17:51

RITENGO OPPORTUNO APPROFONDIRE IN UN THREAD APPOSITO LA DISCUSSIONE IN MERITO ALLA "ROSSINI RENAISSSANCE"

Se avete il libro (fondamentale dal punto di vista documentario) “Le voci di Rossini” di Giorgio Appolonia, vi consiglio di rileggere l’introduzione storica di Giorgio Gualerzi dedicata alla “Rossini Renaissance”. Un saggio che risale al 1992, ma tuttora di riferimento. Gualerzi peraltro se è a mio parere molto discutibile dal punto di vista della critica vocale, dal punto di vista della critica storicistica dell’opera italiana ottocentesca è stato davvero un personaggio di spicco nel panorama italiano e non solo.

Qui di seguito trovate alcuni spunti tratti da quella introduzione, che ho tentato di condensare.

“Rinascita di un passato favoloso”

Una prima tappa importante nella “Rossini renaissance” è costituita dalla ripresa, dopo decenni di oblio, di Semiramide (Maggio musicale fiorentino, 1940) e Assedio di Corinto (Firenze, 1949; Roma 1951; San Carlo di Napoli 1952), primi tentativi di allargare il repertorio rossiniano al genere “serio”, fino ad allora costituito essenzialmente da Mosè e Guglielmo Tell.
Ma anno fondamentale per la “Rossini renaissance” è il 1952, luogo fondamentale il Maggio Musicale Fiorentino, personaggio fondamentale Francesco Siciliani “proto-benemerito della restaurazione rossiniana”. Vengono riscoperte opere sconosciute quali Pietra del paragone, Scala di seta, Conte Ory, Tancredi ed Armida.

Il Rossini “comico”
La superstite presenza di Rossini nella pratica teatrale finiva per identificarsi nel repertorio comico-brillante: tra i grandi esponenti rossiniani in questo ambito si segnalano Salvatore Baccaloni (che riprende il “tipo” rossiniano del “buffo caricato”, Vincenzo Bettoni (che riprende il “tipo” rossiniano del “buffo nobile), Conchita Supervia (che aveva sottratto Rossini al monopolio del soprano leggero ed aveva rilanciato stabilmente Cenerentola e Italiana in Algeri), Gianna Pederzini, l’erede diretta della Supervia, e –successivamente- Giulietta Simionato. La Simionato, dice Gualerzi, si ritrova ad essere “la donna giusta al posto giusto e nel momento giusto”. Le viene infatti offerto di coniugare parti comico-brillanti con parti del Rossini “serio” (Tancredi, 1952) e Arsace (1962), rappresentando così il punto terminale della fase di transizione verso la “Rossini renaissance” propriamente detta.

Salvatore Baccaloni:


Conchita Supervia ne "La Cenerentola"...


... a confronto con Giulietta Simionato


Nel repertorio comico la leadership spetta comunque a due cantanti che incarnano alla perfezione il tipo rossiniano della “primadonna buffa”, Teresa Berganza (canto tecnicamente inappuntabile, linea di estrema eleganza, tendenza ad esaltare i risvolti lirici ed elegiaci dei personaggi), e del “musico” specialista dei ruoli “en travesti”, Marilyn Horne, che ha portato la coloratura rossiniana ad un livello di impegno virtuosistico ed approfondimento espressivo che, Sutherland a parte, non ha precedenti nel ‘900.

Teresa Berganza


Marilyn Horne


Fondamentale, per lo sviluppo della “Rossini renaissance”, l’apporto di Sesto Bruscantini (e dei suoi epigoni: Enzo Dara “buffo parlante”, Salvatore Alaimo “buffo nobile”, Alessandro Corbelli, Bruno Praticò, Michele Pertusi, Pietro Spagnoli, Alfonso Antoniozzi) e di Graziella Sciutti che dà origine ad un rilancio del soprano cosiddetto “leggero” con nomi quali Luciana Serra (prima donna larmoyante e insieme “buffa”) e Mariella Devia.

Sesto Bruscantini e Graziella Sciutti:


Il Rossini “serio”
La produzione “seria” è senza dubbio assai più determinante di quella “comica” per comprendere il significato e la portata della “Rossini renaissance”. Il perché è essenzialmente legato alla capacità dell’interprete vocale di corrispondere in pieno alle difficili ed elaborate richieste vocali e stilistiche.
Apporto fondamentale quelli di Renata Tebaldi, impiegata in parti essenzialmente liriche, nel Guglielmo Tell e nell’Assedio di Corinto.



Ma vera e propria cartina al tornasole la Maria Callas protagonista dell’Armida del Maggio Musicale Fiorentino del 1952, nella quale l’adeguatezza tecnica, e dunque stilistica, della Callas all’arduo dettato rossiniano serve a misurare l’abisso con i cinque tenori presenti.



Quell’Armida è il momento chiave dell’avvio di un recupero tecnico e stilistico della vocalità rossiniana, e al contempo altissima operazione culturale, perché coincide con un rovesciamento di un indirizzo critico intrinsecamente antirossiniano che aveva dominato fino ad allora. Si trattava cioè di combattere contro il rifiuto di riconoscere alla vocalità rossiniana, e quindi agli esecutori, una funzione eminentemente espressiva. Il connubio Callas- Armida ha l’indiscutibile merito di riproporre la tecnica e l’espressività, l’una non disgiungibile dall’altra, di una Isabella Colbran.
Cantanti che hanno segnato delle tappe fondamentali nella riscoperta del “Rossini serio” sono, a detta di Gualerzi:
1. Mezzosoprani: Marilyn Horne (tecnica sbalorditiva, con ripresa, ad esempio, del granitico trillo di forza così intrinseco alla vocalità rossiniana); Shirley Verrett e altre cantanti esemplari di una specie di “neobelcantismo”, Kathleen Kuhlmann, Federica von Stade, Jennifer Larmore. In Italia, in linea con il canto della Simionato e soprattutto della Berganza, Lucia Valentini. Gualerzi invece giudica discutibile per quanto riguarda stile e gusto il canto di Agnes Baltsa.

Tre "mezzo" a confronto: Horne, Valentini-Terrani, Agnes Baltsa


2. Soprani: Joan Sutherland, tecnica agguerrita al servizio di un’espressione strumentale (Semiramide, Assedio di Corinto), e- sulla sua scia- Lella Cuberli, June Anderson, Margherita Rinaldi (sebbene in un’unica occasione, Amenaide del Tancredi a Roma nel 1977), Katia Ricciarelli (Guglielmo Tell, Bianca e Fallliero, Tandredi), Mariella Devia (Tancredi, Conte Ory), Cecilia Gasdia (Armida, Donna del lago, Maometto II).

Joan Sutherland:


3. Bassi/bassi-baritoni: un solo nome s’impone, Samuel Ramey, e sulla sua scia Simone Alaimo, Ferruccio Furlanetto, Ruggero Raimondi.

Samuel Ramey:


4. Tenori. La “Rossini renaissance” qui prende le mosse da un disco, quello che riproduce l’aria d’entrata di Almaviva cantata da Hermann Jadlowker, e dall’affermazione di Rodolfo Celletti secondo cui se Del Monaco avesse avuto l’agilità sarebbe stato il vero tenore rossiniano, anzi un bari tenore, corrispondente ai vari Tacchinardi e Garcia, Nozzari e Donzelli.

Hermann Jadlowker


Prima dell’appropriazione del repertorio da parte dei tenori anglosassoni ed americani, il monopolio del tenore rossiniano (fra il ’45 e il ’75) apparteneva alla scuola italo-iberica capeggiata da Cesare Valletti, seguito da Pietro Bottazzo, e Agostino Lazzari. Contemporaneamente e successivamente compaiono Eduardo Gimenez, Ernesto Palacio, Francisco Araiza. Ma alla fine degli anni ’70 emerge la scuola tenorile americana, in particolare nelle figure di Chris Merritt e Rockwell Blake.

Chris Merritt:


Rockwell Blake:


_________

Gualerzi non dice nulla dei direttori d’orchestra. Pure il ruolo di alcuni di essi mi pare assolutamente fondamentale per comprendere il fenomeno della "Rossini renaissance". Qui a mio parere alcuni nomi si impongono. In primis Vittorio Gui (Cenerentola, Barbiere e Comte Ory a Glyndebourne), che -in coppia con Francesco Siciliani- fu il motore propulsivo del Maggio Musicale Fiorentino. Richard Bonynge (soprattutto per il suo essere al servizio della coppia di “madames Rossini”, Sutherland-Horne). Claudio Abbado (per il suo “Rossini comico” che coniugava geometrie cartesiane e dionisiaca “joie de vivre”. Riccardo Muti per il suo Rossini “neoclassico”, levigato al pari di una statua di Canova (Guglielmo Tell, Donna del Lago). Innegabile, dal punto di vista storico (sebbene discutibile nella qualità dei risultati ottenuti), anche l’apporto dato da Claudio Scimone, in sala di incisione e non solo, alla riproposizione di opere del Rossini “serio”.
Molti i direttori il cui apporto è legato ad una o poche rappresentazioni o incisioni: Gavazzeni (Turco in Italia con Maria Callas), Giulini (Italiana in Algeri con Simionato), Tullio Serafin (Armida con la Callas e Guglielmo Tell con Tebaldi), Maurizio Pollini (Donna del lago).

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Re: La "Rossini renaissance"

Messaggioda pbagnoli » dom 09 feb 2014, 18:29

Grazie Francesco: excursus veramente notevole, e in larga parte condivisibile.
Ti faccio una proposta: proviamo a sistematizzare la materia, anche per toglierla ai sapientoni che credono di essere detentori del sapere?
La mia proposta è questa:
:arrow: scegliamo i landmarks veramente fondamentali, quelli imprescindibili per la comprensione della materia, dando per presupposto che tutto il resto sia venuto di conseguenza. Tanto per capirci: Marilyn Horne è uno snodo storico fondamentale, Martine Dupuy probabilmente solo un passaggio secondario; e così per tanti altri cantanti
:arrow: facciamolo a puntate, da pubblicare in home
:arrow: è aperto a tutti quanti, e tu coordini la materia
Che ne dici?
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Re: La "Rossini renaissance"

Messaggioda DottorMalatesta » dom 09 feb 2014, 18:36

pbagnoli ha scritto:Grazie Francesco: excursus veramente notevole, e in larga parte condivisibile.
Ti faccio una proposta: proviamo a sistematizzare la materia, anche per toglierla ai sapientoni che credono di essere detentori del sapere?


Che bello! Sì, sì, sì!!!!
: Thumbup :

La mia proposta è questa:
:arrow: scegliamo i landmarks veramente fondamentali, quelli imprescindibili per la comprensione della materia, dando per presupposto che tutto il resto sia venuto di conseguenza. Tanto per capirci: Marilyn Horne è uno snodo storico fondamentale, Martine Dupuy probabilmente solo un passaggio secondario; e così per tanti altri cantanti


Sono molto d'accordo. Andrebbero identificati (e distinti) i capofila dagli epigoni.

:arrow: facciamolo a puntate, da pubblicare in home
:arrow: è aperto a tutti quanti, e tu coordini la materia
Che ne dici?


Sarebbe molto bello e interessante! E ognuno potrebbe dire la sua. Ad esempio, penso che se volesse, il rossiniano (di nome e di fatto) Rodrigo potrebbe davvero contribuire in maniera rilevante. 8) E come lui molti altri (Divino, Beckmesser, Luca e tutti gli altri membri del forum): è aperto a tutti quanti, viva la libertà!!!

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Re: La "Rossini renaissance"

Messaggioda VGobbi » dom 09 feb 2014, 18:51

E' aperto a tutti quanti, viva la liberta' e' una citazione mozartiana, non rossiniana! :twisted:
Nemmeno noi siamo d'accordo con il gobbo, ma il gobbo è essenziale! Guai se non ci fosse!
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Re: La "Rossini renaissance"

Messaggioda pbagnoli » dom 09 feb 2014, 18:53

VGobbi ha scritto:E' aperto a tutti quanti, viva la liberta' e' una citazione mozartiana, non rossiniana! :twisted:

Se non altro, almeno è una materia dove non ti sentirai obbligato a citare a ogni piè sospinto Gobbi, Tomlinson, Petrov, Mazura e via discorrendo.
Questo è il territorio di Joan Sutherland! : Love : : Love : : Love :
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Re: La "Rossini renaissance"

Messaggioda DottorMalatesta » dom 09 feb 2014, 19:26

VGobbi ha scritto:E' aperto a tutti quanti, viva la liberta' e' una citazione mozartiana, non rossiniana! :twisted:


E che dovevo scrivere?
Tutti la chiedono, tutti la bramano da vaga femmina f...elicità?
:mrgreen:

VIVA ROSSINI!

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Re: La "Rossini renaissance"

Messaggioda VGobbi » lun 10 feb 2014, 20:22

pbagnoli ha scritto:
VGobbi ha scritto:E' aperto a tutti quanti, viva la liberta' e' una citazione mozartiana, non rossiniana! :twisted:

Se non altro, almeno è una materia dove non ti sentirai obbligato a citare a ogni piè sospinto Gobbi, Tomlinson, Petrov, Mazura e via discorrendo.
Questo è il territorio di Joan Sutherland! : Love : : Love : : Love :

Verissimo Pietro, ma Petrov e' un vocalista immenso ... per lui c'è posto nel territorio della Sutherland ...
Nemmeno noi siamo d'accordo con il gobbo, ma il gobbo è essenziale! Guai se non ci fosse!
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Re: La "Rossini renaissance"

Messaggioda michele cesareo » mar 11 feb 2014, 20:00

Ragazzi, siete veramente strepitosi ! incredibili ! imperdibili !....
Vi unisco tutti in un coralissimo , crescendissimo ringraziamento.
Michele
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Re: La "Rossini renaissance"

Messaggioda michele cesareo » mar 11 feb 2014, 23:24

Cari Gobbi e Pietro, per favore mi dite
di quale Petrov parlate ? Non certo Osip.....
Grazie,
Michele
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Re: La "Rossini renaissance"

Messaggioda pbagnoli » mer 12 feb 2014, 13:08

michele cesareo ha scritto:Cari Gobbi e Pietro, per favore mi dite
di quale Petrov parlate ?

E' questo qui:
http://en.wikipedia.org/wiki/Ivan_Ivanovich_Petrov

E' un bassone russo della categoria dei Reizen e Pirogov, di voce morbida e di discrete intenzioni interpretative (per capirci: bravo, ma basta una nota di Hotter come Boris per dimenticarsi di lui) che andava bene nei grandi ruoli russi ai tempi dell'URSS stalinista.
Se devo essere sincero, ne riconosco la bravura ma non mi ha mai fatto impazzire.
Il vero appassionato di Petrov è Vittorio
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Re: La "Rossini renaissance"

Messaggioda Rodrigo » gio 13 feb 2014, 0:39

Difendere l'indifendibile ovvero le "voci da seminaristi" e il tenorismo rossiniano
Il fuoco di fila contro il povero Alva (e i tenori rossiniani ante riforma “americana”) mi spinge a tentare una difesa. E difendere una posizione, per come la vedo io, significa spiegarla o meglio ancora contestualizzarla, non rimpiangere il buon tempo che fu.
Bene, anzitutto chiediamoci cos’era di fatto il repertorio rossiniano fino ai primi anni 60 a essere ottimisti. Era un pugno di opere comiche (Barbiere e, molto più raramente, Italiana e Cenerentola) e un paio di titoli seri (Tell, Mose’). Titoli come Semiramide o il conte Ory si davano col contagocce, praticamente senza che nessuno capisse bene il perché. In questo panorama mancavano, con l’eccezione di Arnold, i ruoli tenorili più impegnativi drammaturgicamente e vocalmente. Arnold lo si risolveva come un Manrico muscolare, restavano gli altri.
Se ci poniamo nell’ottica dell’epoca, Lindoro, don Ramiro e Almaviva non dovevano sembrare troppo diversi da Paolino, Nemorino, Ernesto o magari Elvino e Alfredo. Ora noi abbiamo ben chiaro che Almaviva non ha nulla della psicologia di un Nemorino: è un grande di Spagna che zittisce don Bartolo con una frase, non un contadino semianalfabeta e presumibilmente un po’ tonto. Va detto che il taglio del rondo’ finale – esiziale ai fini della comprensione del personaggio – oltre ad alleggerire la parte considerevolmente rendeva plausibile la riduzione del conte ad un convenzionale amoroso. In questo contesto non deve stupire più di tanto che venissero reclutati per queste parti cantanti che praticavano abitualmente ruoli da amoroso da opera ottocentesca (o magari da opera lyrique): dunque spazio a Valletti, Monti, Misciano, Benelli, Bottazzo e Alva.
Non si trattava certo di interpreti, dietro i quali vi era il fantasma di Schipa, privi di qualità. L’armamentario che costituiva la “cassetta degli attrezzi” del tenorismo di grazia era più o meno ben maneggiato da questi cantanti: fraseggio curato, timbro gradevole, facilità nel sostenere tessiture acute (non in tutti), predisposizione al cantar fiorito. Quest’ultimo è un requisito che possiamo valutare relativamente col senno di poi, ma il contesto dell’epoca non temeva tagli, trasporti e tutto un armamentario di trucchi che magari qualcuno rimpiange. E’ giusto rilevare i limiti di questi interpreti, ma dobbiamo ammettere a mio avviso che si trattava anzitutto di limiti nelle visioni drammaturgiche generali di cui gli interpreti prescelti erano una conseguenza in fondo coerente.
Va poi detto che dedotta la drastica riduzione del coefficiente virtuostistico, questo approccio più di tanto non tradiva i ruoli tenorili buffi rossiniani come Lindoro o Ramiro (e mettiamoci pure un personaggio come Giannetto della Gazza ladra). Il vero problema, teatrale prima ancora che musicale, era l’opera seria in cui i presupposti che ho tentato di riepilogare andavano letteralmente a picco e con loro i cantanti ad essi legati. Ma di questo vorrei parlarvi più avanti.
Saluti.
Rodrigo
 
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Re: La "Rossini renaissance"

Messaggioda DottorMalatesta » gio 13 feb 2014, 12:09

Caro Rodrigo,
sono ammirato e riconoscente per questo tuo intervento!
La tua valutazione è davvero interessantissima!
Mi domando se ci fosse comunque un problema anche tecnico (difficoltá ad eseguire le agilitá) alla base della riduzione dei personaggi tenorili rossiniani a meri “amorosi”. Alva non ha mai inciso il rondò di Almaviva, ma ho l´impressione che anche se ne avesse avuto la possibilitá se ne sarebbe tenuto alla larga. MI sembra infatti che la sua sia una agilitá troppo “leggera” e che Rossini richieda un´agilitá piú “calcata”, piú “di forza”. Al di lá dei molti anni di differenza, le agilitá di un Blake e quelle di un Alva mi sembrano davvero diversissime proprio nel tipo di suono (martellante ed incisivo nel primo caso, morbido e “superficiale” nel secondo).
Penso anche a Valletti, che ci ha lasciato testimonianza del rondò di Almaviva in cui si avverte ad ogni momento un´estrema cautela (quasi camminasse sul ghiaccio!); anche la scelta del tempo mi sembra essere stata fatta per venire in suo soccorso.



L´impressione complessiva è che il problema, oltre che espressivo, fosse tecnico. E che la difficoltá tecnica comportasse, come conseguenza, una distorsione nel modo di interpretare questi personaggi.
Si capisce allora che razza di rivoluzione è stato l´arrivo di gente come Blake, Merritt, Palacio, Gimenez…. Cantanti che con una tecnica piú adatta ad affrontare la vocalitá rossiniana hanno anche cambiato il volto a questi personaggi.
È plausibile una ricostruzione di questo tipo?
A mio parere la cosa impressionante dell´edizione de La Cenerentola diretta da Abbado è comunque la coesistenza di una sonoritá orchestrale modernissima al servizio di un canto che (con l´eccezione della Berganza) sa di vecchio (Alva era stato l´Almaviva del Barbiere con la Callas!).
Sarei davvero curioso di sapere cosa ne pensi.
Grazie ancora per le illuminanti considerazioni!

DM

P.S.: interessante ascoltare anche Gedda diretto da Levine nel rondò di Almaviva. Stesse perplessità sul tipo di coloratura.



E qui Blake

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Re: La "Rossini renaissance"

Messaggioda Rodrigo » ven 14 feb 2014, 1:23

L’uovo e la gallina ovvero alla prova dell’opera seria

Il nostro Malatesta suggeriva a proposito del tenorismo rossiniano una questione: il rapporto tra insufficienza drammaturgia e inadeguatezza tecnica. Ci si chiede insomma se erano i limiti acrobatici dei tenori che praticavano Rossini a provocare una lettura fuorviante dei personaggi o se era una lettura “di comodo” di questi eroi a renderli appannaggio di tenori che la nostra sensibilità giudica inadeguati. La questione, che può assomigliare al dubbio se viene prima l’uovo o la gallina, a mio avviso va risolta nel secondo senso. In altre parole: se Ramiro, Lindoro e Almaviva erano considerati parenti stretti di Paolino, Nemorino ed Elvino, logica voleva che si scritturasse chi praticava con successo questi personaggi.
Ripeto, entro certi limiti si trattava di un’operazione non propriamente arbitraria (salvo il caso di Almaviva) che tutto sommato faceva tornare i conti. Prova ne sia una fascia di tenori rossiniani di successo di cui non è difficile rintracciare, come in controluce, la discendenza dai Valletti, dai Monti e dagli Alva. Più spettacolari in acuto e via via più efficienti nella coloritura si dipana dai capostipiti una linea che comprende Araiza, Gimenez, Palacio, Benelli sino a Matteuzzi e Florez. Guarda caso si tratta di cantanti che hanno mantenuto uno dei presupposti della gloriosa scuola del tenorismo di grazia: l’omogeneità e la “soavità” di emissione senza accogliere le spettacolari disuguaglianze timbriche della scuola americana. E, guarda caso, questa discendenza conserva anche un’altra caratteristica delle origini: una più o meno limitata plausibilità nei ruoli seri in cui, viceversa ci è parsa cosi’ convincente la scuola americana.
E veniamo al secondo aspetto del mio intervento. A partire dalla fine degli anni ‘50 a ritmo sempre più serrato vengono riprese le opere del Rossini serio. Dapprima Mose’ e l’Assedio (e qualche Semiramide), poi Armida, Tancredi, Elisabetta, Otello e via di questo passo. E’ in questo preciso momento che la scuola “di grazia” comincia a manifestare le proprie insufficienze. In altri termini la “cassetta degli attrezzi” che funzionava negli amorosi da opera buffa si rivela impari rispetto a una drammaturgia che richiede ben altro in termini di virtuosismo e fraseggio. Sintomatica è, a mio parere, la ripresa di Armida al Maggio in cui Siciliani – di cui Matt ha messo in evidenza la genialità – si guarda bene da ricorrere ai tenori da Barbiere o da Italiana. A mio avviso aveva capito perfettamente che il mondo di Ubaldo, Carlo e Rinaldo non aveva nulla a che vedere con Paolino e Nemorino. Certo il problema fu ”risolto” in maniera insoddisfacente per noi, limitandosi a convocare tenori con il do “in tasca” senza badare troppo alla coloritura o a bizantineggiare su Nozzari e David. Ma puntare su due tenori da Puritani e da Tell (Filippeschi e Raimondi), anziché su tenori da Elisir o da Matrimonio segreto manifestava, per cosi’ dire, almeno una precomprensione del salto di qualità che bisognava fare.
Nel frattempo il naufragio del tenorismo “di grazia” si manifestava con la riscoperta del rondo’ del Barbiere in cui un bravo erede di Schipa (Valletti) e un ottimo tenore protoromantico da Bellini (Gedda) non riuscivano a convincere.
Altra tappa da non trascurare, sempre a mio modo di vedere, era quella contrassegnata da uno specialista sfortunato: Agostino Lazzari. In coppia con la Zeani il tenore fu durante gli anni ’60 più volte impegnato nelle riprese di Otello a Roma (opera e Rai), New York e Berlino e inoltre si accosto’ al Mose’ nel ruolo di Eliseo. Lo spettacolo romano, portato in tourné, fu a suo modo un evento. Basti pensare che alla direzione di Previtali si penso’ di affiancare per scene e costumi addirittura De Chirico!! Purtroppo non ho trovato su youtube saggi di Lazzari nei panni del moro. Ora va dato atto dell’impegno convinto e continuato di questo cantante (anch’egli reclutato tra le fila dei Nemorini e degli Elvini) alle prese con un personaggio che semplicemente era da ricreare. Ma è altrettanto doveroso rilevare che la dizione cristallina e il timbro chiaro e piacevole non suppliscono alla mancanza di corpo e di quel registo grave autorevole che Rossini sollecita in un ping pong infernale con gli acuti. Tipico stilema del linguaggio tragico rossiniano che un tenore fondamentalmente di grazia non poteva evidentemente rendere con la dovuta efficacia.
In buona sostanza gli anni ’60 segnano, ritengo, un punto di svolta. La ripresa del Rossini serio manifesta la necessità di un rinnovamento nei criteri di reclutamento dei tenori, ma le scelte operate continuano ad essere insoddisfacenti. E non è un caso che le opere serie saranno considerate soprattutto “cose da primadonna”. Si va a sentire Armida per la Callas o per la Deutekom, Semiramide per la Sutherland, Otello per… la Zeani.
Sul punto spero di tornare una terza volta, saluti.
Ultima modifica di Rodrigo il sab 15 feb 2014, 0:28, modificato 3 volte in totale.
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Re: La "Rossini renaissance"

Messaggioda michele cesareo » ven 14 feb 2014, 11:52

Riascolto dopo molto ben oltre mezzo secolo la voce di Agostino Lazzari. Emozionante !
Gran bel tenore, Agostino Lazzari. Gran bella voce, gran bel modo di porgere tutto con grazia, con tecnica raffinata, con intelligente buon gusto.
Avevo i pantaloni alla zuava, mi trovavo casualmente in un paesino dell'entroterra Garganico. C'era la festa del Patrono.
Era stato organizzato un matinee di romanze da parte della compagnia del Carro di Tespi, che girava anche nei contadi per proporre le grandi Opere del nostro repertorio ( ma anche quello Francese, Tedesco, Russo.)
Cantarono Lazzari, Antonio Pirino, Walter Monachesi ,( ricordato da Maugham, in alttra occasione, come grande Simone.)
Tutti egualmente bravi, indimenticabili.
Viva questo Sito, viva internet, you tube etc.
etc. che mantengono viva la memoria
Non faccio il laudatores del passato, però quando vedo certe proposte estemporanee e fuori da ogni logica e buon gusto,
la voce mi si... stecca e il suono diventa ...stonato.
Grazie di tutto e buona prosecuzione.
Michele
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Re: La "Rossini renaissance"

Messaggioda DottorMalatesta » ven 14 feb 2014, 18:45

Grazie a Rodrigo per il suo interessantissimo excursus sulla vocalitá tenorile rossiniana-parte seconda!

Vorrei incorniciare (perchè la condivido pienamente) questa tua affermazione:

capostipiti una linea che comprende Araiza, Gimenez, Palacio, Benelli sino a Matteuzzi e Florez. Guarda caso si tratta di cantanti che hanno mantenuto uno dei presupposti della gloriosa scuola del tenorismo di grazia: l’omogeneità e la “soavità” di emissione senza accogliere le spettacolari disuguaglianze timbriche della scuola americana. E, guarda caso, questa discendenza conserva anche un’altra caratteristica delle origini: una più o meno limitata plausibilità nei ruoli seri in cui, viceversa ci è parsa cosi’ convincente la scuola americana.


Alla scuola del ternosimo di grazia aggiungerei anche un tenore rossiniano che ha inciso parecchio come Ramon Vargaz.
Interessante considerare come la spaccatura sia "geografica": italo-sudamericani da un lato contro nord-americani dall´altro (Blake, Merritt, Kuebler). Sarà interessante anche capire dove collochi Kunde (che a me sembra sia un po´a cavallo tra le due scuole, di qui la sua riuscita maiuscola in certi ruoli Rubini tipo Arturo dei Puritani).

Quanto a Lazzari, su youtube trovate tutto il Mosèk, con Taddei e la Cerquetti (dirige Serafin, 1956):
http://www.youtube.com/watch?v=sj2dbn3SG6g
http://www.youtube.com/watch?v=Gk3ujldJO6E

Attendiamo impazienti la terza puntata!!!

8)

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