Eccomi di ritorno da Monaco, dove ho assistito alla Ariadne auf Naxos di Strauss con regia di Carsen.
Dal punto di vista musicale il cast era dominato dalla Ariadne della Westbroeck (apice della serata il monologo “Es gibt ein Reich”, di un´intensitá fuori dal comune). Gli altri chi un gradino sotto (la Zerbinetta della Fally), chi due o tre (tutti gli altri, inclusa la Koche dalla quale mi aspettavo davvero di piú).
Direzione “espressionista” di De Billy (non so quanto sia appropriato dirigere Ariadne come Salome o Elektra), e orchestra assolutamente eccezionale.
Si seguito qualche commento sull´eccezionale regia di Carsen.
Un caro saluto,
DM
Gli specchi di Ariadne
Una riflessione su “Ariadne auf Naxos” nella regia di Robert Carsen
L´Ariadne auf Naxos di Carsen è un gioco di specchi. Una profonda riflessione sul rapporto, spesso contrastato, senza dubbio misterioso, tra realtà e arte, caducità e immortalità, compromesso e ideale.
La scena del prologo è definita da specchi che riflettono la realtà rimandandone ad altre, illusorie ma forse non per questo meno vere. È la stessa vertigine descritta da Borges nei suoi racconti e rappresentata da Velázquez in “Las Meninas”. Gli specchi moltiplicano la scena, costringono noi spettatori seduti in sala a “rifletterci”. Vedendo le nostre immagini riflesse, riflettiamo su noi stessi: cos´è, reale, a teatro? La realtà concreta o quella ideale creata dall´artista?
Per Carsen (e Richard Strauss) il personaggio del compositore condensa in sé le ansie e le aspirazioni, spesso violente ed estreme, proprie della gioventù, e rischia di destare derisione per il suo atteggiamento da Don Chisciotte, tutto teso all´ideale, al sublime, incapace di accettare quel compromesso che pure gli permetterebbe di vedere la sua opera realizzata. Quando, in preda ad un´esaltazione crescente, racconta la vicenda di Ariadne (“Io lo so che lei muore! Ariadne è unica tra milioni, lei è la donna che non dimentica”), il compositore è solo in scena, il corpo illuminato da un riflettore al proscenio che proietta un´inquietante ombra gigantesca sulla parete di fondo. Il compositore si rivela per quello che è. E così fa Zerbinetta: senza parrucca, senza le vistose scarpe rosse con tacchi a spillo con cui si era presentata, addosso solo una sottoveste nera (la stessa che poi vestirà Ariadne nel corso dell´opera): una donna fragile, sola, impaurita di fronte al mistero della vita. Il compositore si toglie la giacca e gliela pone sulle spalle in un gesto di conforto e protezione. Ecco cos´è l´arte: un tentativo di sfuggire alla fragilità, al dolore, alla morte, per ascendere ad una dimensione dove non vi è ombra, ma solo luce. “Nei secoli eterni può andare perso anche un solo istante?”.
Cala il sipario, e una luce violenta, cattiva, illumina la platea, mentre il compositore stringe al petto la partitura della “sua opera” (Ariadne auf Naxos), quasi a volerla difendere da una realtà minacciosa. E noi spettatori, seduti comodamente nelle nostre poltrone, ci sentiamo sotto accusa, e avvertiamo forte il disagio di appartenere ad un mondo meschino ed insensibile alle ragioni dell´arte, lo stesso mondo del “Haushofmeister” e del “gnädiger Herr”, per cui l´arte non è altro che un modo per fare soldi, e l´opera nient´altro che un “digestivo” per ricchi borghesi.
Poi il compositore consegna la partitura di “Ariadne” al direttore, l´interprete, che si fa intermediario tra il mondo reale e il mondo ideale.
Il sipario si apre nuovamente, l´opera ha inizio, e vediamo a terra non una, ma molte Ariadne: tutte sono vestite in modo uguale e si muovono allo stesso modo. Anche Zerbinetta e i personaggi della commedia dell´arte sono vestiti come lei: il dolore di Ariadne è universale, nulla esiste al di fuori di esso. La realtà viene deformata dal dolore, che la amplifica e moltiplica come nel gioco di specchi del prologo. Quello che vediamo rappresentato in scena è il dolore di Arianna, figura tra le più celebrate nella storia dell´opera fin dai suoi albori (l´opera lirica nasce proprio con il lamento di Arianna abbandonata di Claudio Monteverdi). Ma è anche l´arte stessa ad essere così raffigurata: l´arte per sua natura ricca di significati, labirinto di possibili percorsi interpretativi, regno dell´ambiguità e della pluralitá di significati.
Anche Zerbinetta è una e molte al contempo. E Brighella, Truffaldino e Scaramuccio si perdono nel tentativo di riconoscere e conquistare la “vera” Zerbinetta, che però è già sfuggita al mondo della finzione rifugiandosi dall´altra parte dello specchio, in platea, nel mondo vero, dove può congiungersi con Arlecchino.
Ma se Zerbinetta è destinata a tornare al mondo “reale”, non così Ariadne. Mentre fuoriscena si sente la voce del dio Bacco, dal fondale nero che chiude la scena si apre una fessura da cui penetra una luce abbagliante. La luce colpisce lo spettatore agli occhi, provocando per un attimo un dolore lancinante. “Ein Augenblick ist wenig, ein Blick ist viel, un istante è poca cosa, uno sguardo è molto”. E ad ogni nuovo intervento di Bacco lo spiraglio sulla scena nera si allarga un po´di più, e con la nuova luce si rinnova il dolore.
Anche Bacco, come Ariadne, è uno e molti al contempo. Ariadne e Bacco si affrontano a distanza, poi si volgono le spalle, in un dialogo che è un continuo sfuggirsi, un continuo fraintendersi: Ariadne pensa di riconoscere in Bacco l´amante Teseo (l´uomo insieme al quale era ancora un unico essere (“qualcosa di bello, io ero: Ariadne-Teseo”), Bacco la scambia per un´incantatrice, Ariadne ancora lo crede il dio della morte.
Intanto la luce, bianca, uniforme, ha invaso completamente la scena, e Bacco e Ariadne, finalmente, si guardano, si toccano, si riconoscono. Nel prologo il compositore e Zerbinetta erano figura chiare su un fondo scuro, che trovavano vita e ragione d´essere nella luce artificiale della ribalta senza peraltro riuscire a sfuggire l´ombra minacciosa della morte. Ora Ariadne e Bacco sono figure nere che si delineano stagliandosi su un fondale di accecante chiarore: figure reali ed immortali immerse nella realtà irreale dell´arte.
L´opera termina. Cala il sipario. Il compositore, che ha assistito alla sua opera insieme a noi spettatori, “dall´altra parte”, si alza, scosta la tenda del sipario, da cui non filtra più alcuna luce. Sale sulla scena, ora completamente sgombra. In lontananza la luce si allontana veloce, affievolendosi sempre più fino a scomparire.
È stato tutto solo un sogno?