Mi fa piacere raccogliere l'invito di Mat e parlare un po' di musica da camera, che quì su operadisc è parecchio trascurata. E invece la musica da camera strumentale (e quella con e per il pianoforte in particolare) è forse quella che più si avvicina all'idea di "canto", quantomeno in senso lato. Ovviamente non sono intenditore, ma appassionato ascoltatore sì, quindi condivido volentieri con voi le mie impressioni e i miei gusti, augurandomi di non essere il solo ad intervenire
Parlare di Chopin non è semplice, artista popolarissimo e (purtroppo o per fortuna, dipende dal punto di vista) inflazionatissimo, ridotto non di rado a poltiglia salottiera da sottofondo. Comincerei col dire che esiste Chopin e Chopin, non è detto quindi che un pianista che si senta a suo agio in un certo tipo di pezzi diventi automaticamente "interprete chopiniano". Non credo del resto esistano interpreti chopiniani (o lisztiani o quel che volete), se non in una accezione popolare molto debitrice delle tradizioni. Ma poi, anche tra gli interpreti "di riferimento" troviamo delle specializzazioni. Mat non si arrabbierà se prendo in prestito la sua classificazione. Esempi al volo: Rubistein ("vocalista") era campione di canto, e quindi preferiva i pezzi dove era la linea melodica ad essere privilegiata (famosi i suoi notturni). Non incise mai (per dire) gli studi, che invece erano repertorio d'elezione di Richter ("declamatore"), assieme ai pezzi più sbalzati e/o più strutturati (Scherzi, Ballate). Horowitz ("colorista") odiava ad esempio le sonate (nonostante abbia suonato spesso la seconda) e in parte anche i notturni, mentre prediligeva il fascino ambiguo delle mazurke (che definiva "oro puro") e di alcuni pezzi più rapsodici (Fantasia-Impromptu ad esempio). E' una regola che ha molte eccezioni, ma è utile per capire quanto sia varia la scrittura - e in pratica lo stile - di questo compositore.
Partiamo coi concerti per piano e orchestra, che sono già un bell'arcano. Discendenti diretti del cosiddetto stile Biedermeier (quello di Field e Hummell), sono caratterizzati da una predominanza del pianoforte sull'orchestra, da un virtuosismo molto agile e poco muscolare, aperture liriche e un rapporto piano-orchestra molto "teatrale" (nel senso di orchestra che accompagna il canto solista) più che drammatico. Si può dire che i concerti di Chopin siano i nipoti dei concerti di Mozart, anzi ne rappresentano la trasfigurazione in chiave ottocentesca, l'ultima peraltro, dato che da lì in poi questo modello verrà abbandonato in favore della linea stilistica tracciata da Beethoven. In questo senso sono più "musica da camera allargata" che sinfonica. Le esecuzioni che io personalmente ritengo più soddisfacenti nel complesso sono proprio quelle fresche, aeree e antiretoriche che si agganciano in qualche modo all'universo biedermeier, ad esempio quelle stupefacenti del giovanissimo Kissin, oppure quelle "gouldiane" di Weissemberg. Lo so, vado controccorrente... certo, perdiamo molto in romanticismo e melensaggini assortite, e sicuramente anche nella definizione dei dettagli, ma la purezza cristallina e spontanea di questi interpreti sarà difficile da ritrovare in gente come la Argerich (impetuosa e muscolare) o la Joao Pires (ad alto contenuto di zuccheri). Per quel che concerne invece le letture del fronte "analitico", da citare secondo me la particolarissima seconda registrazione di Zimmerman, in pratica un falso storico (specie nel suono dell'orchestra) ma molto affascinante, quasi cinematografico, seppur lontano dal mio ideale (spontaneità zero, ovviamente, come tutto lo Zimmerman in studio), il 2 di Pogorelich (sulla carta un declamatore, dal suono molto scolpito, eppure il suo Chopin è sempre convincentissimo) e le prove di Gilels e Sokolov - il cui stile è abbastanza accostabile - pianisti analitici "caldi", dal suono umido e rotondo e dalla sensibilità "rilassata" (non so davvero come descrivere) che lavorano piuttosto sull'introspezione che sull'esteriorità, virtuosistica o lirica che sia. Li diremmo declamatori morbidi, o non saprei. Stranamente (ma neanche tanto) un virtuoso-colorista come Bolet delude un po', ma tant'è che nè Horowitz nè Pletnev hanno mai immortalato su disco questi concerti.
Ora ho sonno ma domani continuo volentieri.....