Eh... bagnolo, bagnolo!
Cosa mi combini!
Mi scuso anche io con Stecca.
Peraltro vorrei specificare che io non sono un bigottone che si scandalizza per le paroline osé, anzi - come sentirete dal vivo quando ci conosceremo per il pranzo progettato - sono in realtà sboccato come un portuale.
Se faccio tante storie sul forum è solo perchè ci siamo dati una linea di condotta, che credo faccia piacere a tutti, considerato i toni che spesso assumono le battaglie operistiche!
Certo che se, per primo, l'amministratore non si trattiene...
Bah! Torniamo al tema.
stecca ha scritto:La voce della Gencer come colore, tonnellaggio, volume, vibrazioni, registro centrale, stile stesso di legato ed emissione etc. era di natura quella di un soprano leggero
Dunque, premetto che se mi scapperà un tono un po' troppo determinato
è perché la Gencer è oggetto dei miei studi e delle mie ricerche fin da quando ero ragazzo.
Personaggio strano, contraddittorio, non sempre mi esalta, ma attira il mio interesse proprio per la complessità della sua vicenda artistica.
Io non amo le carriere facili: mi irritano quei tenori e quei soprani che per quarant'anni cantano gli stessi due ruoli e se ne vantano pure ("pensa! a settant'anni faccio ancora Alfredo!").
La Gencer è stata un'esploratrice incorreggibile, coraggiosa, inquieta... è vero che ha anche un po' violentato la sua voce naturale (e una carriera di oltre trent'anni con queste premesse ha dell'incredibile), ma è vero che proprio grazie a queste scorribande (unite a una musicalità e un istinto teatrale dirompente) ha accumulato un bagaglio tale di esperienze che il suo "linguaggio" ci appare caleidoscopico e ricchissimo.
Venendo alla questione della sua "vera voce", caro Stecca, quello che dici è in parte giusto e in parte sbagliato, almeno per me.
La definizione di soprano "leggero" non calza, nemmeno per la giovane Gencer.
Piuttosto io parlerei di soprano "acuto", col baricentro spostato verso l'alto, cosa che infatti le permise di avventurarsi nel repertorio dei cosidetti "lirico-leggeri".
Ma "soprano leggero" è troppo. Non lo era.
Il timbro era brunito, denso, il volume rispettabile.
Che lei si ritrovasse a cantare ruoli più gravi rispetto al suo baricentro (stiamo sempre parlando della Gencer "giovane") può essere vero, ma non che la voce (timbricamente e come volume) non ci si adattasse.
Tra l'altro affermare questo vorrebbe dire far passare per stupidi gente come Serafin, Siciliani e Di Costanzo, che erano abituati a maneggiare signore come la callas e la tebaldi.
E invece furono proprio Serafin e Di Costanzo a scritturarla - per il debutto in Italia - in Santuzza, Tatiana dell'Eugenio Oneguin, Madama Butterfly (con successo addirittura trionfale e ...in casa della Tebaldi) quindi Traviata.
Come vedi ...non ruoli da soprano leggero.
Il debutto alla Scala avvenne con Madame Lidoine dei Dialoghi delle Carmelitane, ruolo che - nelle altre nazioni - fu creato da gente come Regine Crespin e Leontyne Price.
La stessa Scala le fece poi subito cantare Leonora della Forza del Destino, in una produzione che era stata di Renata Tebaldi e la impiegò come possibile sostituta (se ce ne fosse stato bisogno) della Callas in Anna Bolena.
E' evidente che nessuno all'epoca ebbe l'idea di un soprano leggero.
E non erano anni di "vacche magre" come sostengono i nostalgici parlando di oggi, ma anni di grandissime voci drammatiche.
E' significativo che quando Serafin la chiamò a Napoil per fare il trittico, le chiese soltanto di cantare Tabarro e Suor Angelica.
Per Lauretta la Gencer era ritenuta troppo drammatica.
E' pur vero (è in questo che hai parte di ragione) che la voce della Gencer era troppo "alta" per molti di questi ruoli.
Il grave risultava debole, il medium più vellutato che perentorio, e il primo acuto (quei si bemolle e si naturali in cui un normale soprano lirico o lirico spinto doveva saper farsi rispettare) risultava poco in evidenza.
Costretta a combattere con tessiture un po' basse, la Gencer (che di voce ne aveva da vendere) cominciò a modificare le basi della sua emissione, in particolare giocando con il passaggio di registro.
Se la senti nelle incisioni tra il 59 e il 61 (che per inciso corrispondono a uno dei periodi di massima creatività della sua carriera) senti che si sforza di alzare il passaggio, con l'intento di dare più perentorietà al registro medio. La manovra non sempre riesce (il Boccanegra da Napoli risulta francamente faticoso) ma i risultati non tardano a farsi sentire.
Se senti il miracoloso Ballo in Maschera da Bologna e la fantasmagorica Francesca da Rimini da Trieste (entrambi nel 1961) dovrai convenire con me che qui del soprano leggero non c'è più assolutamente niente.
C'è un grande, fondo, scuro, vellutato soprano drammatico.
La svolta (infatti) ebbe non solo l'effetto di irrobustire incredibilmente i centri, ma anche di accorciare il registro acuto (conseguenza inevitabile).
Un male? No... perché in questo modo (anche senza il mi bemolle) la Gencer valorizzava i primi acuti (quei si bemolle e si naturali di cui si diceva sopra) che cominciarono ad acquisire volume, squillo e perentorietà.
Gli acuti della Gencer (fino al do o al re) sparati come bombe atomiche alla fine dei concertati, divennero giustamente famosi.
Se confronti la Forza del Destino del 57 (colonia) a quella del 64 (Bologna) senti una voce radicalmente diversa.
Mentre quella del 57 era flessibilissima ma fragile, quella del 64 è grande come una casa e lancia dei maledizione che potrebbero competere con quelli della Tebaldi.
Siamo obbiettivi: è vero che il timbro ne risentì.
Ma anche questo non fu un male.
Se la giovane Gencer era morbida e vellutata (fin troppo placida in questo senso), la seconda Gencer cominciò ad esibire bagliori strani, durezze sospette, che tuttavia - almeno fino al 67-68 - non solo non hanno compromesso la sua vocalità (sfolgorante e avvincente) ma anzi hanno aggiunto elementi di fascino alla sua screziatissima emissione.
Per forutna, la "seconda" Gencer mantenne le struggenti mezzevoci dei primi anni, solo che a questo punto formavano constrasti sbalorditivi rispetto all'intensità e alle asprezze della sua nuova voce: da questo contrasto la Gencer desunse il suo particolare segreto del "chiaroscuro"
(questi d'amanti popoli voci e lamenti sono... s'io li ascoltassi, o perfido, meco saresti in trono?)
Per tornare a noi, il paragone con la Sills e la Gruberova non esiste.
Perché loro rimasero sempre "soprani acuti", mentre la Gencer del 64 non lo era assolutamente più.
Le sarebbe stato impossibile, a quel punto, cantare Lucia.
Al contrario suscitava tumulti di folla cantando Norma e Ballo in Maschera all'Arena di Verona (ci avrei voluto vedere la Gruberova) o Gioconda e Alceste di Gluck (idem).
E ora veniamo ai ruoli Ronzi.
Tra l'altro la trilogia Tudor la tirò fuori proprio la Gencer
E' vero... infatti non accusavo te.
La Emi (con la Sills) ci fece addirittura un ciclo.
E non di meno è una sciocchezza, almeno per me.
La stessa Gencer è brava, ok, molto brava in Anna Bolena (ruolo pasta), ma è assolutamente inarrivabile in Stuarda e Devereux (ruoli Ronzi).
Tu dici che ci vuole il male visto diritto negli occhi per sostenere che un canto adamantino e angelicato dovrebbe soccombere di fronte alla Gencer quasi diventasse Stuarda una sorta di Lady Macbeth ante-litteram
Be' intendiamoci.
I ruoli Ronzi devono essere angelicati (non è questo - secondo me - il limite della Caballé), ma devono anche essere contemporaneamente demoniaci.
E' proprio l'incoerente (psicotica) mescolanza di opposti (il contrasto) che rende così singolari queste eroine.
Lady Macbeth è un monolite di prevedibilità paragonata alla Stuarda o Elisabetta. A me personalmente affascina molto meno.
Per i ruoli Ronzi, la parola d'ordine è "dissociazione".
Il bene è confuso al male, l'innocenza alla colpevolezza, la sincerità all'ipocrisia.
Proprio come nella pazzia, quando i confini si fanno labili e il bene si confonde nel male.
Maria Stuarda è colpevole o innocente?
E' angelica o è demoniaca?
E' vittima o carnefice?
Vittima, verrebbe da dire...
Poi però (dalla confessione con Talbot, dalle stesse accuse di elisabetta), cominciano a emergere, come da un tombino di una vecchia fogna, i complotti, le congiure, le tresche, gli omicidi - non ultimo quello del marito - tutta la sfilza di mostruosità per cui ... insomma Elisabetta non aveva tutti i torti.
Che dire: poco convincente come "vittima".
E ancora è veramente Regina o non lo è?
Sì, è Regina, anzi unica regina perché è incoronata dalla cristinanità, da Dio.
Ma allo stesso tempo non è regina... perché è stata deposta, è insorta contro il suo popolo guidando gli stessi ribelli.
Perché nulla le importa dello stato: infatti nel cavatina che hai citato, la nube dovrebbe "portarla via", non solo dal carcere, ma dalla stessa Inghilterra.
E questo è importante: non è in Scozia che vorrebbe tornare (la terra dei suoi padri, di cui pure si professa "regina") ma in Francia, tra i lussi e i falsi sorrisi di Caterina di Medici, quando lei era bambina nella sua gabbia dorata, viziata e coccolata (perché gli interessi di mezza europa le convergevano addosso), baby-vedova del re di francia.
Altro che oasi di angelici sussurri... c'è del marcio anche nella dolcissima cavatina.
Anche quando supplica Elisabetta, Maria potrebbe essere semplicemente prostrata, povera vittima che implora il perdono....
Eppure anche qui i conti non tornano.
Senti come Donizetti (spartito alla mano!
) sottolinea il "morta al mondo" con quell'isterico volteggiare del violino, quasi una rabbia sorda, nevrotica che aleggia sulle parole!
Senti come Donizetti sospinge verso l'alto, con tutta l'orchestra furibonda, quella frase "ti basti QUANTO STRAZIO A ME RECASTI".
La supplica diventa ACCUSA verso Elisabetta.
Persino il momento più idilliaco dell'opera, la preghiera del terzo atto, è un momento sinistro, terribile: non è un caso che lo abbiano definito il ....CANTICO cattolico della Stuarda.
Perché è l'ennesima sfida della "martire cattolica" alla corte protestante della scomunicata Elisabetta. E infatti la musica parte in sordina (come si conviene a una preghiera) ma poi cresce e diventa grandiosa, possente.
E il coro dei "famigli" di Maria (tutti cattolici come lei) a poco a poco si unisce al canto, ne gonfia il respiro e trasforma una preghiera a Dio in un inno insurrezionale, mentre lei volteggia lassù coi suoi trionfanti svolazzi.
mmmmm....
Siamo piuttosto lontani, mi pare, dalla preghierina tenera tenera (e bellissima) che Donizetti mise in bocca ad Anna Bolena, prima del supplizio.
Non parliamo poi della pagina che amo di più in quest'opera: il duetto della confessione: non so a te, a me pare agghiacciante.
Credo anche a Talbot, che a un certo punto (lui, pazientissimo) esplode contro Maria e la invita a piantarla con le contraddizioni e le ambiguità e a riconoscere le proprie colpe.
Donizetti inventa una musica dolcissima, sognante, cullante come una ninna nanna, sulla frase "al lieto suo sorridere.... odiava il mio consorte!"
Siamo oltre Schiller.... siamo al massimo del patologico e del mostruoso.
Lei stessa, Maria, sussurrando questo tema dolcissimo, ci descrive l'immagine dello sposino, che guarda tenero, "dolce" la propria mogliettina, le sorride...
E lei ricambia lo sguardo, gli sorride a sua volta... quadretto idilliaco, salvo che intanto lei sta già covando un odio sordo e il progetto di massacrarlo.
Roba da brividi.
Ci avrei voluto vedere la Pasta in simili ruoli!
))
ah se un giorno (diversa da quella rabbiosa finale di Roberto e Bolena tanto per dire) è patetica e malinconica e una voce come quella della caballè
Secondo me, anche la cabaletta finale non dovrebbe essere poi tanto "patetica e malinconica".
A me sembra doppia e inquietante, prunciata (anzi sillabata) come da un pulpito.
Mi pare piuttosto un'auto-investitura di
martire del cattolicesimo e di "regina vittima" (lei che come regina non convince nessuno e come vittima ancora meno), avviata al patibolo con la migliore parrucca, la croce in una mano e la bibbia nell'altra.
In quel canto altero, morbido e maestoso io sento l'ennesima sfida a Elisabetta e quasi la maledizione che Maria sa - con la propria morte - di scagliarle addosso.
Storicamente (ma questo il pubblico di Schiller e Donizetti lo sapeva bene) la decapitazione della stuarda diede la stura ai furori di tutta la cristianità - tanto a lungo sopiti - contro Elisabetta; Filippo II le dichiarò guerra l'anno dopo.
Fai caso, dopo tanti pianissimi, all'ultimo verso, che improvvisamente, senza preavviso, monta dal pianissimo in un crescendo pazzesco fino all'esplosione dell'orchestra che ti lascia di stucco!
E' come se la musica dicesse (dopo tante belle parole) "e ora Elisabetta sono cavolacci tuoi"
A me pare ancora più terribile questa cabaletta di quella del Devereux.
Atttendo repliche filo-spagnole e intanto grazie del bel confronto.
Matteo