Enrico ha scritto:Con me questa "perfetta macchina di marketing" non funziona. Perché?
Cosa dirti non so.
Io potrei trasferire lo stesso ragionamento all'Atys di Lully o all'Hippolyte et Aricie di Rameau, anche se Matteo provò a convincermi in tutti i modi della bontà drammaturgica di queste due opere. Sarò sincero, non mi sono mai posto il problema di un allestimento scenico: mi sono fermato al disco, e tanto mi è bastato.
Ho sbagliato, naturalmente: l'opera è un genere teatrale, che nel teatro nasce e nel teatro vive.
Una delle ultime argomentazioni interessanti di Matteo prima di uscire dal nostro sito riguardò proprio il recupero di allestimenti non solo storici, ma anche antichi, quale valore filologico aggiunto del tutto analogo a quello di chi suona Bach, Haendel o Cavalli usando strumenti antichi o loro repliche. All'epoca contestai la validità di questo ragionamento; oggi ci penserei su...
Questa premessa per dire che - probabilmente - dovresti porti nei confronti di Wagner come fai con ogni altro autore: partendo dal Teatro.
Adesso esagererò, e ti dico che - paradossalmente - l'aspetto meno importante di un'opera wagneriana è proprio quello vocale. La Storia degli ultimi sessant'anni di rappresentazioni wagneriane ci ha dimostrato che la vera rivoluzione è stata quella drammaturgica. A Bayreuth sono partiti proprio da lì.
Poi, certo, c'è stata anche la rivoluzione vocale; ma con l'articolo che ho scritto tempo fa sulla Modl ti ho dimostrato che la geniale cantante tedesca vocalmente non inventava nulla: c'era stata Martha Fuchs che, prima di lei e con analoga organizzazione vocale, aveva detto cose importantissime che possiamo ascoltare in uno splendido Gotterdammerung.
Le mancava Wieland: è lì tutto il problema, il motivo per cui oggi ci siamo quasi dimenticati di lei, mentre della Modl parliamo ancora.
Certo, poi ci sono state le estremizzazioni. Inseguendo l'allestimento estetizzante a tutti i patti, ci sono state le vaccate: e così, di certi allestimenti, non c'è rimasto nulla fra le mani, né la drammaturgia né l'aspetto musicale.
Ma se c'è una cosa che questo sito ha raccontato, è stata proprio l'inversione dei ruoli: non più - o comunque, non solo - la voce al centro dell'attenzione, ma il Teatro.
Noi ascoltiamo i dischi, ma è un'aberrazione: l'opera è un genere teatrale.
Da questo punto di vista, anche il nome di questo sito è un monstrum.
Gli è che noi possiamo seguire il percorso interpretativo proprio partendo dall'audio, perché è stato quello più semplice da conservare alla memoria collettiva; e quindi - soprattutto negli Anni Settanta e Ottanta - ci siamo spostati sui dischi per tutte le ragioni che sappiamo benissimo. Oggi sappiamo che - almeno entro certi limiti - è stata una visione molto, molto limitativa. Ma non avevamo nulla di meglio; e ancora oggi, se vogliamo capire il percorso interpretativo, dobbiamo partire dalla resa vocale.
Ma cosa possiamo capire della "cavatina" di Klingsor all'inizio del secondo atto di Parsifal se non avessimo un regista che ci prende per mano e ci fa capire i limiti della lotta che si agita in lui fra aspirazione a una purezza irraggiungibile e delirio di potere, fra castità vera e inganno a se stesso?
O, se solo per quello, cosa possiamo capire dell'importanza di un interprete come Siegmund Nimsgern che ci sembra avvilire il Parsifal di Karajan con il suo Klingsor, salvo poi vedere che compariva regolarmente non solo a Bayreuth ma in tutti i principali teatri mitteleuropei?...
E' ovvio: il disco non può bastare.
Specie se pretendiamo di capirlo dalla solita ottica italocentrica
Io mi pongo da un punto di vista diverso dal tuo.
Parsifal fu il mio primo approccio a Wagner: era il 1983 e quello che ebbi fra le mani fu una copia della registrazione di Karajan. Me la duplicò - da musicassetta a musicassetta, ti lascio solo immaginare la pessima qualità audio - il mio prof di matematica del liceo, un tipo alternativo che amava Wagner. Mi arrangiai con una sinossi e con un doppio libretto: l'originale tedesco per seguire le parole, e la traduzione di Ricordi che seguivo in stereo. Ci capii davvero ben poco di tutta la simbologia messa in campo! Tra l'altro, il glorioso Kurt Moll come Gurnemanz - pur bravissimo - non faceva nulla per rendere la materia del suo personaggio più fruibile. Ho dovuto aspettare anni - e molto, moltissimo Wagner - per cominciare a capirci qualcosa!
Il passo decisivo è stato proprio la fruizione dell'allestimento completo.
By the way: conosco quell'allestimento Met di cui parli. Non ho la sensazione che - nonostante l'apparente semplicità dei simboli - possa essere utile alla comprensione di una materia così complessa. E' un po' - tanto per tornare a un paragone audio - come essere fermi sul Parsifal di Melchior anziché spostarsi su quello di Kaufmann.
Be', comunque, da quel 1983 è stata una passione travolgente che, ben lungi dal diminuire, è aumentata con il passare degli anni. Sono un wagneriano fatto e finito, questa è la verità