DottorMalatesta ha scritto:Scusatemi ma mi sapete dire se c'è un qualche motivo per cui spesso i cantanti dell'era del grammofono presentano alcune oscillazioni vocali così marcate (alla Samuel Ramey ultimi anni, tanto per intenderci?). Voglio dire, realmente la voce di David era così o è un artefatto legato alla modalità d'incisione?
Non so quasi nulla della voce di David, ma possiamo fare un discorso più generale, partendo da molto lontano, non dico da Adamo ed Eva ma almeno dai tempi del canto gregoriano.
Se ascoltiamo l'Introitus Ad te levavi seguendo con lo sguardo le note (qui nella trascrizione moderna su tetragramma) noteremo due particolari effetti che possono essere considerati gli antenati di certi abbellimenti del canto di epoche successive: da una parte una serie di note ribattute sulla stessa sillaba, per esempio sul non di non erubescam, o sulla seconda e di neque irrideant inimici mei: a una prima nota ferma e un po' più sostenuta seguono due o tre note che ci danno un tipico effetto di oscillazione (uso questa parola ma dopo dovremo chiarirne meglio i possibili significati).
L'altro effetto vocale, indicato con un segno un po' ondulato chiamato credo quilisma, può essere interpretato sia come nota di passaggio, e quindi da eseguire in maniera più leggera rispetto a quelle tra le quali si trova, sia come una sorta di tremolo o trillo. Nel video che propongo come esempio si può vedere questo segno sulla terza i di inimici.
Nella trascrizione dei "neumi" in campo aperto tratta da manoscritti della "famiglia" di San Gallo (riportata al di sotto del rigo nell'edizione del Graduale Triplex stampata a Solesmes nel 1979) lo strano segno ondulato assomiglia moltissimo al segno utilizzato in epoche più recenti per indicare il trillo o il cosiddetto doppio mordente, ornamenti che, eseguiti più o meno velocemente, possono essere associati all'effetto di vibrato o di oscillazione di cui stiamo parlando.
Non facciamo qui tutta la storia del trillo dalle origini ai nostri giorni. Ricordiamo però che nella musica italiana rinascimentale e barocca il trillo era eseguito ribattendo velocemente una stessa nota, mentre il trillo eseguito con l'alternanza di due note era spesso definito tremolo: bisogna quindi fare attenzione a dare ai termini musicali il giusto significato tenendo conto dell'epoca in cui vengono usati.
Parlando di "oscillazione" credo che si debba fare una distinzione tra l'oscillazione dovuta a una certa difficoltà da parte del cantante di controllare il suono (pensiamo appunto all'ultimo Ramey, che però, secondo me, sfrutta l'oscillazione in modo consapevole, o a Carreras che negli ultimi concerti vibrava tutto, dalle mani al sopracciglio, quando doveva emettere una nota appena appena più lunga o più alta di quanto l'inevitabile usura vocale gli permettesse) e il vibrato usato volutamente e consapevolmente come abbellimento, come ornamento del canto, nello stesso modo in cui un violinista o un flautista o un oboista possono usarlo per dare espressività alla loro esecuzione.
Mi sono chiesto varie volte che cosa significasse l'aggettivo "oscillante" riferito alle voci dei cantanti in alcune recensioni ottocentesche. Ricordo di aver letto alcune recensioni, che ora non posso citare con precisione, in cui la voce di alcuni cantanti esibitisi nel Teatro Vittorio Emanuele di Messina, veniva definita "magnificamente oscillante". Si trattava di cantanti dei quali non credo esistano testimonianza discografiche: il recensore voleva parlare di voci ben risonanti, capaci di "correre bene" nel teatro, o ricche di armonici, o effettivamente caratterizzate da un particolare tipo di vibrato?
Troviamo invece, consultabile on-line, un testo in cui si dice che era bella, robusta, oscillante, armoniosa la voce della Malibran (o almeno una parte della voce della Malibran), e che gli acuti erano egualmente oscillanti dei bassi.
Potete leggerlo tutto intero, se vi interessa, a questo indirizzo:
http://books.google.it/books?id=TxMQAAAAYAAJ&pg=RA1-PA50&dq=voce+oscillante&hl=it&sa=X&ei=45aNUMGKH8qh4gT3toGACg&ved=0CEQQ6AEwBA#v=onepage&q=voce%20oscillante&f=false
Il fatto che altrove, parlando di pianoforti, si dica che la loro "voce" deve essere ugualmente oscillante in tutti i suoni, gravi, di mezzo e acuti, e che gli acuti devono essere bene oscillanti potrà chiarirci le idee o confondercele ancora di più (http://books.google.it/books?id=8dsrAAAAMAAJ&pg=PA301&dq=acuti+oscillanti&hl=it&sa=X&ei=_ZqNUJiFM4eG4gTUj4DIAQ&ved=0CDUQ6AEwAQ#v=onepage&q=acuti%20oscillanti&f=false).
Sicuramente negli esempi che ho citato l'aggettivo "oscillante" non ha l'accezione negativa che assume nella terminologia di certi "vociologi" moderni: quando Stinchelli, per fare un esempio, parla degli acuti oscillanti della Varnay, vuole dire sicuramente che erano acuti che "ballavano" perché mal controllati (E.Stinchelli, Le stelle della lirica, pag.103).
Cercando in internet possiamo trovare ancora molti esempi: di un tal Cosselli si dice, nel 1833, che la sua voce è estesa e forte, ma oscillante di soverchio, e che quindi non è adatta a sostenere note lunghe. Altrove (dopo le lodi a una certa D'Alberti impegnata in opere donizettiane: che fosse la trisavola della Aliberti?) si dice, di un suo collega, che era accusato, ingiustamente, di "spinger troppo la voce": voce definita di nuovo "robusta, piena, [i]oscillante".[/i]
Ognuno può cercare di trarre le sue conclusioni sul significato di "oscillante" nell'accezione positiva. Possiamo intanto dire con certezza che quel tipo di "oscillazione consapevole" e voluta, che per maggiore chiarezza ci conviene chiamare vibrato e che distingueremo dai suoni incerti e traballanti dovuti a limiti tecnici o a difficoltà fisiche del cantante, può considerarsi un ornamento del canto, a volte fine a sé stesso, a volte utile a scopi espressivi, a volte necessario per motivi strettamente tecnici per l'emissione e per il sostegno di alcune note.
Sul tubo ci sono tanti video che spiegano che cos'è il vibrato e come si può ottenere e utilizzare: questo è breve, e anche se non fa riferimento specifico alla musica lirica, presenta alcuni esempi semplici e chiari.
Noi che ci occupiamo di canto lirico cercheremo esempi di cantanti che usano il vibrato e li confronteremo con cantanti che lo usano poco o non lo usano affatto. E prima di parlare dei dischi antichi (per i quali si pone la domanda se la presenza del vibrato possa derivare da certe caratteristiche delle tecniche di incisione) ci conviene ricordare alcuni cantanti moderni nella cui vocalità il vibrato è spesso presente.
E senza bisogno di cercare esempi difficili vi consiglio di andare a rivedere qualche video di Mirella Freni che canta "Mi chiamano Mimì": su alcune note il vibrato è evidentissimo, e a volte assomiglia perfino a un trillo. Nel video di San Francisco anche Pavarotti, rispondendole a metà dell'aria, fa vibrare il suo "Sì". Chiaramente se la qualità dell'audio non è elevata, come spesso avviene su youtube, oltre alla voce del cantante sentiremo vibrare anche il fruscio e i rumori che la accompagnano, come spesso avviene nei vecchi dischi di cui fra poco parleremo. Questa presenza di vibrato nel canto della Freni non ci impressiona perché siamo abituati a sentirla nel canto di tante altre Mimì, dalle più antiche a quelle più moderne (avete presente Licia Albanese? o la Kabaivanska? o la Olivero ottantenne che faceva vibrare la voce esattamnete come cinquant'anni prima, vibrando tutta lei stessa?).
Licia Albanese ci fornisce un esempio utile di vibrato applicato soprattutto all'ultima nota di ogni frase: Voi lo sapete o mamma-a-a-a-a-a, prima d'andar soldato-o-o-o-o-o-o... volle spegner la fia-a-a-a-a-mma-a-a-a-a. L'effetto non è di oscillazione continua perché il vibrato non è usato allo stesso modo su tutte le note: è possibile che le servisse effettivamente a sostenere meglio le note lunghe, ma anche a dare enfasi a certi passaggi: per esempio me l'ha rapi-i-i-i-i-i-to, me l'ha rapito-o-o-o-o, dove l'ultima o da nota tremola si trasforma in pianto singhiozzante.
Beniamino Gigli, che per fortuna o purtroppo sapeva fare con la voce tutto ciò che voleva, sapeva ben cantare con voce liscia e ferma, ma utilizzava il vibrato quando decideva, ahinoi, che l'interpretazione doveva essere commossa-lacrimosa-singhiozzante e piangente. Alcune sillabe sono legate, altre staccate, altre vibrate. Potremmo ascoltare "Ma se m'è forza perderti", oppure "Tu che a Dio spiegasti l'ali", o anche una canzone come questa, nella quale l'artificio è evidentissimo e ha senza dubbio uno scopo espressivo, buono o cattivo che sia:
Anche in questo caso il vibrato è usato in particolare su alcune sillabe: Mia bella Napoli-i-i-i, la tua soave immagine-e-e-e, l'azzurro fulgido-o-o-o-, la placida marina-a-a-a-a, e così via.
La stessa cosa avviene in alcune incisioni di Pavarotti: mi viene in mente "Parlami d'amore Mariù", nella versione incisa in studio con la direzione di Mancini, dove il vibrato è utilizzato quasi alla fine di ogni frase con un effetto quasi violinistico.
Il vibrato è più scoperto se la voce è accompagnata dal solo pianoforte. Ascoltate "Giunto sul passo estremo" e vedrete come il buon Luciano non fosse, per questo aspetto, troppo lontano dal caro vecchio Alessandro Bonci:
L'incisione di Bonci è del 1905, e, se non ricordo male, è una di quelle effettuate per la Fonotipia.
In questo caso potremmo cominciare a chiederci quanto la vecchia registrazione possa rendere fedelmente la voce del cantante: che qui è sì vibrata, ma un po' meno del solito, forse perché non c'è troppo rumore di fondo e di superficie.
Ma il dubbio sui "problemi tecnici di registrazione" si risolve facilmente. Da un lato basta confrontare le registrazioni di Schipa del 1913 o quelle di Gigli degli anni 1918-1924 (ancora realizzate col sistema acustico) con quelle fatte alla fine degli anni '40 o nei primi anni '50 (già su nastro magnetico) per rendersi conto di come le voci fossero sempre, negli elementi fondamentali, ben riconoscibili (e ben riproducibili) anche nelle registrazioni più vecchie: per cui possiamo sì pensare che alcuni cantanti fossero più o meno fonogenici di altri, ma non che le loro voci fossero totalmente alterate o distorte. Dall'altro possiamo vedere che in registrazioni effettuate da una stessa casa discografica alcune voci risultano più vibrate e altre decisamente più ferme.
L'esempio tipico di "vibrato stretto", al di là della questione degli abbassamenti di tono, è quello di Fernando De Lucia: ascoltiamolo in questo duetto con Maria Galvany, del 1908, perchè ci permetterà un confronto molto istruttivo:
Possiamo notare facilmente che quando le voci si uniscono in quella del tenore c'è molto più vibrato che in quella del soprano.
La Galvany ha lasciato alcuni duetti incisi col tenore Aristodemo Giorgini: tenore dalla voce abbastanza morbida e senza eccessive "oscillazioni": vi propongo il suo "A te o cara", del 1905, dove esibisce anche un acuto abbastanza "fermo".
Provare a cercare, se ne avete voglia, la registrazione di Bonci, e sentirete la differenza.
Ci sono anche cantanti antichi ai quali, come ad alcuni moderni, la voce su certe note si spezza o balla involontariamente: mi viene in mente il simpatico Giuseppe Anselmi, che se non sbaglio incideva anche lui per la Fonotipia; ma non ho a portata di mano le sue registrazioni e non mi ricordo in quale si verificasse lo strano fenomeno.
La Galvany, nel 1910, ancora nella Sonnambula, esibisce una voce abbastanza "stabile", al di là dello stile molto "personale": anzi il fatto che la voce sia abbastanza ferma permette di percepire i veri trilli che di tanto in tanto esegue:
De Lucia non rinunciava ai trilli: ma come fare un trillo se già la voce è un trillo continuo? nella sua registrazione di Ah sì ben mio, del 1917, i trilli ci sono, ma appaiono strani perché sono gli unici momenti del brano in cui sparisce dalla sua voce il "tipico vibrato italiano" con effetto un po' innaturale:
Ma forse i suoi trilli ci sembrano strani perché altri cantanti utilizzano l'espediente del vibrato per simulare l'effetto del trillo: per esempio Enrico Caruso, nel 1920, in Ombra mai fu (ascoltate da 2'30'' circa):
E si tratta, attenzione, di uno che i trilli, se voleva, li sapeva fare: in "Pietà Signore", sulla i di "dal tuo rigor", fa addirittura un trillo in terzine! Anche Pavarotti qualche volta faceva dei veri trilli, altre volte si accontentava di un semplice vibratino per darne l'idea.
Come dicevo prima, possiamo avere la certezza che il vibrato dei cantanti antichi non fosse prodotto dalle apparecchiature di registrazione se confrontiamo alcune registrazioni fatte per la stessa casa discografica nello stesso giorno e presumibilmente nello stesso luogo e, possibilmente, con una discreta qualità di riveramento che ci impedisca di scambiare per effetti di vibrato i normali rumori e fruscii del vecchio disco: e il confronto può avvenire direttamente fra De Lucia e Caruso, il 30 novembre 1902, con la registrazione di Amor ti vieta.
Non chiedetemi chi tra i due abbia inciso il pezzo per primo: Caruso ha l'onore di essere accompagnato al pianoforte dall'autore in persona, e, fatto che destava lo stupore dei suoi ascoltari, usa il vibrato quasi solo alla fine (non t'a-a-a-a-merò-o-o-o-o-) per dare enfasi alla conclusione; De Lucia invece canta con l'accompagnamento di Salvatore Cottone (il pianista che troviamo anche nelle altre registrazioni di Caruso), e, col suo costante vibratino, rimane più fedele alla tradizione alla quale il pubblico era abituato. È chiaro che se il vibrato è costante diventa solo un'abitudine, un vezzo o un vizio, che significa poco dal punto di vista musicale ed espressivo. Ho il sospetto però che in certi pezzi gli permettesse di risolvere con più facilità, e con qualche trucchetto, i passi d'agilità (provate a cercare il suo "Ecco ridente in cielo").
Quanto lo stile di Caruso fosse nuovo, quanto fosse moderno e "inaudito" rispetto a quello dei suoi predecessori lo possiamo intuire se confrontiamo il suo "O teco", nella "Pira" (1906), con quello "magnificamente oscillante" del grande Francesco Tamagno (1903):
E direi che per ora può bastare. Vi saluto con uno dei dischi più belli di Tamagno, che, se non lo conoscete già, vi stupirà col suo vibrante finale: "Noi rialzerè-e-e-è-m l'àl-tà-a-a-à-r / dèl gran Dì-i-i-i-i-i-i-i-i-i-i-i-i-i-ì-o / d' I-i-i-i-i-i-i-i-i-ìsraèl".