Perchè un artista abbia la mia stima, prima o poi deve sorprendermi. Se non mi sorprende, finisce per annoiarmi. Non c'è scampo. Dopo anni passati ad aver visto e analizzato spettacoli di ogni tipo non riesco più a divertirmi con quegli interpreti che, anche in buonissima fede, riciclano cose già dette. Per quanto brillantemente li ripetano, rimangono concetti che già conosco. Quando sento Barenboim attaccare la Gotterdammerung con la classica oratoria da Edda-scolpita-nelle-rune, comincio ad agitarmi. Non perchè Baremboim non sia bravo (figuriamoci!) ma perché so già cosa mi aspetta. E non c'è pena maggiore (per me) che stare seduto a teatro o al cinema nella torturante attesa che quella "roba" a cui stai assistendo finisca. Larghe fette di pubblico trovano appagante la conferma di ciò che si crede e ciò che si sa; non mi stupisce quindi che l'adesione a un modello interpretativo storicizzato per molti sia un parametro più che sufficiente per giudicare la qualità di uno spettacolo o di un'esecuzione. Mi spiace, ma io la penso diversamente.
Vorrei ugualmente chiarire cosa intendo con "sorpresa".
Non basta che un artista "faccia" una cosa consueta in maniera "strana" per sorprendermi. Di questo sono capaci tutti. Non è sufficiente che un direttore solleciti gli orchestrali a suonare Wagner senza vibrato per essere innovativo, come non è sufficiente che un regista faccia Rigoletto dritto e Otello bianco per ribaltare prospettive. Un allestimento o una lettura sorprendente non si esauriscono solo in una trovata più o meno riuscita; dirò cose ovvie, ma occorre che l'artista abbia una così forte capacità persuasiva da farti spostare il fuoco dell'attenzione - in certi casi attenzione schiava di una tradizione interpretativa cui siamo assuefatti - costringendoti a vedere qualcosa che ben conosci da un'altra angolazione.
In questo Simone - costruito come una serie di tele di Hopper - Cerniakov sposta il fuoco d'attenzione dal protagonista ad Amelia. E in un'opera tutta al maschile, testosteronica e complottara come questa, non è una sfida da poco. L'opera potrebbe chiamarsi Amelia Grimaldi (lo ammetto un po' un nome da pornodiva) e saremmo a posto lo stesso.
Già Matteo ci aveva - nel thread la figlia dei pirati- illuminato sulle mille possibilità del personaggio di Amelia una volta fatta uscire dal biancanevismo di maniera. Cerniakov arriva oltre. Questa ragazza emo, sempre sull'orio di una crisi bipolare, questa figura fragile che immagini anche vittima di disordini alimentari, in realtà cela un'anima durissima e un'ambizione degna di una Lady Macbeth in sedicesimo. E' davvero lei la figlia di Simone o si finge tale? Oppure ne è solo convinta? O meglio sa di non esserlo ma trae vantaggio dall'equivoco? Non lo sappiamo, nè Cerniakov ci risponde, perché non è importante ciò che Amelia pensa, ma quello che fa.
Sta di fatto che questa giovane usa gli uomini attorno a sé con astuzia e cinismo e alla fine arriva al soglio dogale dopo essersi liberata dei tre maschi alfa (Simone, Pietro, Fiesco) che le potevano sbarrare il cammino. Resta Adorno, che maschio alfa non è né sarà mai, e che si suppone lei continuerà a pilotare con spirito audace e temperamento da dogaressa. In questo Boccanegra i maschi, fotografati nella loro ingenua e aggressiva corsa al potere, diventano con Cerniakov vittime di una femmina che li manipola usando arti seduttive di volta in volta (e secondo necessità) di figlia, nipote e amante. E tutto torna perfettamente, per la capacità assoluta del regista di aderire genialmente al testo e alla musica. A differenza del Trovatore di Bruxelles dove il regista qualche forzatura l'aveva fatta, qui non una sola parola, non una singola nota sono state modificate per "entrare" in un konzept apparentemente eccentrico e rivoluzionario.
Sotto il profilo musicale le cose sono andate a corrente alternata. La Opolais è senza dubbio bellissima, bravissima e scenicamente travolgente. Non c'è un'espressione, un movimento, uno sguardo, un benché minimo e impercettibile trasalimento del corpo che non siano significanti e musicali. Il rapporto con Cerniakov è di quelli privilegiati; l'intesa tra i due è straordinaria e il risultato scenico formidabile. Prossimamente farò fatica con altre Amelie. Sta di fatto che, seppur volonterosa e determinata, Amelia non si canta così. L'Opolais ha un'altra formazione tecnica che le consente di essere una grande Jenufa e che le permetterebbe di essere una magnifica Minnie, Sieglinde, Senta. Amelia, soprattutto nel primo atto, richiede una capacità di legare, smorzare i suoni, accarezzare la melodia che l'impetuosa Opolais non possiede.
Lucic ama questa parte ed è stato un ottimo Boccanegra, orientato principalmente sul versante sentimentale e patriottico, sostanzialmente debole, a volte un po' troppo lacrimoso, ma in fin dei conti perfettamente sincronizzato con la visione "burocratica" del personaggio voluta da Cerniakov.
Fiesco era Kowaljow. Linea di canto eccellente, buona musicalità, discreta presenza.Ci ha fatto ascoltare soprattutto belle note, di quei cantanti Pertusi-style convinti che basti emettere bei suoni (che qui erano pregevoli, lo ammetto) per scavare dentro un personaggio di tale spessore.
Stefano Secco era Adorno. Bravo, con acuti facili, fraseggio solito e risaputo, da classico tenore verdiano un po' pistolone, di quello che capiscono sempre le cose in ritardo.
Dirigeva De Billy la formidabile orchestra bavarese. Niente di rivelatorio se non la marina al Primo atto. Quelle sferzate secche, gli stridori dei legni, quel lattiginoso biancore timbrico, me l'hanno avvicina alla marina "gemella" che apre il II atto del Peter Grimes. Britten era un accanito verdiano, dopotutto.
Pubblico entusiasta sia nei confronti dei cantanti che, sorpresa!, nei confronti di Cerniakov, salutato da un tripudio di ovazioni. Secco è stato applaudito come Kaufmann e Villazon.
I bavaresi sono sempre ben disposti nei confronti di chi tenoreggia.
WSM