L'ultimo spettacolo della travagliata stagione 2008-09 del Comunale di Bologna presentava come motivo principale di interesse il debutto di Michele Pertusi nel ruolo del titolo, attorniato da due giovani (Arianna Ballotta e Davide Bartolucci) e da Francesco Meli (solo per due recite, però).
La regia di Antoniozzi ha per mio gusto pregi e difetti: fra i primi, il gusto per la narrazione vivace e per le trovate divertenti, nonché un discreto lavoro sulla recitazione dei personaggi; fra i secondi, una certa tendenza alla gag da avanspettacolo, e la sensazione che manchi una vera impronta personale. Malatesta, oltre che medico, è un sacerdote, guida spirituale di un bigottissimo Pasquale da Corneto, che addirittura tiene la bandiera della Città del Vaticano in casa. Quindi, tutta la vicenda è uno scherzo da prete. Ernesto è un ragazzo moderno (bamboccione, ha suggerito un mio amico), che veste tute e jeans e ama giocare alla Playstation, Norina una ragazza del pari moderna, che amam fare shopping e si presenta assai poco vestita nell'aria di sortita (con conseguente soddisfazione visiva del pubblico maschile etero ) e quando comincia ad imperversare in casa di Don Pasquale, la prima cosa che fa è togliere la bandiera.
Ripeto, niente di straordinario, ma Don Pasquale è un'opera buffa, e deve far ridere: missione compiuta, e tanto basta.
Del cast, Pertusi mi è piaciuto moltissimo. Io stimo questo cantante, e trovo che il suo gusto per la sottolineatura puntigliosa e per il calligrafismo sortisca risultati migliori alle prese con personaggi da opera buffa o semiseria. Il suo Don Pasquale è stato giovanile, energico, privo di buffonerie, molto ben cantato tranne che nel sillabato del duetto con Malatesta, un po' confuso e poco scandito.
Davide Bartolucci, Malatesta, pare che sia il fidanzato nella vita reale della Ballotta. Devo dunque fargli i complimenti per l'ottimo gusto in campo femminile, e nel complesso anche per la pulizia del canto, che però è stato molto anonimo e di limitata autorevolezza, sia vocale sia interpretativa. Malatesta è il vero artefice dell'imbroglio, e nella visione registica di Antoniozzi riveste un ruolo ancora più importante del solito: affidarlo ad un ragazzo così giovane è stato un rischio. La voce è comunque interessante, leggera e molto chiara, e non sembra patire le alte tessiture (anche se qualche acuto nella sortita non sfogava perfettamente).
La Ballotta non mi ha convinto granché, devo dire: in scena ci stava bene, visto che è molto carina e spigliata, ma il canto è stato piuttosto asprigno nei centri, e guadagnava volume e penetrazione solo negli acuti: discreta ma pallidina nell'aria di sortita, a disagio nel duetto con Malatesta, si è districata bene nelle variazioni del rondò finale, intelligentemente scritte per far risaltare le zone privilegiate della voce. Si è astenuta, e ha fatto bene, da smancerie e mossette da soubrette, che con un timbro così sarebbero sonate fatalmente gnegnerose ma ugualmente mi è parsa piuttosto generica nell'interpretazione, che definirei un po' monocromatica.
Francesco Meli. Questo tenore sta vivendo un periodo di boom, guadagnando fragorosi consensi in ogni teatro ed in qualunque ruolo in cui si esibisca. La voce è davvero molto bella e generosa quanto a decibel, e non si può dire che il cantante sia generico, visto che tenta spesso assottigliamenti e variazioni dinamiche. Però il porgere è quello del tenore da loggione.
Ho riletto la recensione di Pietro della Sonnambula con la Dessay: su Meli dice:
nessuno può dire male del canto di Meli, uno dei più interessanti tenori dell’ultima generazione, dotato di canto timbrato e squillante: però comunica poco. Il problema, probabilmente, sta nel fatto che ha di fronte un tale mostro di bravura che è oggettivamente più avanti di lui nel distillare emozioni; ma il confronto ogni tanto ci sembra proprio stridente.
Io credo che non sia il contrasto con la Dessay a frenare la prova di Meli in quell'incisione. Meli canta proprio così. Io, forse sarò cattivo, lo trovo in questo un po' simile ad Alvarez. Canto generoso. Anche troppo. Non è stato malvagio nella sortita, ma ha cantato proprio male l'aria "Cercherò lontana terra" con relativa cabaletta, dove è arrivato alla fine spossato e quasi afono. Non ce n'era bisogno. Se spingesse la metà di quello che fa, si sentirebbe benissimo lo stesso, e l'effetto sarebbe tutto più tranquillo e rilassato. Nell'ultimo quadro, è stato bravo nella serenata (e il teatro è scoppiato in un'ovazione) ma non è riuscito a ripetersi nel duettino con Norina, risolvendolo con falsettini e poco legato.
Quello che manca a questo tenore è soprattutto la capacità di gestire le proprie risorse vocali e tecniche. Non è obbligatorio saper fare le mezzevoci di Schipa o gli acuti di Kraus, ma ci sono stati fior di tenori che hanno cantato per anni ed anni senza avere una tecnica precisissima. Il punto è riuscire a non far avvertire le manchevolezze al pubblico. Meli, ogni volta che fa un falsetto, fa avvertire la difficoltà, e l'appressarsi dell'acuto gli rende la voce rigida, sebbene conservi uno squillo invidiabile. Questo penalizza il risultato, anche se il pubblico pare gradire, visto che mi sembra abbia avuto quasi più applausi di quelli, meritatissimi, a Pertusi.
Il direttore Vordoni non ha ricavato dall'Orchestra del Comunale un suono molto pulito, ma ha cercato per lo meno di non coprire le voci.