Di ritorno dal ROF dove ho ascoltato il Ciro in Babilonia nella splendida direzione di Will Crutchfield, vorrei aprire un dibattito relativamente ai direttori filologi/musicologi.
Ho l'impressione che i musicologi che si dedicano alla direzione d'orchestra vengano spesso considerati interpreti di serie B, grandissimi conoscitori della musica e del testo, ma in fondo dotati di scarsa fantasia. Per quanto mi riguarda la direzione di Crutchfield, così come una splendida esecuzione dello Stabat Mater di Rossini diretta da Zedda (ascoltata al ROF se non ricordo male nel 20007), sono esperienze musicalmente straordinarie. E vogliamo parlare di un calibro da novanta quale Harnoncourt (piaccia o non piaccia anche la sua discussa Aida è tutta da sentire!)?
Penso poi che anche la definizione di "direttore filologo" meriti una discussione.
Come considerare l'approccio rigoroso di un Toscanini? Philip Gossett nel suo splendido libro ha scritto che talora vi è chi sostiene che Toscanini non manifesti "altro che il trionfo del <<modernismo>> applicato al campo dell'interpretazione, una sensibilità antiromantica che nulla ha a che vedere con il passato e molto a che fare con una rivolta tutta dell'oggi contro gli stili esecutivi immediatamente precedenti". In effetti è un'affermazione condivisibile: filologia quella di Toscanini? Ma se la prima edizione critica di un'opera italiana dell'Ottocento (il Barbiere di Siviglia) risale al 1969 !
Come considerare l'atteggiamento di "rispetto per l'autore" più volte proclamato da Riccardo Muti a fronte di esecuzioni in cui nove volte su dieci si spianano segni di espressione? Il fatto che per primo abbia adottato l'edizione critica del Rigoletto (a Vienna nel 1983, ancora prima che alla Scala)
o del Trovatore,
lo rende ipso-facto un direttore rigoroso? Vogliamo parlare dell'accompagnamento asfissiante del canto? E' filologia questa? E come considerare lo scempio perpetrato nel presentare il Tell o Les Vepres in italiano?
In definitiva, a parte la mia personale idiosincrasia verso Muti , ha senso parlare di direttori filologi? E se sì, è possibile identificare dei tratti che accomunino le personalità inquadrabili in questa categoria?