per quale motivo la tecnica di canto italiana sarebbe di ostacolo alle wagneriane e alle straussiane, quando una Eleanor Steber, immensa Elsa e sublime Marescialla, Arabella e Imperatrice, alternava senza patemi Fiordiligi a Violetta, Minnie a Desdemona, Cio-cio-san a Marie del Wozzeck? Che alla base di tutte queste parti ci sia, banalmente, il canto?
Secondo me tu esageri un po' con gli aggettivi!
Nel senso che parlare di "immensa" Elsa o di "sublime" Marescialla mi sembra davvero troppo.
Fu brava, ma non cambiò la storia, come non la cambiò in Violetta e Fiordiligi. Resta il fatto che, come tu giustamente affermi, la sua emissione le permetteva di far fronte a questi diversi linguaggi.
Non c'è nulla di strano in questo.
Nessuno ha mai detto che non si possa cantare lo stesso ruolo con tecniche diverse: Thomas fu Lohengrin, Pertile fu Lohengrin, Gedda fu Lohengrin, persino il tuo Melchior fu Lohengrin, ognuno con gli strumenti suoi.
Cosa avevano poi in comune (tecnicamente) un declamatore apertissimo e sovrano colorista come Vickers con un campione di iperbole contraltina tardo-romantica come Tamagno?
Nulla! Eppure furono entrambi grandi Otelli.
C'è da dire infine che la tecnica della Steber (come quella degli altri "sincretisti" americani del secondo dopoguerra) non è perfettamente rappresentativa del canto tradizionale italiano e post-belcantista.
C'è poco Garcia per intenderci!
Il discorso è interessantissimo e meritevole di un apposito thread, che riguardi le specificità del canto americano come è venuto proponendosi dagli anni 40 in poi.
Forse per il fatto che solo loro poterono permettersi di accogliere, già nella prima metà del 900, i più grandi artisti di tutto il mondo e goderne senza pregiudizi (come io vorrei che imparassimo a fare noi) li ha spinti a coltivare un canto che fondesse le caratteristiche tecniche di altre scuole.
La Steber è un buon esempio, ma se tu senti la Thebom e la Stevens, la Juyol e la Bampton, ma persino Tucker e Peerce ritrovi le stesse caratteristiche: un canto più legato e coperto dei tedeschi, e quindi in grado di affrontare (sia pure senza grandi risorse dinamiche o virtuosistiche) il repertorio italiano.
In compenso la produzione vocalica risultava più articolata sulle consonanti e meno ostile a sperimentazioni "di aperture" al fine di conseguire colori più vari (senza però arrivare al colorismo diabolico elaborato dai tedeschi).
Le conseguenze di questo particolare sincretismo, le riconosci anche in Eileen Farrell, Regina Resnik e Tatiana Troyanos e perfino nella Horne, che infatti cantava a sua volta Marie del Wozzeck e Minnie e che non ha mai temuto di variare i colori e aprire i suoni nel registro grave e il cui belcantismo (proprio per questo) risultava tanto diverso da quello di matrice europea.
PS -
comunque mi sembra che il primo a non volere Clitennestre ruttanti sia stato Strauss,
ruttanti?
Sai, in tutta sincerità non ho mai sentito "ruttare" nessuna delle grandi declamatrici novecentesche.
Me ne sarei accorto, perché, sai, io detesto i rutti.
Detesto gli interpreti volgari, esteriori, superficiali, pacchiani e circensi.
Ed è proprio per questo che ti lascio, con tutto il cuore, le pacchianate e le stupidaggini che la tua Horne ci ha ammanito per decenni (con tanto di pennacchio al vento) nelle caricature "en travesti" che l'hanno resa celebre presso tanti cultori di rutti.
Quale che sia la tecnica di emissione scelta, la Moedl è un monumento di dignità, eleganza e pudore al confronto.
Strauss esigeva per il ruolo, se non ricordo male, una cinquantenne elegante, devastata solo interiormente e non esteriormente (e credo che la voce rientri in questa categoria).
Mi sembra un modo ben poco scientifico di vedere le cose!
Comunque ti consiglio di informarti su quelle che furono le prime grandi Clitennestre della storia (volute e amate da Strauss: non la Schumann Heink con cui l'idiosincrasia fu totale):
Questo sempre che la cosa ti interessi.
Perché se non ti interessa la parte di Clitennestra... è un altro discorso.
Salutoni
Matteo