BERLINO 2012 - DEUTSCHE OPER
Ennesimo capolavoro di Carsen.
Lo spettacolo inizia come sberluccicante caocervo di idee ed effetti, proprio come ci si sarebbe aspettati da Carsen.
E' l'opera a reclamarlo.
L'Amore delle tre melarance è o non è una riflessione sul potere metamorfico del linguaggio? E' o non è un omaggio al formalismo? E' o non è una riflessione di Mejerchol'd (e Gozziana) sul potere della "funzione" teatrale che travolge la "psicologia"?
E allora è giusto che Carsen scateni tutta la sua fantasia di fonemi contrapposti, con un divertimento spassoso e ridanciano che prende a prestito tutti i linguaggi della contemporaneità.
I commedianti (ossia quella parte di pubblico che "condiziona" lo spettacolo e che tacita le muggenti proteste di "tragici", "comici", "lirici" e "teste vuote") diventano una banda di terroristi mattacchioni che, armati di fucili, entrano in scena, impongono uno spettacolo "come piace a loro" e poi si stravaccano nella prima fila di platea a goderselo. Clarice e Leandro si muovono in spazi minimalisti e high tech, come mafiosi di alto livello. Celio e Morgana diventano attorucoli da cabaret (lui, in particolare, è un irresistibile prestigiatore fallito).
I divertissement che Truffaldino organizza per far ridere il principe sono proiezioni di video art e di cinema "classico" tedesco (espressionista) allo Zoo Palast, con tanto di tappetino rosso e fotografi che assalgono gli ospiti fastosi. Il demonio Farfarello altri non è che un addetto alle pulizie, che con la sua tuta arancione e la larga scopa sospinge i protagonisti.
In questo trascinante gioco di immagini contrapposte, c'è persino una citazione-sberleffo di Bob Wilson: quando il Principe e Ninetta su uno sfondo blu cantano il loro duetto "pucciniano", cominciano a mimare gesti astratti e geometrici da teatro giapponese.
Ma l'esempio più divertente è quello della terribile cuoca creonta, nella cui cucina sono nascoste le "melarance" da rapire.
Immaginatevi una stanza da "Saw l'enigmista" o "Non aprite quella porta"; una specie di laboratorio sporco e schifoso da serial killer , invaso dalla ruggine, dal sangue raggrumato e dal sudiciume; pezzi di esseri umani (gambe, braccia) disposti in disordine o appesi a uncini. Al centro di questo set da film dell'orrore, una porticina che lentamente si apre, mostrando la terribile cuoca... seduta su un orripilante cesso, con le mutande calate, intenta a produrre cose agghiaccianti!
Mentre canta, si passa la carta igienica davanti e dietro, suscitando mormorii di disgusto e risate assordanti nel pubblico. Ovviamente è lì dentro che sono nascoste le melarance: il povero principe dovrà affondare le mani in quel cesso per tirarne fuori (insieme a carta igienica usata e altre cose indicibili) i suoi amati frutti. Non sorprende che una simile scena sia preceduta e seguita (sulle note dello scherzo) da ballerini-zombie, intenti a riprodurre le coreografie di "Thriller" di Michael Jackson.
Però le Melarance di Carsen non sono soltanto un carnevale di "funzioni" linguistiche, comicamente contrapposte.
A un certo punto il discorso passa a un livello molto più serio, più trascinante e più sentito dal pubblico: un livello di dibattito contemporaneo, di crisi e sovvenzioni alla cultura e di identità culturale berlinese.
Quando, nella scena del deserto, Truffaldino e il principe dovrebbero trascinarsi dietro le tre melarance diventate enormi (da cui usciranno le tre principesse, assetatissime e condannate - le prime due - a morire di sete) quello che si mostra in scena è tale da scatenare nel pubblico tedesco un applauso a scena aperta.
Le tre arance enormi non hanno affatto la forma di arance: pur essendo di colore arancione, hanno le sagome dei tre principali teatri d'opera della città, da sempre in concorrenza fra di loro.
Sopra la prima sagoma c'è scritto "Komische Orange", nella seconda "Staatsorange" e nella terza "Deutsche Orange".
Le tre principesse che ne escono sono tutte vestite di arancione, ma con abiti diversi: quella che esce dalla Komische (il teatro all'avanguardia, si fa per dire, dove ancora si coltiva il RegieTheater) ha una sorta di abitino brechtiano con una corona di cartone in testa. Chiede disperatamente "acqua" e non avendola muore di sete. La seconda, che esce dalla Staatsoper (il teatro più "classico" e ricco della città) ha un abitino settecentesco - sempre arancione - da primadonna mozartiana. Anche lei muore di sete.
La terza (che ovviamente esce dalla Deutsche Oper) ha invece un trionfale elmetto wagneriano (sempre arancione). Lei si salverà: chiede acqua e le viene versato addosso un secchio di... "soldi" pubblici.
Musicalmente lo spettacolo è stato buono, ma senza punte di eccellenza.
Steven Sloane (sul podio) conferma le difficoltà delle orchestre tedesche a contatto con Prokof'ev. Tutto era preciso, scintillante e perfetto, ma il suono sempre eccessivo, sempre marziale e tedesco. I cantanti erano costretti a urlare per emergere da un bailamme espressionista più adatto a Zemlinsky o a Schreker che a Prokof'ev.
Fra i cantanti, devo dire che il tenore Thomas Blondelle è stato scenicamente e musicalmente un principe perfetto, non fosse che per la difficoltà palese a sostenere certe note acutissime. Benino il basso Pesendorfer come re, anche se gli occhi costantemente fissi al monitor del direttore dopo un po' stancavano.
Burkahrd Ulrich (truffaldino in stile clown, che entra in scena nella mitica "313" di Paperino) è bravo ma anche lui senza stacco.
Anche Heidi Stober (Ninetta) si è ritagliata un cammeo di successo, per la delicatezza del suo canto.
Tutti gli altri (la Smeraldine da bassifondi metropolitani, piena di borchie e piercing, di Dana Beth Miller, il Celio altissimo di Paul Gay, la Morgana grassissima e scintillante di lustrini di Heidi Melton) saranno ricordati più per l'entusiasmo collettivo e il fuoco del divertimento che per le singole incarnazioni.
Salutoni,
Mat