Dure righe veloci su questo Tell pesarese.
Ho assistito alla generale tramite i buoni uffici di un amico.
Solita regia di Vick. Vicenda ambientata in un non-luogo dove una comunità oppressa si scontra con quella degli oppressori. Proiezioni in ciclorama, pareti bianche, scritte rivoluzionarie fatte con la vernice rossa, il sipario con un pugno alzato da Corea del Nord. I cattivi sono sadici, ridanciani, feroci, laidi e nemmeno capaci di ballare. I buoni sono gentili, serissimi, teneri, pudichi e straordinariamente bravi come ballerini. Ci sono anche tanti cavalli morti. Uccisi dai cattivi. Arnold durante "Asile héréditaire" guarda le filmine di quando era piccolo e faceva l'ortolano con il suo babbo. Amen.
Mariotti ha diretto con correttezza ma è ancora presto per affrontare certe partiture. Gli manca il senso dell'architetture generale. Più che un'opera sembra un puzzle messo insieme tessera dopo tessera. Certi dettagli sono originali e certi accompagnamenti alle arie dimostrano che il problema di come sostenere le voci in un'opera rossiniana se lo è posto. Ciò non basta per giustificare certi squilibri fonici e certe sonorità, magari anche suggestive, ma ingenuamente applicate ad un contesto teatrale preverdiano che ancora non le prevede. Inoltre Mariotti pecca di astrattezza. Se certe intenzioni sono buone, a volte ottime (tipo l'introduzione all'aria di Mathilde del II atto) rimangono allo stato di abbozzo perchè sgonfiate subito da un'orchestra e un coro volonterosi ma ben lungi dal poter sostenere certe scelte ritmiche e, soprattutto, certe dinamiche al limite della rottura. Il finale III era dalle parti del baccano, la tempesta quasi indecifrabile da un punto di vista strutturale e il finale pompava tanta aria wagneriana da sembrare quello del Rheingold. Più passa il tempo e più, in quest'opera, non mi sposto da Muti. In attesa di Minkovski.
Florez a volte soccombe sotto Arnold. Si cominciano a notare i primi segni del tempo che passa. Sono ovviamente sempre segni su un fuoriclasse e li si nota solo se si confronta il Florez attuale con quello di una decina d'anni fa e soprattutto se lo si ascolta in un ruolo -come in questo caso- che non gli conviene del tutto. Gli acuti a voce piena sono ancora luminosi e squillanti (e lui lo sa bene e quindi ne abbonda) mentre le frasi a mezza voce cominciano a mostrare opacità e velature. La recitazione, ovviamente, non esiste e i gesti sono stereotipati e buoni a tutti gli usi. Duetto e terzetto di buon livello. Purtroppo nella cabalettona (dove tutti lo aspettavamo) ha segnato il passo. Il ruolo gli sta largo e se la ritmica e la scansione della frase sono quelle giuste, purtroppo l'idea di un Arnold-Tonio mi si è ficcata in testa e non mi si è levata più.
Alaimo è un Tell piuttosto anonimo e monocorde. C'è da dire che ce l'ha messa tutta ma la parte è davvero ingrata e se non hanno spalle larghissime si rischia, come in questo caso, di finire vampirizzati.
La Rebeka ha un volume importante e un voce dal bel timbro ma pochissimi colori. L'aria del terzo parte sul mezzoforte, si svuluppa sul forte, e chiude sul mezzoforte. Bravina, intendiamoci, ma niente di che. E invece in Mathilde qualcosa "di che" ci vuole. Coro e orchestra impegnati e decisi a dare il meglio.
Clima torrido (più fuori che dentro) signore sventaglianti che, nella chiusa dell'ouverture, battevano il tempo con spirito patriottico. Ce n'era una fila che sfarfallava a sincrono perfetto tipo le Bluebelles du Lido. Dopo tutto le dame dell'upper-class pesarese sanno come ci si comporta di fronte a un allestimento rivoluzionario come questo.
Scusate la velocità ma vado di corsa. Beck (Teliano 'dde fero! ) potrà raccontarvi con più dettagli.
WSM