Buongiorno Milady,
cessi al cortese invito. Però con tre doverose premesse. Prima: devo essere un po’ sintetico, dato che sto preparando la spedizione che inizia domani da Vienna con 11 opere in 11 giorni
. Seconda: non ho visto la trasmissione su Arte, quindi non so quanto la regia televisiva fosse fedele a quella teatrale e quanto quest’ultima fosse fedele a se stessa. Mi spiego: questa produzione si replica ormai da diverse estati e del cast originario restavano, se non mi inganno, solo Amfortas e Gurnemanz. Vabbé che le riprese a Bayreuth sono molto curate, ma non saranno mai al livello delle prime con i cantanti sui quali la regia è stata modellata. Terza premessa: purtroppo non si possono vedere spettacoli come questo distrattamente oppure a pezzi e bocconi. Quella di Herheim è una regia molto complessa, perfino (nel primo atto) troppo. Non è per civetteria che dico che ci sono alcune cose su cui mi scervello da anni senza riuscire a trovare una spiegazione: ragionandoci sopra, sono sempre meno, ma rebus erano e rebus restano. Mi consolo perché un giorno, a pranzo a Parigi, Daniele Gatti, che quel Parsifal l’ha diretto per anni, mi confessò che era così anche per lui. In Germania è anche uscito un libro su questo Parsifal, ma purtroppo non leggo il tedesco.
Brevemente, allora, l’idea-base dello spettacolo è di leggere il Parsifal come biografia della Germania e di Bayreuth (in quanto unica opera di Wagner “pensata” per il Festival). Tutto si svolge, l’avrai notato, a Villa Wahnfried vista dal coté jardin, dove si trova la tomba di Lui (che copre il cupolino del suggeritore), oppure nel salone centrale della villa con vista sul giardino (la scenografia è meravigliosa e meravigliosamente realizzata. Se non credi a me credi al Divino
, che pure ne rimase colpito. E lui di teatro s’intende).
Parsifal-Germania nasce a Bayreuth (in effetti sono passati appena 12 anni dalla creazione del Secondo Reich) fra notabili del Grunderzeit con grandi ali angeliche dietro le uniformi e le marsine a rappresentare l’età dell’innocenza della neonata Germania. Gurnemanz è il maggiordomo di casa, Kundry la cameriera e quando l'azione si sposta fra i Cavalieri del Graal si rivedono le scenografie di Paul von Joukowsky, “quelle su cui si era posato lo sguardo del Maestro”, come sospirava Cosima rifiutando di cambiarle, ispirate al Duomo di Siena. Devi fare attenzione al quadro che sta sul caminetto a sinistra. S’intitola, credo, “Germania 1914” ed è un’opera di propaganda della Prima guerra mondiale, dove la Germania è raffigurata nell’iconografia classica (una donna in corazza medievale, con l’aquila sullo scudo e la corona di Carlomagno in testa). Il passaggio fra il primo e il secondo quadro del primo atto è, insieme, la fine dell’inizio e l’inizio della fine del Secondo Reich: lo scoppio della Grande guerra. Sul coro dei Cavalieri scorrono vecchie immagini in bianco e nero del fatale agosto 1914. L’effetto è straordinario, e non solo perché il Coro del Festival è magico.
Il secondo atto è il Terzo Reich. Klingsor è naturalmente l’Angelo azzurro, sessualmente ambiguo. Le fanciulle-fiore, le infermiere che curano-seducono i feriti della guerra, salvo poi trasformarsi all’arrivo di Parsifal in vere fanciulle-fiore da grande rivista Anni Trenta. Quando il Male sta prendendo il sopravvento, sulla Collina del Festival salgono le svastiche, il che, per Herheim e per Wolfgang che gli commissionò lo spettacolo, è stato anche un bel modo di prendere il toro per le corna. Le fanciulle-fiore sono adesso delle naziste che massacrano profughi innocenti. Quando Parsifal afferra la lancia (un po’ ingenua la realizzazione del miracolo, diciamo che variava di anno in anno), le grandi bandiere naziste cadono al suolo.
Terzo atto: Bayreuth è distrutta. La guerra è stata persa, la vasca del giardino di Wahnfried è una maceria, Gurnemanz è in uniforme da soldato. Arriva Parsifal, vestito esattamente come la Germania del quadro (qui alcuni italiani seduti vicino a me andarono nel pallone, iniziando a far casino. Evidentemente era un esercizio mentale troppo impegnativo ricordare la scena di due atti prima). L’Incantesimo è meraviglioso: un gruppo di donne (gli uomini sono morti, o prigionieri in Siberia) raccolgono le macerie e sono aiutate da Parsifal, Gurnemanz e Kundry; in effetti, furono le donne a ricostruire la Germania. Sul sipario calato scorrono le parole della celebre dichiarazioni di Wolfgang e Wieland alla riapertura del Festival nel ’51. Si riapre il sipario e zac!, siamo al Bundestag, nella Germania di oggi, finalmente democratica e che ha esorcizzato (forse) i suoi fantasmi. Il Coro riprende il suo ruolo di Assemblea democratica, Titurel nella bara indossa la corona imperiale e un Amfortas-Cristo (sempre con la corona di spine, ma stavolta in completo grigio) può finalmente morire, mentre un enorme specchio scende e riflette l’immagine della sala (inquadrando fuggevolmente direttore – in Lacoste – e orchestra, una prima a Bayreuth dove l’orchestra non la vedi mai): quella che ti hanno raccontato è la storia della Germania, la storia del pubblico che sta vedendo lo spettacolo.
L’idea si può discutere e Herheim mette davvero troppa carne al fuoco (quello che ti ho fatto è un riassunto, lo spettacolo è molto più complesso). Io la trovo però di un fascino, di una coerenza e di un rigore straordinari. In più, la realizzazione tecnica è straordinaria.
Beh, spero di esserti stato utile. Scusa la fretta e una certa qual confusione.
Molti saluti
AM