Elektra (Strauss)

recensioni e commenti di spettacoli visti dal vivo

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Re: Elektra (Strauss)

Messaggioda pbagnoli » dom 21 lug 2013, 9:26

VGobbi ha scritto:La vedrò la vedrò ... fidati ...

Sì, ma datti una mossa perché non la tengono su in eterno: a un certo punto la tolgono
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
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Re: Elektra (Strauss)

Messaggioda VGobbi » dom 21 lug 2013, 9:54

pbagnoli ha scritto:
VGobbi ha scritto:La vedrò la vedrò ... fidati ...

Sì, ma datti una mossa perché non la tengono su in eterno: a un certo punto la tolgono

In settimana la guardo o mi vuoi bannare come Enrico? :mrgreen:

Certo che vederla su pc e' scomodo ...
Nemmeno noi siamo d'accordo con il gobbo, ma il gobbo è essenziale! Guai se non ci fosse!
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Re: Elektra (Strauss)

Messaggioda pbagnoli » dom 21 lug 2013, 11:36

VGobbi ha scritto:
Certo che vederla su pc e' scomodo ...

Collega il PC all'home theatre e proiettala sul maxischermo di casa tua, così vedi che ti sentirai a teatro
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Re: Elektra (Strauss)

Messaggioda Maugham » ven 02 ago 2013, 8:56

Arrivo lungo nel dire le mia su questo spettacolo che, dopo un pugno di recite, è già entrato nel mito e nella storia dell'Opera. La sera in cui ero a teatro le ovazioni finali erano vicine ai cori da stadio. La platea tutta in piedi urlava il proprio entusiasmo a un'Herlitzius (non dimenticherò mai la sua espressione) incredula, sbigottita, travolta da questa dimostrazione di affetto.
Cosa è successo in questa Elektra di così epocale da far rimbalzare da un capo all'altro del pianeta (davvero, non sto esagerando ho letto la rassegna stampa) commenti entusiastici e miracolistici?
Niente, era uno spettacolo "normale". Di quelli dove il regista fa il regista e non il mediatore culturale, dove il datore luci in primis illumina la scena e, dove i cantanti cantano e recitano e recitano e cantano senza distinguo, dove anche le seconde parti sono curate quanto le prime, dove il direttore dirige organizzando la tinta sonora sorreggendo il palcoscenico e non remandogli contro...
Insomma, uno spettacolo d'Opera come dovrebbe essere uno spettacolo d'Opera.
Un esempio di teatro "normale", quanto una sinfonia di Mozart o una prosa della Yourcenar sono esempi di "normale" musica o letteratura. :wink:
Elektra come storia dei rapporti di forza e di debolezza tra tre femmine costrette alla convivenza in un ambiente angusto (tutto al femminile) e pieno di atroci ricordi. Oreste e Agamennone sono pretesti. Elektra e Clitemnestra sono identiche. E identica è la loro sofferenza.
Tutto qui,
La sorpresa è Chéreau.
Il re del teatro d'impegno, il principe del contenuto, l'antico alfiere del teatro sociale, in tarda età libera Elektra da tutti grotteschi e ringhianti cascami del teatro di regia tedesco. Zero implicazioni sessuali e soprattutto zero Freud con (due palle!) lo stracitato saggio sull'isteria. Ognuna di queste tre donne altro non è che la cattiva coscienza dell'altra. E il rimpallo di queste immagini a specchio porta alla tragedia.
Il vecchio leone ha mosso un artiglio e con questa Elektra ha spintonato via tutti i Lehnhoff, i Kusej, i Bechtholf, i Neuenfels che hanno sguazzato per anni nella fanghiglia pseudopsicanalitica che, già lontana da Hoffmanstahl, non interessava minimamente a Strauss.
Meraviglioso cast, meravigliosa orchestra (voglio ridere quando approderà alla Scala e Salonen chiederà certi passaggi alle trombe!), meravigliose luci, e soprattutto, gigantesche, l'Herlitzius e la Meier nella più incredibile scena madre-figlia che io abbia mai visto.
Salonen in stato di grazia.

WSM
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Re: Elektra (Strauss)

Messaggioda DottorMalatesta » mar 20 mag 2014, 12:11

Impossibilitato a partecipare alla prima :cry: andrò sabato prossimo.
Come è andata?
Qualcuno dei presenti (teo.emme, Divino, mattioli...) ci racconta qualcosa?
:roll:

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Re: Elektra (Strauss)

Messaggioda mattioli » mar 20 mag 2014, 18:33

Qualcuno dei presenti (teo.emme, Divino, mattioli...) ci racconta qualcosa?


Le mie labbra sono suggellate (per ora).
Consiglierei però sommessamente a te e a tutti di NON perdere questo spettacolo.
Miao

AM

PS: quello che ha urlato "sposami!" quando la Meier è uscita da sola ero io.
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Re: Elektra (Strauss)

Messaggioda DottorMalatesta » mar 20 mag 2014, 19:05

mattioli ha scritto:
Qualcuno dei presenti (teo.emme, Divino, mattioli...) ci racconta qualcosa?


Le mie labbra sono suggellate (per ora).


Spero di leggerti a breve su La Stampa!
:mrgreen:

Ho appena visto il DVD. Se a Milano è stato bello anche solo la metà si tratta di uno spettacolo davvero IN-CRE-DI-BI-LE!!!
: WohoW :

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PS: quello che ha urlato "sposami!" quando la Meier è uscita da sola ero io.


Solo perché Vizzardelli era impegnato altrove!
: Chessygrin :
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Re: Elektra (Strauss)

Messaggioda mattioli » mar 20 mag 2014, 19:16

Spero di leggerti a breve su La Stampa!


Lo spero anch'io. Cannes sta fagocitando gli Spettacoli...

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Re: Elektra (Strauss)

Messaggioda DottorMalatesta » mar 20 mag 2014, 22:13



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Re: Elektra (Strauss)

Messaggioda beckmesser » mar 20 mag 2014, 23:58

Assistito alla prima in compagnia del Divino e della di lui consorte. Che dire: rimane uno spettacolo straordinario, ma non è quello di Aix. Non lo è dal punto di vista visivo: Chéreau rimane uno di quei registi in cui tutto il risultato consisteva nel lavoro con, e su, i cantanti. I suoi spettacoli non possono essere ripresi da altri, come non lo potevano quelli di Strehler. Finché sono in scena le tre donne, che avevano lavorato ad Aix, la cosa regge, anche se con un livello di tensione e precisione un filo inferiori. Ma tutto il finale, in cui Pape si è dovuto inserire solo sulla base di alcune indicazioni riportate dall'assistente, è veramente una eco abbastanza pallida dell'originale.

Ma non è la stessa cosa nemmeno dal punto di vista musicale. La lettura di Salonen rimane straordinaria, ma nei passi più complessi si notava una certa prudenza, per riuscire a tenere insieme un'orchestra che non rispondeva come quella di Aix. Tant'è che la vera lettura di Salonen risultava solo nei passi più abbordabili, come la scena successiva al riconoscimento di Oreste o la parte centrale del duetto fra Elettra e Clitemnestra. Lì si ritrovava il suono morbidissimo eppure tagliente che qualche mese fa aveva ribaltato tutte le certezze su cosa è (o meglio, era) lo Strauss di quest'opera.

Le tre donne confermano quello che avevano già dimostrato, con giusto un maggiore senso di fatica da parte della Herlitzius e della Meier (quest'ultima con qualche difficoltà nel finale della sua scena). Non serve spendere tutti i soldi che suppongo Pape sia costato per averlo come Orest, dove si è limitato a pontificare come fa in buona parte dei suoi ruoli.

In ogni caso, uno spettacolo da non perdere assolutamente, specie considerando che dal punto di vista musicale di certo migliorerà con le repliche, anche se rimane il rimpianto che non si sia potuto ricreare completamente il miracolo dell'originale...

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Re: Elektra (Strauss)

Messaggioda DottorMalatesta » mer 21 mag 2014, 9:43

C´è un momento di questa Elektra di Chèreau, vista per ora solo in DVD, che mi sembra davvero interessante nella sua programmatica anti-convenzionalità. Non so che ne pensa Beckmesser o gli altri che abbiano visto lo spettacolo dal vivo o in video. Sarei davvero curioso di sapere come è stato reso questo momento in teatro, e se la lettura che vi propongo appare condivisibile. :roll:
E´ il momento dell´uscita di scena di Klitemnestra. Nella regia di Chéreau, entrano dalla porta di sinistra due servi, silenziosi, che consegnano una busta ad una serva. La busta passa di mano in mano tra le ancelle, nessuna delle quali osa consegnarla alla padrona, profondamente turbata dallo scontro con Elektra (momento che segna, per Chéreau, la fine definitiva di ogni possibilitá di relazione e legame tra le due). Alla fine una delle serve piú giovani (e la più carina : Sailor : )si fa coraggio, e con un gesto veloce mette la lettera nella mano di Klitennestra. La donna guarda appena la busta, non la apre, e senza alcun gesto o espressione, lentamente e silenziosa esce verso il fondo della scena che cala nella piú completa oscuritá.
Nulla potrebbe essere piú diverso da quanto si è soliti vedere in questo punto: una vecchiaccia sfatta che se ne esce gridando ai quattro venti “Lichter! Mehr Lichter!!”, agitandosi come un´ossessa con tanto di immancabile, sguaiata risatazza finale. :mrgreen:
Utile leggere la didascalia di Hofmannsthal:

Esse si fronteggiano, gli occhi negli occhi, Elettra in
preda a selvaggia ebbrezza, Clitennestra atrocemente
ansimante per lo spavento. La confidente scende
di corsa. Sussurra qual cosa nell’orecchio di Clitennestra.
Dapprima sembra che costei non capisca. A
mano a mano si riprende. Gesticola: «Luci!». Corren
do escono serve e si pongono dietro Clitennestra.
Clitennestra gesticola: «Altre luci!». Escono serve in
numero sempre maggiore, si pongono dietro Clitennestra,
sì che la corte si riempie di luci e fluttua sui
muri un giallastro chiarore. Ora i tratti di lei lentamente
si mutano e lo spasimo cede a una maligna
esultanza. Chiede che le sussurrino la notizia un’altra
volta, mentre neppure per un attimo perde d’occhio
Elettra. Tutta saziandosi fino alla bocca di gioia
selvaggia, tende in atto di minaccia le mani contro
Elettra. Poi la confidente le raccoglie il bastone ed
ella, appoggiandosi su tutt’e due e alzando la veste
mentre sale, lesta e vogliosa si affretta in casa. Dietro
di lei, con le fiaccole, le serve, come fossero inseguite.


Klitennestra dapprima sembra quasi non comprendere (“dapprima sembra che lei non capisca”). Questo potrebbe spiegare l´assenza di reazione da parte della donna nella regia di Chèreau. In realtá, a mio modo di vedere, la cosa si spiega in altro modo. Klitemnestra sa cosa contiene quella lettera, tutti lo sanno. (“Alle standen herum, und alle wußten's schon, nur wir nicht! Dirà Chrysothemis poco dopo). E cosa fa Klitemnestra? Si richiude in un lutto, si circonda di oscuritá, silenziosa, addolorata. Di qui la differenza rispetto a quanto prescritto dal libretto. Per inciso è interessante notare comecomunque Chéreau riprenda il libretto nel suo richiedere all´interprete una estrema sobrietà nei movimenti: Klitemnestra non grida ai quattro venti “Lichter!”, ma si limita a “winken”, accennare (accenna, fa un accenno, non come è stato malamente tradotto “gesticola”!).
Il regista nell´intervista che ho postato dice una cosa fondamentale: nel libretto vi è un´omissione. Nulla viene detto delle ragioni per cui Klitemnestra ha ucciso il marito. Siamo soliti guardare alla vicenda con gli occhi di Elektra, e quindi fare di Klitemnestra una madre degenere, una spieteta assassina. Ma, si domanda Chèreau, e se la donna avesse avuto delle “valide” ragioni per uccidere Agamemnon? Perché non guardare alla vicenda anche dal suo punto di vista?
Penso alla melodia carezzevole del “Das ist mir so bekannt” nel duo madre-figlia. Chèreau definisce questa melodia come una ninna-nanna, come il residuo di un legame familiare, emotivo, affettivo che ora appare lontano e riemerge dalle nebbie del passato. E l´incontro tra madre e figlia diventa in questa regia il tentativo, disperato, di riannodare una relazione tra madre e figlia e tra figlia e madre, e non una melliflua, subdola strategia escogitata da Elektra per restare in scena sola con la madre e “metterla nell´angolo”, come di solito si interpreta questa scena. Si pensi al momento di questo spettacolo in cui Elektra si getta ai piedi della madre, e le cinge le ginocchia mentre lei le accarezza i capelli.
Così, al momento dell´uscita di scena di Klitemnestra, si vede una donna che, dopo aver perso definitivamente la figlia, apprende (sebbene in maniera “implicita”: non è necessario aprire quella busta!) di aver perso anche il figlio e di essere quindi rimasta, proprio come Elektra, “allein”, sola.
Come dice nell´intervista, per Chéreau i momenti di transizione (quindi anche quello dell´uscita di scena di Klitemnestra) sono quelli piú complessi da realizzare per la difficoltá di rendere in poco tempo un´evoluzione psicologica talora enorme. Come da convenzione, nella regia di Chéreau l´uscita di scena di Klitemnestra viene osservata attentamente da Elektra. E, sebbene nulla nello sguardo o nel gesto di questa Klitemnestra evochi la gioia, Elektra dice “Worüber freut sich das Weib?” (perché si rallegra la donna?). È strano, straniante. Perché solo Elektra vede la madre rallegrarsi? Nulla di quanto si è visto, nella reazione della donna, lo lascia intendere. Il legame relazionale tra le due si è definitivamente spezzato. Elektra diventa incapace di comprendere, di leggere l´altro, chiusa in una forma di autismo, in cui resta imprigionata in se stessa (“autos”). Non è solo delirio, allucinazione, è proprio una forma di blocco psicologico, di regressione ad un egoismo/egotismo che è una sorta di prigione in cui vi è solo l´”io” e tutto è letto a partire dall´”io”. Soggettivitá estrema, annientamento dell´oggetto. L´oggetto non esiste in sé, ma solo perché io lo vedo, perché io lo creo.
Non a caso parlo di autismo. Elektra diventa incapace di comprendere la fine modulazione del gioco delle relazioni emotive (la cosiddetta “intelligenza emotiva”). Perde la capacitá di cogliere, interpretare e comprendere le emozioni e il loro contenuto comunicativo. Le emozioni (espresse attraverso lo sguardo, il gesto, il corpo) rappresentano un´importantissima fonte di comunicazione: trasmettono pulsioni interiori, intenzioni, bisogni, desideri. E sono quindi fondamentali per la vita di relazione e per la sopravvivenza della nostra specie, fondata su interazioni sociali e di gruppo. Le emozioni si sono evolute e sviluppate per promuovere i legami sociali (si pensi all´importanza che ha il sorriso nella nascita e nel consolidamento della relazione madre-figlio), e la loro condivisione è fondamentale nella genesi e nella costruzione delle relazioni umane.
Elektra ha perso la capacitá di comprendere e parlare questa lingua. La fonte del linguaggio emotivo in lei si è come inaridita. Questa è l´afasia di cui soffre (Schweigen und Tanzen! Tacere e danzare! Sono le sue ultime parole, prima di cadere seduta, svuotata, inebetita come nel finale di questa regia). Questa è l´afasia che Elektra condivide, nella loro “relazione impossibile”, con il fratello (che si allontana dalla sorella per andare ad uccidere la madre senza una sola parola!) e con la madre (“Du könntest vieles sagen, was mir nützt. Wenn auch ein Wort nichts weiter ist! Was ist denn ein Hauch? Tu potresti dirmi molte cose che mi potrebbero giovare. Anche se una parola non ha alcun valore. Cos´è un alito?“). L´incubo che opprime, che schiaccia Klitemnestra durante la notte è quindi l´afasia relazionale, il dolore di una donna che ha perso la capacitá di comprendere il linguaggio della relazione affettiva ed emotiva, in primis con la figlia (ecco perché Klitemnestra non comprende il senso di quanto le dice Elektra, e le dice “non parlarmi per enigmi!), ed è quindi condannata, come Elektra, nella prigione della sua solitudine “allein, weh, ganz allein!”.
E´ l´afasia, lo svuotamento di significato delle parole, che rappresenta la maledizione della modernitá, come Hofmannsthal già espresse nella celeberrima "Lettera di Lord Chandos" (Ein Brief) del 1902:

http://www.cristinacampo.it/public/hugo ... nsthal.pdf

Scusate il lenzuolo e la sintassi pessima, come al solito :oops:

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Re: Elektra (Strauss)

Messaggioda vivelaboheme1 » mer 21 mag 2014, 16:00

Stasera rimetto a posto le cose. Si sa che Waltraud sposerà solo me.

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Re: Elektra (Strauss)

Messaggioda DottorMalatesta » dom 25 mag 2014, 16:11

Vista ieri sera. Spettacolo epocale. Qui di seguito alcune mie riflessioni al riguardo.

Elektra è, per Patrice Chéreau, il dramma dell’incomunicabilità emotiva. In questa famiglia, che con termini moderni si potrebbe definire “disfunzionale”, è annullata alla radice ogni possibilità di relazione e legame affettivo. L’ossessione autodistruttiva di Elektra, personaggio ancorato alla sterile devozione di un passato i cui contorni si sfumano nella memoria, diventa nello spettacolo di Chéreau un vortice di negatività che divora ed annienta tutto ciò che circonda. La morte del padre, avvenuta quando Elektra era appena una bimba, è un evento costantemente presente: il padre è per Elektra un’assenza che si fa presenza. Un passato di dolcezze perdute che riaffiora nell’ombra di un muro al calare del sole e verso il quale Elektra tende le braccia in un tentativo disperato ed inutile di afferrare una presenza-assenza. In tutta la scena iniziale la protagonista è confinata nel buio, esponendosi alla luce solo al momento di evocare la danza di tripudio attorno alla tomba del padre alla fine del monologo. Stretta tra il passato del ricordo e il futuro dell’attesa, ad Elektra è negato il presente, la concretezza del rapporti emotivi con chi la circonda. La sua affettività è distorta, abnorme, patologica. E’ una donna incapace di una gestualità che sia specchio di maturità relazionale: il suo accasciarsi ai piedi della madre denota paura, sottomissione, debolezza, fragilità; la violenza verso la sorella, il sottrarsi all’abbraccio di Orest manifestano l’immaturità affettiva di Elektra, donna forte solo in apparenza, ma in realtà incapace di rapportarsi alle altre persone come persona adulta, come individuo autonomo. Il suo svuotarsi nella fissità dello sguardo nel finale di questo spettacolo è l’espressione della sua reale essenza. Essenza che è assenza. Assenza di identità: Elektra si identifica e definisce sempre in rapporto al padre perduto, alla sua memoria e all’ossessione della sua vendetta. Tra passato e futuro Elektra si annienta. Una volta vendicata la morte del padre, Elektra si svuota, si dissolve (“L’individuo si dissolve”, “wird das Individuum aufgelöst”, dice Hofmannsthal a proposito del finale del suo dramma). Di straordinaria coerenza, a questo riguardo, il finale di questo spettacolo. Con Elektra che cerca di danzare in onore del padre morto e vendicato senza però riuscirci: ormai neppure più in grado di stare in piedi, Elektra si muove come un paziente paralizzato che (ri)cominci a camminare, per poi esplodere in un movimento convulso da menade invasata e ricadere pesantemente seduta, incapace di rialzarsi. Lo sguardo fisso, vuoto, assente.
L’incomunicabilità emotiva e la paralisi dell’affettività caratterizzano anche le figure di Chrysothemis, talmente ancorata al proprio sogno da dimenticare la concretezza del presente, precludendosi così ogni possibilità di fuga verso la vita, e – soprattutto – di Klitemnestra. La regina di Micene è, come le figlie, incapace di una relazione affettiva o relazionale in grado di concretizzarsi in gesti autentici, bloccata com’è in una rigidità fatta di senso di colpa, paura, disperazione. Di qui il suo sottrarsi al contatto da parte di chi la circonda (altro che regina sfatta e rotta ad ogni depravazione sessuale!). Klitemnestra si sfrega in continuazione le braccia, affetta da una dermatite che non le dà pace. La “simbologia” di tale disturbo è chiara: molto spesso alcuni disagi psichici si manifestano con affezioni cutanee, ed è interessante ricordare come la cute origini dallo stesso foglietto embrionale dal quale in seguito si svilupperà il cervello; il fatto che la dermatite di Klitemnestra interessi le braccia, quelle braccia con cui – impugnando la scure – la regina ha massacrato il marito, è espressione dell’inconscia valenza simbolica del disturbo isterico della donna. In questo spettacolo (fortunatamente!) Chéreau rinuncia all’esibizione di un freudismo di maniera, ma ricrea e piega a fini espressivi la gestualità inequivocabilmente psicopatologica delle tre donne. Straordinaria la gestualità di questa Klitemnestra, che vive bloccata nel passato (il senso di colpa, il dolore, ma anche – forse – il ricordo di dolcezze inesprimibili ed inespresse, e comunque perdute per sempre), priva di presente (per lei il tempo non scorre: “barcollante mi levo, né ha raggiunto la clessidra il suo decimo segno”), priva di futuro.
L’impossibilità di una comunicazione affettiva autentica comporta per converso un fortissimo, insopprimibile desiderio di amore in tutte e tre le donne (“L’amore uccide! Ma nessuno trapassa che non abbia conosciuto l’amore!”). Un amore che però viene negato nel momento stesso in cui si esprime: la carezza di Klitemnestra ad Elektra che le giace ai piedi, lo sguardo pieno di speranza ed amore che Chrysothemis rivolge al fratello dopo che questi ha vendicato la morte del padre: sono le uniche due oasi di dolcezza di questo spettacolo. Momenti destinati a dissolversi in un attimo come l’ombra dell’assassinato re di Micene.
Questo desiderio, questa nostalgia per un amore che non abita il presente impregna fino in fondo la direzione di Esa-Pekka Salonen. Una direzione immensa, nel rilievo straordinario dato ai momenti di lirismo che vengono resi quasi con lo sguardo stupìto ed incredulo di chi assista al verificarsi del miracolo, al filtrare di un raggio di luce nell’oscurità del carcere. Le sonorità degli archi sono “manipolate” con una leggerezza estrema, quasi fossero fili di una ragnatela scintillanti di rugiada sempre sul punto di spezzarsi. La scansione ritmica con la sottolineata andatura del valzer (quasi fosse il ricordo lontano di una ninna-nanna) trasmette una carica espressiva fenomenale a queste oasi di nostalgia per un altrove indefinito - perduto nel passato o nel futuro -, incastonate e stritolate (come le tre protagoniste femminili) da un presente la cui insopportabile angoscia viene resa nella spigolosità agogica, nei colori aggressivi, nella dinamica opprimente dell’orchestra.
Evelyn Herlitzius è un’Elektra gigantesca nel canto e nel gesto, in grado di trasmettere con vivo magnetismo il groviglio di un’umanità disperata, fragile, femminile, lontanissima dalla statuarietà del mito in cui spesso questo ruolo viene ridotto. Non le è da meno Waltraud Meier, che nell’immedesimarsi con la regina tormentata e fragile voluta da Chéreau, è la perfezione. Perfezione assoluta. Sia dal punto di vista vocale che scenico. Provo infinita commiserazione per la meschinità culturale, psicologica ed umana di chi, in un misto di insopportabile ignoranza, arroganza e volgarità, in questi giorni continua ad aggredire nei suoi scritti questa immensa artista. Scenicamente ineccepibile, sebbene con alcune asprezze nel registro acuto, la Chrysothemis di Adrianne Pieczonka. Decisamente impacciato in scena l’Orest di Pape, neppure troppo “a fuoco” nella resa vocale del personaggio. Fenomenale, in questa regia così densa di annotazioni e sottigliezze psicologiche, il lavoro svolto sui personaggi di contorno, e soprattutto l’inusuale rilievo dato alle singole individualità nel gruppo delle ancelle, tra cui spicca Roberta Alexander come quinta serva. Sebbene vocalmente al lumicino, di grande pregnanza scenica (forse anche per il loro carisma storico accumulato nel corso degli anni) i due cammei di Franz Mazura come precettore di Orest e Donald Mcintyre come vecchio servitore. Mediocre l’Aegisth di Tom Randle. Luci (a cura di Dominique Bruguière) strepitose nel loro continuo, incessante trascolorare in tutte le tonalità del grigio e nel loro definire con grande immediatezza espressiva ogni scena (sebbene il ricorso alla luce piena in corrispondenza dell’uccisione di Aegisth, momento della regia – al pari della morte in scena di Klitemnestra - assai discutibile, rappresenti una caduta di tono per il subitaneo ed immotivato abbandono dell’illuminazione realistica fino ad allora adottata). Scene e costumi funzionali, nella loro programmatica atemporalità, al lavoro sulla corporeità e sul gesto dei cantanti che costituiscono – da sempre – l’impronta più caratteristica e personale del grande Chéreau. Prova nel complesso notevole dell’orchestra, soprattutto nelle sezioni degli archi e dei legni, ma con ottoni decisamente troppo imprecisi. Straordinario successo di pubblico per uno spettacolo destinato a lasciare un segno nella storia interpretativa di quest’opera.

Buona domenica a tutti!

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Re: Elektra (Strauss)

Messaggioda DottorMalatesta » dom 25 mag 2014, 19:02

L'audio della prima:



E il duo madre-figlia:



Ditemi voi signori...

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Re: Elektra (Strauss)

Messaggioda pbagnoli » dom 25 mag 2014, 21:30

DottorMalatesta ha scritto:...Non le è da meno Waltraud Meier, che nell’immedesimarsi con la regina tormentata e fragile voluta da Chéreau, è la perfezione. Perfezione assoluta. Sia dal punto di vista vocale che scenico.
Provo infinita commiserazione per la meschinità culturale, psicologica ed umana di chi, in un misto di insopportabile ignoranza, arroganza e volgarità, in questi giorni continua ad aggredire nei suoi scritti questa immensa artista

Parli dei grandi esperti selfie che suggeriscono ai cantanti di mettersi a studiare? :lol: :lol: :lol:
E' un prodotto tipicamente ed esclusivamente italiano; nel resto del mondo nessuno si permette di dire certe cose, tanto più di una cantante come la Meier che veramente ha scritto la Storia dell'arte che tanto amiamo: pensiamo solo alla sua Isolde.
Ti suggerirei di lasciar perdere, anche perché alcuni di loro veramente hanno sempre lo stesso schema per qualunque cosa dicano.
Di sicuro non se li è mai filati nessuno dei cantanti da loro vilipesi, l'ultima dei quali è la sublime Veronique Gens.
Se hanno voglia di coprirsi di ridicolo, affari loro.
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