Giá che ci sono, volevo domandare una cosa a superMat e a re Enrico: l´emissione vibrata (alla De Lucia) é strumento specifico della tecnica "vocalista"? O é possibile avere una simile emissione anche in una tecnica "declamatoria" o "colorista"? Tra i declamatori (seppure "melodici", per dirla da discepolo di Marazzi ) un po´... vibranti penso a Caruso, ma forse nel suo caso (per dirla con Mat) é un´emissione vibrata apposta dall´esterno e non "intriseca" al suono stesso. Mah...
Attendo illuminazioni in questo pivoso giorno di pioggia passato in ospedale tra un ricovero e l´altro Doc
Un solo punto di vista è la vista di un solo punto
Questa volta non ho scritto nella notte, ma seguendo alcune piste che avevo in mente ho trovato una gran quantità di notizie utili: presto vedrete, finora abbiamo scherzato...
La mia attenzione si è concentrata inizialmente su alcune biografie, recensioni e testimonianze riguardanti la carriera e il modo di cantare di Giovan Battista Rubini, il “Re dei Tenori” della prima metà dell’Ottocento. Perché Rubini? Perché in un testo che conosco da oltre vent’anni, "Caruso nel suo tempo" di Michael Scott (sintesi da The Great Caruso, Londra 1988) si parla di Rubini come ipotetico “inventore” del vibrato nel belcanto ottocentesco e modello per i tenori delle generazioni successive. Cito dalla traduzione italiana:
“Si dice che Rubini abbia introdotto il vibrato, forse come artifico espressivo, ma, più probabilmente, come un modo per appianare la frattura tra il registro di testa e quello di petto. Il suo metodo venne universalmente copiato e, almeno per un certo periodo, si dimostrò efficace. Ma già per la metà del secolo […] il peso crescente dell’orchestra fece sì che i cantanti, tentando di non venire sopraffatti, venissero costretti a ricorrere a un eccesso di vibrato. In quello che potremmo definire l’impero operistico italiano […] quest’uso divenne il modus operandi. Nel mondo anglo-sassone tuttavia esso divenne talmente invadente che i tenori italiani cantavano, seconodo quanto racconta Shaw, “in maniera talmente orribile da venire chiamati ‘capre’ ”. Nei dischi di Fernando De Lucia […] si cela il sospetto che il vibrato facilitasse anche il suo virtuosismo nelle fioriture, permettendogli, per così dire, di scorrere con la voce sul vibrato, agevolando così l’esecuzione degli abbellimenti. È significativo anche che il trillo non facesse parte del patrimonio tecnico di De Lucia.”
Scott va avanti fino ad arrivare a Caruso, dicendo che non fu il primo a eliminare il “belato” perché probabilmente già il tenore Masini, prima di lui, cantava con voce “rotonda”. Ma già l’inesattezza sulla presunta incapacità di esecuzione del trillo da parte di De Lucia (vi ho già parlato, mi pare, dei suoi trilli in “Ah sì ben mio”) ci fa capire che Scott non aveva forse le idee molto chiare su quest’aspetto, e che fa anche lui confusione tra diversi aspetti della questione (primo fra tutti il solito riferimento alle capre, ricavato da un articolo di Shaw del 1950). Noi abbiamo visto inoltre che il vibrato può essere di diversi tipi, e che può essere presente anche nella voce di Caruso…
A questo punto credo che un discorso più ampio sulla “storia del vibrato nei secoli” sia non solo utile ma necessario, perché ci permetterà di chiarire bene il significato dei termini che utilizziamo e di acquisire strumenti di giudizio più sicuri per quando torneremo a esaminare le testimonianze di vibrato conservate dai dischi, cioè quelle relative ai cantanti di fine ‘800 e del ‘900 (che non significa soltanto: primo ‘900). E a un certo punto inseriremo in questa storia anche il discorso su Rubini, sulla sua tecnica e sul suo stile, e quello sulla Malibran e sulla Melba e su altri artisti che potranno fornirci esempi e spunti per la discussione, sia grazie a ciò che è stato scritto su di loro, sia grazie alle loro registrazioni e agli studi che su queste sono stati fatti.
Per caso, e per fortuna, mi sono imbattuo online nel libro di un autore, James Stark, che in uno studio complessivo sul Belcanto, purtroppo disponibile in anteprima limitata, per quanto ampia, ha dedicato un capitolo intero proprio alla questione del vibrato (James Arthur Stark, Belcanto: A History of Vocal Pedagogy, University of Toronto Press Incorporated 1999, ristampa 2003, capitolo 5, Vocal Tremulousness: The Pulse of Singing).
Le domande che Stark pone all’inizio del capitolo, e che qui vi riassumo, sono le stesse alle quali siamo arrivati noi:
- La voce artistica deve essere ferma e unwavering (non-ondeggiante) o dovrebbe esibire qualche forma di tremulousness, continua come parte integrante dell’emissione vocale oppure occasionale come abbellimento? Qual è la causa fisica di questo vibrato? È un fenomeno naturale che si presenta spontaneamente nella voce o c’è qualcosa che il cantante fa intenzionalmente per far tremare la voce? Quali sono i parametri fisiologici e acustici del vibrato vocale? Come è percepito dall’ascoltatore? Può la pulsazione della voce vibrata favorire il canto fiorito? Quali effetti produce sull’espressività della voce cantante?
Il libro di Stark non arriva a conclusioni definitive sull’argomento, ma mette in ordine una grande quantità di informazioni che possono essere per noi un eccellente punto di partenza. I difetti del libro sono questi: è scritto in inglese (e quindi non possiamo dire a tutti: andatevelo a leggere da soli; a meno che Pietro non voglia utilizzarlo per studiare ed esercitarsi), e cita tutte le fonti traducendole in inglese (io, se possibile, andrò a cercare anche, di quelle che ritengo significative, anche il testo originale); ed essendo un libro non contiene esempi sonori: ma gli esempi, grazie al Tubo, li inseriremo noi nel forum quando ci serviranno.
Ho cominciato a scorrere le testimonianze di autori attivi tra il 1550 e il 1600, cioè nel periodo in cui, accanto alle varie forme di canto sacro e profano, comincia a svilupparsi anche il teatro musicale. Degli aspetti strumentali del problema parlerò abbastanza presto, perché ho visto che alcune fonti citate da Stark si possono collegare benissimo a diverse registrazioni che ho in mente già da un po’ di tempo.
Nicola Vicentino, nel 1555, è autore di un libro il cui titolo è lungo un chilometro (sintetizziamolo in L’antica mvsica ridotta alla moderna prattica): possiamo considerarlo come un musicologo cinquecentesco che studia le forme musicali dei secoli precedenti per indicarne ai moderni la corretta prassi esecutiva. Quando parla dei Canoni costruiti sopra un “canto fermo” latino, si trova a fare alcune osservazioni sugli errori che possono essere commessi dagli esecutori (perché, lo sappiamo, non ci sono più le voci di una volta…):
Et non entrarò nel dir le tante incorrettioni de canti fermi, perché sarebbe troppo gran perturbatione, & spesa, a tutto il mondo; s’io dicesse de gl’incorrettioni delle note, & delle parole, che sono sotto poste, a canti fermi, con le pronuntie barbare, & le sillabe che devono esser lunghe sono fatte breui, & le breui lunghe, & come fa brutto udire a sentir cantar molte note, sotto una vocale, con la replica di quelle in questo modo dette.a.a.a.a.a.a.e.e.e.e.e.e.i.i.i.i.i.i.o.o.o.o.o.o.u.u.u.u.u.u che muoueno più gl'oditori alle risa, che a diuotione …
Hermann Finck, in un’opera intitolata Practica Musica (1556), in latino, comincia a parlare di colorature “di gola” e “di lingua” e del difetto di chi, usando un eccessivo vibrato, produce un suono simile al belato di una capra. Avevo trovato il riferimento nel libro di Stark, ma trattandosi di anteprima limitata la pagina non è in questo momento disponibile: sono costretto a cercare il testo latino, in una riproduzione online nella quale non ci sono nemmeno i numeri di pagina: per fortuna a un certo punto l’autore fa una sorta di indice e dice che nell’ultimo libro ci saranno alcune istruzioni de arte suaviter cantandi, almeno so dove cercare (e chi non vuol leggere il latino non si spaventi: vi farò pure la traduzione, e mi perdonerete qualche libertà): vediamo un po’…
Coloraturas uerò bifariam partior, alias gutturis, alias linguae pono: Coloraturae linguae in solmisatione absq: textu usurpantur, ita quidem ne uoces, ut, re, mi, fa, sol, la, ore pleniore extorquentur sed lenissime & et velut abrupte effluant. Coloraturae gutturis in usu sunt, cum textu accinitur: Quod uerò nonnulli coloraturas gutturis non dissimiles capelle caprissanti conformant, errorem non leuem committunt, nam nulla suavitas nec distinctio aut proprietas coloraturarum disnoscitur, tremor tantum & inconditus atq: monstrosus sonus percipitur.. ["Le colarature le divido in due tipi: di gola e di lingua. Le colorature di lingua si utilizzano quando si fa la solmisazione a partire dal testo, in modo che le note, do re mi fa sol la, non vengano emesse a piena voce ,a scorrano con leggerezza e come spezzettate. Le colorature di gola si usano quando il testo deve essere cantato: ma alcuni che eseguono le colorature di gola in modo da assomigliare a una capra belante, commettono un grave errore, infatti non si riconosce nessuna soavità né distinzione né proprietà di colorature, ma si percepisce soltanto un tremoree un suono rozzo e mostruoso." ]
In realtà nei testi più antichi non si parla espressamente di vibrato, e i termini utilizzati possono variare di sigificato da un autore all’altro: la mancanza di riferimenti specifici però, osserva Stark, non può essere una prova dell’assenza di vibrato: anzi è anche possibile che fosse talmente presente nelle abitudini musicali da non richiedere una trattazione specifica, e di questo sono convinto anche io da anni (motivo per cui mi è capitato di litigare con un amico violinista per il quale l’utilizzo del vibrato in qualunque musica preromantica è sempre un’eresia: bene, questa volta cercheremo di dimostrare che il vibrato c’era anche nella musica strumentale, e, se necessario, citerò me stesso!).
Secondariamente si guardino i Cantori di non caddere in quel errore che molti ci cascano; che per accomodar la uoce, et pronuntiar le figure Musicali con il tremolo, mouano con tremolo il capo, come se quel tremolo dal capo uenisse; & nondimeno esso col capo nulla hà che fare: et che cio sia il uero(se però non lo uogliamo credere) rimiriamo molti che lo fanno, et non solo non solo non mouano il capo; ma ne anco pur la uita, et lo fanno si bene che non si puo far meglio: Anzi che de quelli i quali mouano si la testa, ce ne sono assai che quntunque la mouano non lo fanno, et si credano di farlo: Questi sono simili a quei fanciulli che caualcando un legno si credeno di caualcar ogni gran bel destriero. Il tremolo nella Musica non è necessario; ma facendolo oltra che dimostra sincerità, et ardire; abellisce le cantilene.
Stark osserva giustamente che questo tipo di tremolo, non necessario ma utile come abbellimento, non è scritto nello spartito ma viene aggiunto dall'esecutore.
Secondo Zacconi, il tremolo è fondamentale per l’esecuzione dei passaggi e del canto di gorgia (cioè per il “gorgheggiare”= canto d’agilità):
Dico ancora che il tremolo, cioè la voce tremante è la vera porta d’intrar dentro a passaggi, & d’impatronirse delle gorgie: perché con più facilità se ne và la Nave che prima è mossa; che quando dal principio la si vuol muovere: & il saltatore meglio salta, se prima che salta si promove al salto.
Questo tremolo, che non deve essere né esagerato né forzato, diventa un’abitudine e a quel punto il moto della voce facilita l’esecuzione dei passaggi:
Questo tremolo deve essere succinto, & vago; perché l’ingordo, & forzato tedia, & fastidisce: Et è di natura tale che vsandolo, sempre usar si deue; acciocchè l’uso si conuerti in habito; perché quel continuo mouer di uoce, aiuta, & uolontieri spinge la mossa delle gorgie, & facilita mirabilmente i principij de passaggi, Questa mossa che io dico non deue essere se non con giusta fretta, ma gagliarda, & veemente.
Altrove sembra tornare a fare qualche esempio di “cattivo vibrato”: non sempre chi fa tremare la voce è veramente capace di eseguire le agilità:
Questo modo di cantare, & queste vaghezze dal Volgo communemente vien chiamta gorgia: la qual poi non è altro che un aggregato, et collettione di molte Chrome, & Semichrome sotto qual si voglia particella di tempo colligate: Et è di tal natura, che per la velocità in che si restringono tante figure; molto meglio s’impara con l’udito che con gli essempij […] Alcuni la sogliano hauer facile, & questi sono quelli che la natura gli l’insegna & porge: Alcuni altri l’han con fatica, & questi sono quelli che per lo studio grande n’han fatto acquisto. […] Per hauer sincero & giusto parere è bene ricercar da fedeli amici, se il farla rende diletto & et risona bene: et questo perché molti si credano di farla, et ne fanno si poca che quasi si può dir nulla. Anzi ch’io ho veduto alcuni che col tremar della voce, et col mouer del Capo si credano di farla, et non la fanno, et chi gli ne dice si forzano di farla meglio, et la fanno peggio…
Un cantante che allena la gola a fare il tremolo potrà in teoria rendere la propria voce capace di qualunque cosa: per questo Caccini (Le nuove musiche, 1602) faceva fare a moglie e figlie un esercizio consistente nell’esecuzione di un tremolo gradualmente accelerato, consigliando di “ribattere ciascuna nota con la gola”.
C’è poi un cornettista del 1600, Luigi Zenobi, che comincia a usare, accanto a trilli e tremoli, le parole ondeggiar e ondeggiamento: ma su cosa volesse dire esattamente le discussioni vanno avanti da quattrocento anni: c’è chi pensa a particolari tipi di vibrato, c’è chi dice che l’ondeggiamento potesse indicare effetti di crescendo e diminuendo, chi lo interpreta come sinonimo di rubato.
Io mi limito a osservare che nell’edizione del Vocabolario della Crusca che ho in casa, pubblicata tra il 1860 e il 1867 (quando la Patti cominciava forse la sua carriera, Tamagno ragazzino cantava in chiesa e la Melba emetteva i primi vagiti) i verbi oscillaree vibrare sembrano quasi sinonimi (mentre ondeggiare non sembra riferito al suono), e si possono riferire in generale a qualunque tipo di vibrazione sonora o moto oscillatorio (c’è l’esempio del movimento del pendulo). Tra le frasi ce n’è una di Galileo che dice che il movimento nella vibrazione sonora è tanto rapido da non potersi misurare: ma per nostra fortuna la scienza è andata avanti, le vibrazioni oggi possono essere misurate in termini di millesimi di secondi, e questo potrà esserci utile più avanti quando parleremo delle possibilità di “misurazione” e confronto “oggettivo” dei vibrati testimoniati da registrazioni discografiche. Per ora dobbiamo rassegnarci al fatto che vibrazione e ondeggiamento possono indicare sia il vibrato vero e proprio sia la normale propagazione del suono nello spazio (in fondo, sempre di “onde” si parla!).
Ma qui mi fermo, rinviando il resto a successivi interventi.
J.Ivanovic, Le Onde del Danubio
Ultima modifica di Enrico il lun 12 nov 2012, 16:09, modificato 4 volte in totale.
Enrico ha scritto:La mia attenzione si è concentrata inizialmente su alcune biografie, recensioni e testimonianze riguardanti la carriera e il modo di cantare di Giovan Battista Rubini, il “Re dei Tenori” della prima metà dell’Ottocento. Perché Rubini? Perché in un testo che conosco da oltre vent’anni, "Caruso nel suo tempo" di Michael Scott (sintesi da The Great Caruso, Londra 1988) si parla di Rubini come ipotetico “inventore” del vibrato nel belcanto ottocentesco e modello per i tenori delle generazioni successive. Cito dalla traduzione italiana:
“Si dice che Rubini abbia introdotto il vibrato, forse come artifico espressivo, ma, più probabilmente, come un modo per appianare la frattura tra il registro di testa e quello di petto. Il suo metodo venne universalmente copiato e, almeno per un certo periodo, si dimostrò efficace. Ma già per la metà del secolo […] il peso crescente dell’orchestra fece sì che i cantanti, tentando di non venire sopraffatti, venissero costretti a ricorrere a un eccesso di vibrato. In quello che potremmo definire l’impero operistico italiano […] quest’uso divenne il modus operandi. Nel mondo anglo-sassone tuttavia esso divenne talmente invadente che i tenori italiani cantavano, seconodo quanto racconta Shaw, “in maniera talmente orribile da venire chiamati ‘capre’ ”. Nei dischi di Fernando De Lucia […] si cela il sospetto che il vibrato facilitasse anche il suo virtuosismo nelle fioriture, permettendogli, per così dire, di scorrere con la voce sul vibrato, agevolando così l’esecuzione degli abbellimenti. È significativo anche che il trillo non facesse parte del patrimonio tecnico di De Lucia.”
Sarebbe interessante capire perché cita proprio Rubini...
Enrico ha scritto:Scott va avanti fino ad arrivare a Caruso, dicendo che non fu il primo a eliminare il “belato” perché probabilmente già il tenore Masini, prima di lui, cantava con voce “rotonda”. Ma già l’inesattezza sulla presunta incapacità di esecuzione del trillo da parte di De Lucia (vi ho già parlato, mi pare, dei suoi trilli in “Ah sì ben mio”) ci fa capire che Scott non aveva forse le idee molto chiare su quest’aspetto, e che fa anche lui confusione tra diversi aspetti della questione (primo fra tutti il solito riferimento alle capre, ricavato da un articolo di Shaw del 1950). Noi abbiamo visto inoltre che il vibrato può essere di diversi tipi, e che può essere presente anche nella voce di Caruso…
In effetti penso che la tecnica per eseguire i trilli sia diversa da quanto richiesto per un' emissione vibrata (almeno l' effetto sonoro è profondamente diverso). E questo vale anche per i trilli di De Lucia.
Enrico ha scritto:["Le colarature le divido in due tipi: di gola e di lingua. Le colorature di lingua si utilizzano nella qaundo si fa la solmisazione a partire dal testo, in modo che le note, do re mi fa sol la, non vengano emesse a piena voce ,a scorrano con leggerezza e come spezzettate. Le colorature di gola si usano quando il testo deve essere cantato: ma alcuni che eseguono le colorature di gola in modo da assomigliare a una capra belante, commettono un grave errore, infatti non si riconosce nessuna soavità né distinzione né proprietà di colorature, ma si percepisce soltanto un tremore un suono rozzo e mostruoso." ]
Mi sembra interessante notare che nel gusto del tempo (almeno secondo l'autore), se l'effetto sonoro era quello somigliante "a una capra belante", esso veniva avvertito come negativo . Lo stesso valeva probabilmente per l'epoca di Shaw... (mentre un vibrato alla Tamagno era probabilmente cosa gradita ad un Verdi...)
Tanto di cappello, anzi di corona!
Davvero magistrale! Sono davvero invidioso dei tuoi studenti....
Ciao, Doc
Un solo punto di vista è la vista di un solo punto
DottorMalatesta ha scritto: Sarebbe interessante capire perché cita proprio Rubini...
Tranquillo, spiegheremo anche quello: ma non stasera.
penso che la tecnica per eseguire i trilli sia diversa da quanto richiesto per un' emissione vibrata
Anche su questo i pareri sono molti e diversi. Se non vuoi aspettare puoi provare a cercare anche tu i testi che citavo: ma ti consiglio di aspettare, il tuo aiuto servirà quando discuteremo questioni che hanno a che fare coi nervi e col cervello.
se l'effetto sonoro era quello somigliante "a una capra belante", esso veniva avvertito come negativo
La distinzione tra "cattivo vibrato" e "vibrato buono" è antica, come vedi, e tornerà nelle prossime puntate di questa storia. Ma stanotte dormirò.
vivelaboheme ha scritto:Come definireste il (presentissimo) vibrato del tenore Grigolo? Io lo trovo molto espressivo, quando non ne abusa
Non so, perché non ci dici tu che tipo di vibrato usa, quando lo usa, e perché lo trovi espressivo? in realtà potrebbe servirci anche lui, come esempio, se mai vorremo parlare dell'evoluzione del vibrato dalla seconda metà del '900 ai giorni nostri: perché è possibile che il famoso vibrato non sia del tutto scomparso ma, come tutti gli aspetti dell'arte, si sia trasformato.
“Vibrato” è una parola che non si trova nelle fonti barocche, ma alcuni aspetti dello stile vocale e numerosi ornamenti sono descritti in modo da poter essere compresi nell’ambito di quel termine. […] Le fonti barocche descrivono il vibrato come un ornamento che deve essere usato in momenti precisi per esprimere particolari “affetti”. Il vibrato come ornamento vocale, che sia un vibrato di intensità, di intonazione, o una combinazione tra i due, deve essere stato maggiormente pronunciato e percettibile di quel vibrato naturale e impercettibile, che contribuisce a una buona qualità vocale, di cui parlava Praetorius.
Così scrive Jeffrey G.Kurtzman (The Monteverdi Vespers of 1610: Music, Context, Performance, p.475); e poi cita diversi autori che parlano del vibrato strumentale, descritto anche negli aspetti tecnici.
Sylvestro Ganassi (La Fontegara, 1535) parlava di un trillo ottenuto con un movimento tremolante del dito su un foro del flauto: in tal caso si otteneva un’oscillazione molto più piccola di un semitono e difficilmente percettibile per l’orecchio con precisione. Parlando degli strumenti ad arco (viole da gamba e da braccio) Ganassi descrive inoltre diversi tipi di vibrato, ottenuti con l’oscillazione del dito o con un gentile movimento dell’arco contemporaneo all’oscillazione del braccio che impugnava l’archetto: si tratta, per quel che riesco a capire, di un vibrato che comporta una variazione di intonazione (accanto al vibrato ottenuto col variare della pressione del dito sulla corda, che comporta una variazione di intensità del suono). Era consigliato per gli effetti di malinconia e di musica “tormentata” (Ganassi, Regola Rubertina, Venezia 1542). L’interesse per la voce “tremolante” può avere avuto influenza anche sullo sviluppo di quei particolari registri d’organo che permettono di ottenere effetti di vibrato. Un autore germanico più o meno contemporaneo di Ganassi, Martin Agricola (Musica Instrumentalis Deudsch), dice che se si fa tremare il dito sulla corda la melodia è più dolce di quando si suona in un’altra maniera. Gli stessi autori sono citati nel libro di Stark di cui parlavo ieri (questi trattatisti moderni! Avranno letto veramente le opere che citano, e che io sto cercando di rintracciare un po’ per volta nei siti internet, o copiano l’uno dall’altro come fanno i miei alunni passandosi anche gli errori? Qualche citazione sbagliata a pie’di pagina mi pare di vederla …)
Uova e galline Ma la questione che a noi potrebbe veramente interessare, parlando di vibrato strumentale, è simile a quella sulla nascita dell’uovo e della gallina: è nato prima il vibrato vocale, che sarebbe stato successivamente imitato dai suonatori di strumenti, o invece il vibrato vocale nasce dal volere imitare quello strumentale? Anche su questo punto le fonti, a partire da quelle antiche, sono in disaccordo, e si possono leggere diverse opinioni. Ganassi sostiene la prima ipotesi: gli strumenti sono inferiori alla voce umana e devono cercare di imitarla; nel caso degli strumenti come il flauto si può imitare l’espressione umana col variare della pressione del fiato. Jean Rousseau (Traité de la viole, 1691) dice addirittura che il tremblement è naturale per la voce ed è invece aggiunto artificialmente al suono della viola, e ne indica l’uso per l’intera durata delle note lunghe, quindi come forma di vibrato continuo e non occasionale. Gian Battista Doni invece dice che è la voce ad imitare il suono di una corda di violino suonata con l’arco e col dito che si muove su e giù: inoltre giudica questo suono femmineo e poco virile, tollerabile eventualmente nel castrato (chiama, per fare un po’ di confusione, il trillo increspamento o vibratio, e tremolamento quest’altro suono che considera come una sorta di trillo imperfetto.
L’elenco degli autori che parlano di vibrato è lungo e non ho intenzione di citarli tutti: mi limito a indicare al nostro Malatesta alcuni tedeschi come Daniele Friderici (Musica Figuralis oder newe Singekunst, 1614, dove si parla di una voce che deve essere zitternd, schwebend e bebend), Michael Praetorius (Syntagma musicum, 1619) che parla anche lui di liebliche zitterten und schwebenden oder bebenden Stimm; Johann Andreas Herbst che dice più o meno la stessa cosa (Musica practica, 1642): a parte il fatto che questi antichi tedeschi sembrano anche loro copiare l’uno dall’altro e che di tedesco non capisco niente, credo di potermi fidare di Stark che traduce i tre aggettivi di Friderici con trembling, floating, pulsating: tremante, fluttuante, pulsante.
Linee ondeggianti Pare che una certa forma di vibrato potesse produrre un effetto simile a quello del tremblant dell’organo, e un tal Brassard citava come esempio, un secolo e mezzo circa dopo Ganassi, alcuni effetti di vibrato sia vocale sia strumentale, utlizzati per conferire maggior grazia al suono nell’opera Isis di Lully. Questo tipo di tremolo è anche qualcosa di diverso dal trillo, perché nel trillo le note che lo compongono vengono distintamente articolate. E sull’uso del tremolo (nel senso di vibrato, perché ottenuto col movimento del dito, e non dell’arco) negli strumenti ad arco, troviamo molte testimonianze anche successive (Farina, Cesti, Geminiani, Tartini): in alcuni casi il vibrato veniva espressamente segnato sullo spartito con una linea ondulata al di sopra delle note; e c’è almeno un esempio di un vibrato espressamente indicato per l’esecuzione di un’aria vocale, nell’opera Tassilone di Steffani (n.14, Aria di Gheroldo) sulla parola lagrima (qualcuno telefoni alla Bartoli !!!). F.A.Neumann (Ornamentation in Baroque and Post-Baroque Music, pp.519-520) cita alcuni esempi di vibrato vocale segnato da Bach con la linea ondulata sopra una nota o sopra una serie di note della stessa altezza ma non necessariamente legate fra loro, e specifica che il segno ondulato ha un valore di un trillo continuato soltanto nelle opere di Bach per tastiera. Questo tipo di vibrato segnato con linea ondulata corrisponde a parole che esprimono ansia o paura o invocazioni alla pietà divina, e probabilmente si tratta di un vibrato “di intensità” più che di intonazione. Ma la cosa non è irrilevante perché nel vibrato dei cantanti lirici che conosciamo attraverso i dischi la fluttuazione sonora può riguardare anche l’intensità del suono oltre che l’intonazione. Può essere anche interessanrte notare che per alcuni antichi trattatisti l’uso del vibrato negli strumenti ad arco era associato alla pratica della “messa di voce”, cioè del suono attaccato pianissimo e portato gradualmente ad una intensità sempre maggiore: effetto vocale che, come sappiamo, al pari delle smorzature interminabili, è presente tra i virtuosismi di diversi cantanti che conosciamo dai dischi.
Voci e strumenti Trovandoci ormai nel Settecento possiamo ricordare di nuovo quella famosa lettera nella quale Wolfgang Amadeus Mozart, scrivendo al padre nel 1774, sembra fare la sua distinzione fra “buon vibrato” e “cattivo vibrato”, lamentandosi dell’abitudine di un tal Mentzer di far vibrare eccessivamente la voce tanto da spezzettare le note lunghe in valori più piccoli: dice che la voce umana vibra naturalmente, e che questa vibrazione naturale produce un bell’effetto, che la gente cerca di imitare non solo con gli strumenti a fiato, ma anche con quelli a corda: se però si supera il giusto limite l’effetto non è bello perché è contrario alla natura. Anche il signor padre, Leopold, nel 1756 aveva scritto, parlando di violini, che il tremolo è un effetto che deriva dalla Natura, e che può essere applicato elegantemente alle note lunghe non solo dai buoni strumentisti ma anche dai buoni cantanti. Ma così torniamo al vibrato ornamentale e al problema dell’uovo e della gallina.
A questo punto direi che possiamo, temporaneamente, fermarci (ma la lunga storia continuerà: dobbiamo arrivare, prima o poi, a Rubini, che sarà il nostro… punto di partenza!), e passare ad una serie di ascolti che ci fanno sentire come l’imitazione intenzionale tra voci e strumenti è presente anche nelle registrazioni di alcuni artisti più o meno moderni.
Cominciamo con l’ascolto più strano: Edith Helena (1876-1956), soprano, che imita per più di un minuto e mezzo il suono del violino prima di cantare con voce normale The Last Rose of Summer.
Vi consiglio di ascoltare anche alcune sue registrazioni presenti nel catalogo Victor: in particolare l’Intermezzo da Cavalleria Rusticana del 1908 (con la sua voce-violino solista), e un paio di arie cantate normalmente (si fa per dire) come Gualiter Maldè…Caro nome del 1905, e la Scena della Pazzia del 1911, per rendervi conto del suo uso del vibrato. Potere aprirle dal fondo di questa pagina: http://victor.library.ucsb.edu/index.php/talent/detail/9295/Helena_Edith_vocalist_soprano_vocal
All’estremo opposto andiamo a sentire il violino-primadonna di Uto Ughi, che col suo vibrato oscillante e strappalacrime commuove puntualmente i vecchietti alla fine dei suoi bis, probabilmente perché, come diceva un mio vecchio zio, ricorda la voce umana (una voce che vibra per natura, come quella di Bonci):
Ritroviamo il pezzo di Schubert in un disco di John McCormack del 1914: il grande vocalista irlandese, trovandosi a incidere tutta una serie di dischi col famoso violinista Fritz Kreisler non resiste alla tentazione di far vibrare anche lui la sua voce come il violino di Kreisler a partire dalla prima -A- di Ave Maria fino all’Amen conclusivo. È chiaro che questo vibrato di McCormack appartiene al tipo che abbiamo definito ornamentale: un abbellimento aggiunto su alcune note.
Tra il 1913 e il 1915 Enrico Caruso incide quattro dischi col giovane violinista russo Mischa Elman: in Elegie di Massenet, il primo della serie, il tema è prima esposto dal violino solo, poi, quando comincia il canto, tenore e violinista sembrano volersi imitare a vicenda, con i portamenti di Elman che ricordano quelli di Caruso (ma erano un ingrediente tipico dello stile dell’epoca), e Caruso che vuol ricordare il suono del violino col suo legato e con un po’ di vibrato qua e là. Qui vi propongo l’Ave Maria di Percy B.Kahn, con l’autore al pianoforte.
Vi consiglio di ascoltare anche gli altri dischi di Caruso con Elman, se avete tempo: la Serenade di Leoncavallo e Si vous l’avez compris di Denza.
E per concludere, ancora un’Ave Maria, questa volta col “vibrato stretto” di Giovanni Malipiero. Non so se esiste qualche indicazione esecutiva di Gounod: vi assicuro che Bach, sulle note del famoso Preludio, non ha messo nessun segno ondulato!
Ultima modifica di Enrico il mer 05 dic 2012, 22:00, modificato 1 volta in totale.
Carissimo Re Enrico , quello che ho trovato più interessante in questa... interessantissima disamina sulla storia del vibrato è il fatto che esso si pone/si sia posto in stretta relazione con il suono strumentale (soprattutto degli archi). E a proposito di questo, sarebbe interessante capire quando l'emissione vibrata sia diventata una caratteristica della scuola "latina" o meridionale (in contrapposizione all'emissione più fissa anglosassone). Mozart nella sua lettera si riferiva al canto di tale Mentzer (un crucco, almeno dal cognome) e mi hai citato molti teorici tedeschi del Seicento che si sono occupati della cosa. Quindi tra Seicento e Settecento il vibrato era diffuso in tutta Europa. Forse quindi il canto vibrato "meridionale" è invenzione relativamente recente... Ottocentesca? Sono certo ci saprai illuminare!!!
tedeschi come Daniele Friderici (Musica Figuralis oder newe Singekunst, 1614, dove si parla di una voce che deve essere zitternd, schwebend e bebend), Michael Praetorius (Syntagma musicum, 1619) che parla anche lui di liebliche zitterten und schwebenden oder bebenden Stimm; Johann Andreas Herbst che dice più o meno la stessa cosa (Musica practica, 1642): a parte il fatto che questi antichi tedeschi sembrano anche loro copiare l’uno dall’altro e che di tedesco non capisco niente, credo di potermi fidare di Stark che traduce i tre aggettivi di Friderici con trembling, floating, pulsating: tremante, fluttuante, pulsante.!
Due note sulla traduzione: liebliche zitterten: lieblich è aggettivo che richiama Liebe, amore: quindi amabile zitterten: da Zittern, tremare (è il tremore fino, non grossolano) schwebenden: fluttuante, I agree bebenden: pulsante, ma una pulsazione leggera (oppure tremore, ma più ampio di Zittern)...
Per quanto riguarda il vibrato di Grigolo, secondo me si tratta del vibrato di secondo tipo (quello "artificiale", apposto dall'esterno, per così dire... anche se in effetti molto molto pervasivo!!!).
Vi posto un trashissimo "E lucean le stelle" dalla mia amata Verona:
Ciao! Malatesta
Un solo punto di vista è la vista di un solo punto
Continuo a leggere con la massima attenzione la trattazione e la lunga serie di citazioni del nostro impagabile Prof. Fatico però a distinguere, nei casi da lui citati, fra il vibrato "tecnico" (connaturato) e quello "aggiunto" (stilistico, espressivo) a mo' di accidente musicale. Kurtzman secondo me ha in mente quello aggiunto. Anche Ganassi e Agricola (che parlano di strumenti musicali, non di voci) sembrano riferirsi ad esso come a un qualcosa che trascende il suono, lo orna...
Al contrario, ho l'impressione che Rousseau (ma quante cose interessanti, Enrico! Non ci sono parole per ringraziarti di queste condivisioni), si riferisse al vibrato tecnico. Semmai possiamo non essere d'accordo con Rousseau sul fatto che esso sia congenito nella voce umana (io tendo a pensare che esso sia piuttosto connaturato a certe tecniche di emissione: nel canto esistono anche esempi di suoni totalmente privi di vibrato). Probabilmente egli lo considerava "naturale" perché all'epoca doveva essere talmente praticato da non essere immaginabile un suono canoro che non lo contemplasse. La cosa, se fosse vera, potrebbe sorprendere non pochi esperti di barocco. Sulla stessa lunghezza d'onda, trovo di capitale interesse lei citazioni dei Mozart. Ancora una volta, la distinzione fra vibrato "naturale" (e bello) e innaturale (e brutto), potrebbe sì alludere a un diverso controllo dello stesso vibrato (che so? una vibrazione sana di un suono giovane e l'oscillazione sgradevole di un diaframma provato), ma potrebbe anche riferirsi a un tipo di vibrato connaturato al suono (naturale) e posticcio, diciamo così... virtuosistico (innaturale). La prova è che il povero tenore citato non viene accusato di "senilità vocale", ma di cattivo gusto.
Ringrazio Malatesta per la finezza delle sue traduzioni! Ne desumo, fra l'altro, che quando la Regina della Notte rivolge a Tamino il suo "O zittre nicht", lo sta invitando a non "fremere leggermente"! A parte gli scherzi, è interessantissimo l'interrogativo che Malatesta pone. E' quindi veramente "meridionale" il vibrato tanto inviso, ai primi del Novecento, ai tedeschi e agli inglesi? Per rispondere bisognerebbe studiare attentamente i vibrati documentati e accordarsi su come considerarli. Le eredi della Marchesi, ad esempio, sono note per le loro fissità, che la Marchesi doveva ottenere loro a suon di bacchettate sulle mani. E tuttavia si tratta pur sempre di fissità "vibrate" (come la Kirby per intenderci): ossia risonanti e luminose.
Messa così, la questione del vibrato "naturale" sembra un fatto di armonici. Che sia a livello di risonanza che si formerebbe il vibrato naturale? Tanto per intenderci continuando l'esempio degli strumenti, è possibile che il vibrato "naturale" si formi nella cassa armonica (come un battimento), mentre quello aggiunto sulla corda e il movimento del dito?
Ci sono certi acuti legnosissimi di Tito Gobbi (sgraditi ai più) che magari "ballano" (quindi vibrano), ma sono fissi come pezzi di legno. A mancare loro (contrariamente alle "marchesine") sarebbe la vibrazione "naturale". Idem per certe sonorità di Jadlowker e della Destinn (nel caso di questi ultimi, però, non si trattava di menda tecnica, ma di sonorità voluta).
Il discorso è ancora all'alba... Ma, a questo punto, sono curioso di vedere dove il prof. andrà a parare! Attendiamo Rubini al varco!
E' quindi veramente "meridionale" il vibrato tanto inviso, ai primi del Novecento, ai tedeschi e agli inglesi?
Allargo la questione per sottolineare come, al di lá della maggior o minor diffusione di una tecnica piuttosto che di un´altra, sarebbe interessante riflettere anche sulla recezione e la valutazione estetica del tipo di suono da parte di pubblici di aree geografiche diverse...
Ma il Prof ci saprá illuminare (appena ha finito col sistemare la collezione di topolini... ).
P.S.: A proposito di finezza delle traduzioni , ti assicuro che per un neurologo che lavori in area germanica c´é una bella differenza tra zittern e beben (e dietro queste paroline si possono nascondere diagnosi molto diverse come un tremore parkinsoniano o... una crisi epilettica!!!)
Un solo punto di vista è la vista di un solo punto
Mi perdonerete, spero, se in questo periodo, più che il tempo, mi mancano la concentrazione e la voglia di scrivere con maggiore impegno. Nell'attesa di riprendere il discorso storico e interpretativo dal dove l'avevo interrotto, aggiungo qualche elemento che potremo riprendere più in là con maggiore approfondimento. Sono riuscito finalmente ad avere qualche parere tecnico e qualche impressione da uno dei miei "esperti", un caro amico violoncellista al quale ho sopposto anche qualche ascolto di quelli citati prima. Mi piacerebbe coinvolgerlo direttamente nella discussione, ma intanto vi sintetizzo ciò che è venuto fuori da una prima conversazione sulla questione del vibrato.
- Per quel che riguarda l'uso del vibrato negli strumenti ad arco nell'epoca barocca e nel Settecento, e forse anche oltre, si conferma ciò che abbiamo detto più volte (vibrato usato come abbellimento, in particolare sulle note lunghe, anzi vibrati di diverso tipo e di diversa ampiezza in riferimento alla velocità e alla minore o maggiore oscillazione dell'intonazione). - Anche oggi ci sono maestri che insistono sulle affinità tra il suono vibrato di uno strumento e quello della voce umana. - Oltre all'aspetto interpretativo, legato alle diverse epoche e alla sensibilità personale dell'esecutore, c'è probabilmente anche un aspetto tecnico-acustico simile a quello che alcuni hanno ipotizzato parlando dell'uso del vibrato nella vocalità tardo ottocentesca: nell'ambito degli archi una certa gestione del vibrato aiuta la proiezione del suono e permette allo strumentista di farsi sentire meglio quando suona in una grande sala o quando deve competere con strumenti più potenti che potrebbero coprirlo. Il problema della minore o maggiore sonorità può essere anche legato all'utilizzo delle corde di budello, ancora frequente nella prima metà del Novecento. - Il vibrato ottenuto con lo studio e con la tecnica può diventare talmente naturale e "giusto" da costituire parte integrante della produzione del suono, come avviene per quel tipo di vibrato vocale che abbiamo definito "tecnico" per distinguerlo da quello "ornamentale": tuttavia questo processo non deve essere puramente meccanico e inconsapevole, perché qualunque scelta tecnica è necessariemente finalizzata alla costruzione sensata e coerente della frase musicale e legata alle scelte interpretative e comunicative dell'esecutore. - Ascoltando le registrazioni di Caruso con Elman e di McCormack con Kreisler mi ha fatto notare che, al di là dei vezzi esecutivi tipici dell'epoca (pensiamo ai portamenti), l'impressione di "inattualità" di queste esecuzioni può essere dovuta anche all'uso di un vibrato strumentale particolarmente "largo", caratterizzato da una certa lentezza dell'ondeggiare del suono e da una grande ampiezza dell'oscillazione dell'intonazione. Siamo d'accordo anche sul fatto che, in corrispondenza della sostanziale naturalezza con cui si ascoltano le voci, anche il suono degli strumenti sia riprodotto dal vecchio disco con una sostanziale fedeltà. Ciò che lo fa sembrare strano e lontano, perfino "orrido" per chi non è abituato ad ascolti così antichi, è ancora una volta lo stile. - Ci chiediamo se questo vibrato "largo" fosse utilizzato da tutti i violinisti del primo Novecento, ma abbiamo lasciato la questione in sospeso non avendo tempo per altri ascolti e confronti (il sito delle registrazioni Victor potrebbe essere una miniera di informazioni utili). Suggerirei un confronto anche con le prime registrazioni di Pablo Casals, che se non ricordo male sono degli anni 1915-16. - Giudicando senza pregiudizi da "operoinomane" (non sono ancora riuscito a trasmettergli l'insana passione) l'Ave Maria cantata da Malipiero, che per noi vociomani è più antiquato, nella vocalità, rispetto a Caruso o a McCormack, il mio amico mi ha detto che il "vibrato stretto" del cantante (più veloce e con minore oscillazione di intonazione) gli sembra molto più corretto, molto più moderno, molto più gradevole (ma come? i cantanti così non li chiamavano capre?) rispetto a quello largo e ampio del primo Novecento: e mi ha fatto notare che lo stesso tipo di vibrato stretto è utilizzato dall'anonimo violinista che si ascolta nell'accompagnamento, il cui suono è abbastanza simile a quello prodotto dai violinisti moderni. - Avremmo quindi, nell'evoluzione degli stili strumentali (o almeno per gli archi), un vibrato che nel tempo diventa più stretto, mentre nelle voci sembra accadere il contrario (torneremo in futuro sul fatto che il vibrato di Pavarotti, per esempio, è oggettivamente più lento rispetto a quello di Caruso, che già sembrava emettere suoni "fissi" rispetto a quelli di Fernando De Lucia...). Non avuto ancora l'occasione di sottoporgli l'ascolto di qualche cantante "marchesina". Ma direi che per oggi ci possiamo accontentare.
Ringrazio per la consulenza il M°Eduardo Dell'Oglio. (Edu, se per caso leggi questo mio intervento, dimmi se ho capito bene e, se necessario, correggimi)
Ultima modifica di Enrico il gio 06 dic 2012, 16:37, modificato 1 volta in totale.
Caro Professore ancora una volta complimenti!!!! Ho trovato davvero interessante la valutazione estetica dell´ampiezza del vibrato nel canto confontato al vibrato negli archi. A questo proposito é curioso soffermarsi sulla tecnica vocale basata sull´estrema riduzione del vibrato (canto fisso „nordico“, tanto per capirsi). Se il canto vibrato si rifá ai suoni vibranti degli archi (lo sostengono i teorici antichi e meno antichi), apparentemente il canto fisso non si rifá a nessuno strumento ad arco, ma forse neppure a nessuno strumento a fiato (tutti gli strumenti a fiato emettono un suono piú o meno vibrane…). E´come se nel canto fisso venisse adottata una concezione non strumentale della voce.
Ciao! DM
Un solo punto di vista è la vista di un solo punto