Michieletto legge il verdiano "orrido campo" come uno spalto da stadio pieno di travestiti e prostitute. Questo ha fatto partire la cagnara. "Fuori le puttane dalla Scala!" ha gridato un signore. Mezzo loggione gli è andato dietro. Muggiti, qualche fischio, uno ha gridato "troiata!" e un'altro gli ha risposto "Idiota". Hanno interrotto pur un po' lo spettacolo.
Ma il casino era largamente telefonato. Durante il primo intervallo una matura rappresentante della "terza chiesa verdiana dell'avvento" celebrava una sorta di laica eucaristia distribuendo a un disciplinato pubblico in fila i bigliettini da lanciare dal loggione a un segnale convenuto. Mentre a messa la particola è una e ti devi accontare, qui potevi scegliere: o prendevi "povero Verdi", oppure "regista si vergogni". A me sarebbe piaciuto anche "povero Somma", ma io sono un rompiscatole e ho preso solo quello di Verdi. Non volevo che il Maestro, dio non voglia, si offendesse.
Dopo aver lanciato l'anatema contro le puttane -che Michieletto, come sempre privo di senso della misura mostrava in gran numero quando, volendo, ne bastava una- ho deciso perfidamente di stimolare una signora mugghiante che era seduta dietro di me. "E' indecente." le ho sussurrato. Lei mi guarda un po' sospettosa e poi, tipo Amonasro che complotta con Aida, mi bisbiglia: "questo è niente. Vedrà adesso!" Io guardo attentamente il palcoscenico e non vedo niente di particolare. Semplicemente Riccardo arriva nel puttanodromo con la macchina. Trionfante la signora mi dice: "Ecco, visto? La macchina! Ci mancava anche la macchina. Povero Verdi!" A quanto pare la signora non conosceva Michieletto e la sua mancanza di senso della misura altrimenti non si sarebbe stupita: a lui le macchine piacciono molto e già a Torino aveva fatto entrare Pinkerton in auto. Insomma, è un tenore, mica può andare a zoccole in bicicletta. Rimaneva la domanda di cosa mai fosse andata a fare una bella signora come Amelia (bella, insomma, una milfona inquartata) in tal funereo loco e, soprattutto a cercar cosa visto che di magic'erba non c'era traccia. Michieletto, che come al solito non ha senso della misura, al momento della visione, fa arrivare una puttana cattivissima che rapina la povera Amelia in un quadretto di sordida e ordinaria violenza metropolitana. Che raccapriccio! Ma la puttana in realtà non è poi così cattiva visto che lascia ad Amelia la borsetta e lo spolverino -forse le cose che valevano di più- per permettere, alla fine dell'atto, a Samuel e Tom di travestirsi da Amelia e mimare un coito (prima al missionario poi conleisopra) sul cofano della macchina per irridere Renato. Michieletto che è privo di senso della misura ovviamente fa durare la scena praticamente per tutto il "Ve' se di notte...". Sprazzo di "geniale" modernità dopo un duetto dove Alvarez e la Rodvanovsky si muovo in palcoscenico come si muovevano come Bergonzi e la Stella nel video giapponese del 67.
Ma prima c'era stata la questione degli handicapppati, oppure degli altrimenti abili, questione che aveva riempito di caciara l'intervallo tra il primo e il secondo atto. Michieletto ci presenta Ulrica come una predicatrice americana, di quella da tivù, che riempiono i rotacalchi con guarigioni farlocche e predizioni finte. Ovviamente cura gli handicappati (finti) e li miracola. Michieletto - come sempre privo di senso della misura- non ce ne ha mostrato uno solo che, insomma, bastava e avanzava per far passare il banale concetto. No, mette in moto una processione di paralitici, spastici, zoppi e ciechi che vengono guariti. Ovviamenti i difensori del credo verdiano non potevano gridare "fuori gli handicappati dalla Scala" (anche perchè ce n'erano di veri in sala) e allora si sono limitati a inveire nell'intervallo contro questo comportamento politicamente scorretto.
E così come è cominciato è finito questo noioso Ballo in maschera che per i posterì sarà esclusivamente quello "delle puttane, della macchina e dei disabili" permettendo di spostare l'attenzione su dettagli come questi di poco conto a discapito diuna discussione vera sullo spettacolo.
Spettacolo che deve a mio avviso essere criticato non per la trasgressione (ma quale?) ma per la pochezza dell'inventiva, la citazione evidente degli stili di altri registi, l'attualizzazione tutto sommato innocua (Michieletto poteva farlo su una nave da crociera ed era lo stesso) oltre che per la madornale scorciatoia nel finale. Per tutta la sera mi sono chiesto come avrebbe risolto Michieletto la faccenda del ballo mascherato, già spinosa per quelli che mettono su solo le didascalie, figuriamoci per gli attualizzatori. Michieletto evita il problema e la butta sul simbolismo alla tedesca. Gli invitati non sono mascherati e si nascondono dietro a sagame di cartone che ritraggono a grandezza naturale Alvarez-Riccardo. Queste sagome di cartone si muovo in vari modi e formano figure che circondano i protagonisti. Uffa, così non vale!
Non si può lasciar perdere il realistico (tra l'altro dopo una scena dell'urna scenicamente di una noia mortale dove l'unica trovata era sostituire l'urna con il cestino della carta straccia) per buttarsi -quando fa comodo- sul simbolico. Eh no. Non puoi essere Carsen al risveglio di Riccardo, Jones nella scena di Urlica, Bieito nel campo innominato e Lenhoff nel finale.
Capisco l'intendo educativo di far conoscere -come in un bignami- alcune delle tendenze registiche che vanno per la maggiore, ma questo confonde i loggionisti che poi si sono coalizzati e hanno fatto partire il più gigantesco e squassante muggito che io abbia recentemente sentito. Quello riservato alla Dante dopo la Carmen era roba da educande.
Mettere il giovanissimo Rustioni a dirigere Ballo alla Scala vuol dire farsi del male ed equivocare sul concetto di "largo ai giovani". Non ha mica diretto male, intendiamoci, e nel secondo atto ha imbroccato un bellissimo duetto però non era particolarmente incisivo. E ovviamente in galleria rimpiangevano Muti.
Alvarez meno peggio del solito ma comunque sempre un Riccardo all'olio d'oliva strappacore e un po' sguaiato, Rodvanovsky ha dalla sua un vocione imponente e degli ottimi mezzoforte, ma è stridula in acuto e monotona come fraseggiatrice nonchè debole come attrice. La classica star verdiana del Met. Lucic è stato un Renato monotono, con ottimi acuti ma povero di tinte. Non so cosa sia successo alla Ciofi (oscar): forse stava male ma non si sentiva. Sembrava accennasse.
Una menzione particolare al bravissimo Silvano che su OD avevamo già notato come ottimo Schuanard nella Bohéme di Salisburgo sempre con Michieletto.
Io e l'amico Beckmesser gli abbiamo riservato grida di giubilo.
WSM