Luisa Miller (Verdi)

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Re: Ante Luisa Miller

Messaggioda vivelaboheme » mer 06 giu 2012, 15:38

"Se vuoi suonerete le vostre trombe, noi suoneremo le nostre campane"




Mi rendo conto, me l'hai suggerito già una volta... e l'ho fatto una volta, ma non si può trasformare la Scala in un urlificio fra muggiti e risposte!
Trovai valida - anche se i prepotenti fecero le vittime - l'iniziativa di buare i buatori fuori dal Teatro. Ripeterei volentieri. Ma non è sufficiente.
Basta leggerli, i siti sono a disposizione: con le malattie mentali, alla fine, non si combatte




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Re: Ante Luisa Miller

Messaggioda pbagnoli » mer 06 giu 2012, 16:44

vivelaboheme ha scritto: "...non si può trasformare la Scala in un urlificio fra muggiti e risposte!

Si può sì!
E' pacifico, democratico e educativo, se l'atteggiamento rompe le palle: rispondi misura per misura. Non è che siano sempre i soliti tre-quattro ad avere il predominio del fischio e il resto invece è la povera maggioranza silenziosa. Di solito, se qualcuno mi rompe le palle in un ambiente in cui è prescritto il silenzio, io lo faccio notare: dapprima con educazione, poi un po' meno.
A onor del vero, l'ultima volta che sono stato alla Scala nessuno ha fischiato né muggito: era la prima del Grimes, e sembravano tutti molto contenti...

vivelaboheme ha scritto:Trovai valida - anche se i prepotenti fecero le vittime - l'iniziativa di buare i buatori fuori dal Teatro. Ripeterei volentieri.

Io invece no, mi spiace. E più passa il tempo, più me ne convinco.
Se uno compra il biglietto, paga e quindi ha diritto di esprimere il proprio dissenso.
Se lo fa fuori dai limti del buon gusto, si qualifica da solo; ma devo dire che le ultime volte che sono stato alla Scala i fischi sono stati talmente modesti e isolati (per esempio ai Contes d'Hoffman) che è bastato qualche zittìo per farli finire; e al Grimes non ce ne sono stati per niente. Forse stiamo sopravvalutando l'evento.
Se il rompiballe lo butti fuori tu, ne fai un martire del dissenso: è questo che vuoi? Io, francamente, no.

vivelaboheme ha scritto:Basta leggerli, i siti sono a disposizione

E tu fa' come faccio io, con soddisfazione, ormai da un po' di tempo: ignorali. Non li leggere.
E' un consiglio che mi ha dato un amico e devo dire che io mi ci trovo benissimo
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Messaggioda vivelaboheme » gio 07 giu 2012, 16:37

Scusate ho avuto un problema tecnico per cui mi è entrato quel titolo senza senso. Vizzardelli e tecnica sono materie estranee. Ritrascrivo qui.



Ottima riuscita. Non è uno spettacolo perfetto, ma è di meglio. E’ uno spettacolo “interessante” nel miglior senso: cioé, avvincente sotto molti punti di vista.
Il tutto – cioé l’esito molto buono nel suo complesso – si riassume, prima di tutto, nell’eccellente direzione di Gianandrea Noseda, che vantava già a Torino, buonissimi esiti verdiani (Vespri, Traviata) e ha, di Verdi, il senso di tutto: musica e teatro, parola e musica. Ha fatto un lavoro splendido, in orchestra, con i cantanti e “sui” cantanti, nonché con il coro. Voci e suoni. Ha, come si dice, “ottimizzato” le voci. La prova più lampante è Nucci (merito anche di Martone): qui, a mio avviso, alla sua prova più alta da molti anni a questa parte, proprio perché completamente libero dai “nuccismi”: i vezzi vocali e scenici. Qui è asciuttissimo, scenicamente e vocalmente. Non caracolla per il palco, e canta “pulito”, asciutto: e benissimo. Il labemolle è strepitoso, e non è la sola cosa. L’uso delle dinamiche che Noseda gli chiede e ottiene è fenomenale. La voce sarà anche un po’ prosciugata negli armonici ma ha una salute incredibile e, usata come ha fatto qui, cioé allo stato puro, senza vezzi di mestiere, è mille volte meglio che nei tanti Rigoletti cantati ovunque in questi anni. Questo suo Miller è uno dei vertici della carriera: per misura vocale e scenica.
E tutto il resto va nello stesso senso. Noseda ha un suo suono verdiano, riconoscibilissimo (era quasi lo stesso, nei Vespri di Torino): piuttosto chiaro nel timbro, per la scelta di tenere gli archi leggeri, tesi, vibrantissimi e fondamentalmente leggeri. Il che non significa che, quando c’è da dar corèp ed esplosività, Noseda stia indietro, anzi, esplode eccome! Ma con cognizione di causa. E l’altro aspetto fondamentale è la perenne mobilità del fraseggio: le scelte di tempo cambiano in funzione della musica e della scena. Il suo è, in questo senso, un Verdi teatralissimo, quindi “è” Verdi. E ancora: l’attenzione alla parola. Non se ne perde una, non ne va buttata una: straordinario, in questo senso, il lavoro con il coro (bentornato, con Grimes e questa Luisa abbiamo ritrovato, dopo qualche prova meno felice, il bellissimo “strumento” di Casoni). E ancora: la concertazione, voci e strumenti. C’è un capolavoro assoluto: il quartettino dell’atto secondo: Noseda & cantanti ne fanno un’alchimia di suoni, straordinario.
Degli archi si è detto: ma è bellissimo il rilevo “parlante” chiesto e ottenuto, da Noseda, ai legni scaligeri, e (qui benissimo) l’oro bianco degli ottoni. E tutto è in funzione della “vita scenica” dell’opera. Questo è Verdi, e Noseda lo sa fare benissimo. A parte le poche recite passate in repertorio russo, questo poteva considerarsi il suo vero esordio sul podio d’opera alla Scala. E’ eccellente e il pubblico gliene ha reso meritato successo personale. Direttore italianissimo, eppure di respiro europeo, già si sapeva frequentando regolarmente Stresa. Che bella conferma.

La Mosuc. “Sì, ma è una voce piccola”, abbiamo sentito dire, ieri sera, Ok, lo è, ma CANTA. Sa farlo, e benissimo. La sua Luisa quasi bambina, fragile folle eppur fortissima, potrà pur sembrar figlia di… Lucia (che Mosuc ha cantato, molto bene, diretta, molto bene, da Noseda), ma è perfettamente rispondente al “progetto musicale e scenico – Noseda più Martone – di una Miller adolescenziale, con la razionalità estrema e folle degli adolescenti (bene, male, bianco, nero) che la porterà a meditare il suicido prima e a farne parte, poi, per eccesso d’amore. E’ una Lucia giovanissima nell’anima e nei modi, con tutta la radicalità della gioventù. Canta – con i suoi mezzi “leggeri” , ma ferrei come la sua tecnica – un ultimo atto da antologia. E trepida, “vive” il èpersonaggio. Bravissima.

Alvarez è Alvarez, prendere o lasciare. Prendiamo, tutta la vita. Prendiamo la bellezza iperbolica della voce, la generosità, lo slancio e anche la sensibilità. Il “Quando le sere” non è una prova impeccabile vocalmente, è molto di più e di meglio: una “rappresentazione” scenica e vocale racchiusa in pochi minuti di musica straordinaria. E’ – ad avviso di chi scrive – la più bella aria di Verdi (e, forse, di tutto il teatro d’opera) racchius in un’opera che non è certo la più bella di Verdi, ma è importante per capirlo prima e dopo. Alvarez ne fa una rappresentazione vocale e scenica, in cui entra tutto: suoni bellissimi, altri meno, ma sempre “anima”, e musica e teatro. E’ se stesso, con le incrinature di timbro contratte, nel tempo, “spingendo” sempre, come continua a fare. E si percepisce che, in questa primavera terribile per chi soffra d’allergie (non si respira, mica solo lui: mai vista una simile invasione di piume e pollini, la gola di chi qui scrive conferma) ha dovuto combattere (non c’è da sorriderne, la voce è il suo strumento). Alvarez si dà, tutto, in pregi e limiti. Una prova emozionante. E sincera.

Qualche perplessità sulla timbrica di Kowaljow (Conte) e Youn (Wurm), ma sono ricondotti a disciplina e giusta misura teatrale da Noseda.

Straordinario personaggio la Federica di Daniela Barcellona, forse la miglior riuscita dell’allestimento di Martone. Duchessa di fisico prorompente in code di volpe, frustrata, aspra eppure anche dolce, con le asprezze e la morbidità della voce usate entrambe a fine drammatico.

Martone, appunto. Lavora per sottrazione, il rischio (e, in parte l’esito) è una scena molto vuota, in cui sembra non accada niente. Non ripete l’esito bellissimo di Pagliacci e Cavalleria, ma vuota non è, o non del tutto. E non è una scena stupida, anzi. L’idea dei due segni chiarissimi – il LETTO e il BOSCO, il luogo delle passioni e quello degli incubi e dei misteri dell’animo umano – peraltro noti simboli “psicanalitci” – disegna Luisa Miller per ciò che in realtà è: uno PSICODRAMMA, nel quale i protagonisti commettono azioni inenarrabili per eccesso di “sentire” (amore, odio, offesa, potere): progetto e/o realizzazione di avvelenamento personale e reciproco, assassinio, non così slegate – pensiamoci bene – da molte storie altrettanto estreme che, oggi 2012, leggiamo continuamente sui quotidiani. E allora va benissimo la rappresentazione “non in costume”. E’ ottima l’idea del cerchio, la poltrona di Wurm che gira, attorno a Luisa “costretta” a scrivere la lettera decisiva.
Ripeto, nella realizzazione, a furia di procedere per sottrazione ne risulta uno spettacolo scenicamente “vuoto” fino all’eccesso. Ma l’idea (il letto, il bosco, più le TRIBUNE, per il commento della “gente” alla vicenda dei privati) resta ed è intressante, e perfettamente in linea con la tematica dell'opera.

Non sarà uno spettacolo perfetto , ma in un certo senso è di meglio: perché, di tutto, pregi ed eventuali limiti, fa tesoro a livello musicale e drammaturgico. Il che “è” Verdi.

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Re: Luisa Miller alla Scala

Messaggioda pbagnoli » gio 07 giu 2012, 17:10

Parere interessante.
Non amo la Luisa Miller, non amo Alvarez; e amo poco - anche se lo rispetto - il Verdi di Nucci (con cui comunque tutti, volenti o nolenti, ci dovremo confrontare allorché riconsidereremo l'interpretazione verdiana di questi ultimi vent'anni); nutrivo molte perplessità su Martone e qualcuna su Noseda. Sono contento che tu sia rimasto globalmente soddisfatto: forse, in fondo, bisognerebbe affrontare il teatro con cuore puro e libero da pregiudizi.
Mi incuriosisce molto invece quello che tu dici sulla Mosuc.
E' da un bel po' che ragiono su una possibile nuova via dell'interpretazione verdiana.
Quando avevo espresso entusiasmo sulla Kermes che interpretava il Notturno di Leonora (Trovatore) tutti i sapientoni mi presero per il culo perché non avevano capito che ciò che mi entusiasmava non era la performance di per se stessa, ma la strada che mi sembrava tracciata. Magari la Kermes non riformerà il canto verdiano, forse non lo farà nemmeno la Mosuc, ma questi sono segnali assolutamente incoraggianti: qualcosa sta cambiando.
E' questa l'unica via per la perpetuazione dell'arte che tanto amiamo: il rinnovamento. Certo: nel rispetto del passato, ma rinnovamento. Altrimenti non si va da nessuna parte...
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Re: Luisa Miller alla Scala

Messaggioda vivelaboheme » gio 07 giu 2012, 17:27

Condivido.

Anche perchè il valor-massimo della "nostra" (in senso affettivo) arte - la musica - è che, per sua natura è "arte mobile", mai cristallizata. Da qui parte tutto. Ciao.


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Re: Luisa Miller alla Scala

Messaggioda Enrico » gio 07 giu 2012, 17:41

Nessuna notizia di trasmissioni radiofoniche? su Radio3, in questo mese, è prevista soltanto La Clemenza di Tito con Kunde registrata ad Aix l'anno scorso. Nessuna traccia della Norma di Torino né di questa Luisa Miller scaligera. Ho letto qua e là diverse impressioni, ma non avendo visto né sentito non posso giudicare.
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Re: Luisa Miller alla Scala

Messaggioda Enrico » ven 08 giu 2012, 19:14

Sul "tubo" è apparso questo:

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Re: Luisa Miller alla Scala

Messaggioda doncarlos » dom 10 giu 2012, 13:30

Vista ieri sera.
Molti anni fa Celletti su (mi pare) "Epoca" recensì un Tristan alla Scala (dirigeva Kleiber) dando per titolo al suo pezzo "Alle dame del castello piace solo fare quello". Si riferiva al fatto che Wolfgang Wagner, regista, al II atto facesse pruriginosamente smaniare Isolde in attesa di Tristan. Ecco, questo titolo mi è saltato in mente quando la Barcellona entrata da qualche minuto in iscena, non perde tempo a sdraiarsi voluttuosamente sul letto, adeguatamente rifornito di lenzuola rosse.
Più in generale, un allestimento (regia, scene e costumi) che ho trovato, a parte qualche ideuzza, per valtro già vista, di una tale stupidità da essere, per fortuna, totalmente inoffensivo, se non per una certa cura nell'impostazione e nella recitazione dei personaggi.

Noseda non mi è piaciuto: uan Sinfonia grigia, con archi vetrosi, piatta nella dinamica e nella definizione dei piani sonori, per proseguire a corrente alternata, accendendosi quando Verdi s'accende (meno male) e tirando a campare nel resto, spesso con fragore e pesantezza. Gli va però dato atto di aver ottenuto omogeneità e stile da una compagnia di canto eterogenea. Che è stata poi quella che ha salvato la serata. A partire da una Mosuc in crescendo, ma comunque sempre padrona della difficoltà della parte, con una legato alato e di alta scuola. Poi il sorprendente Nucci, che, è vero, è stato asciutto come raramente in questi ultimi anni. Youn ha fatto di Wurm, come deve essere, un personaggio centrale, con la sua voce pastosa e sonora (a me dà un po' fastidio il vibrato, che mi sembra ogni tanto oscuri l'intonazione: ma poi mi sento Pasero,... e lo ritrovo anche lì), mentre Kowalijov ha cantato piuttosto bene, ma in scena era notevolmente legnoso. Anche la Barcellona ha fatto di Federica (e diamone puro il merito a Martone) un personaggio di spicco, cantando benissimo (e Federica è parte ingannevole, basti sentire il macello che ne fa una Ludwig (!) a Vienna). Di Alvarez non posso dire molto: finché ha cantato mi è piaciuto, ma poi ha avuto un'incontro difficile con il DOb traditore di "il core io le trapasso" (nota su cui s'è impiccato più di un tenore, a cominciare da Bergonzi) e ha gettato la spugna. È stato sostituito da Piero Pretti, buona voce, tecnica sufficiente, ma comprensibilmente avaro di colori e di partecipazione scenica.

Buona domenica a tutti :D
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Re: Luisa Miller alla Scala

Messaggioda vivelaboheme » lun 11 giu 2012, 16:30

Non condivido il "tirare a campare" riferito a Noseda, mi pare tutto il contrario, ma rispetto. Quanto ad Alvarez, sta lottando (e lo ha dichiarato apertamente) con un problema con il quale, qui a Milano e nei dintorni, noi che lo abbiamo, stiamo provando a convivere, male peraltro. Da due mesi quasi ininterrottamente mi sveglio, esco, e trovo il prato sotto casa bianco, come avesse nevicato... di piumini. Mai visto a Milano un anno del genere quanto a pollini e simili. Io sono in perenne stato di voce roca e semiasma. Posso immaginare come stia uno che nella voce ha il suo strumento - di lavoro e di arte.


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Re: Luisa Miller alla Scala

Messaggioda MatMarazzi » sab 16 giu 2012, 16:18

Ho visto anche io questa Luisa Miller e vorrei aggiungere la mia opinione alle due interessantissime e molto diverse fin qui postate.
Premetto che mi trovo molto più vicino, almeno per il giudizio sulla recita di ieri sera, a doncarlos.


Dato che Luisa Miller era una delle poche opere verdiane non passate attraverso le forche caudine mutiane (e assente da molto tempo dalla programmazione scaligera) poteva essere un'occasione importante per dimostrare qualcosa.
Ad esempio per dimostrare al pubblico milanese (giustamente scettico, per questo fronte, sulla gestione Lissner) che esiste un Verdi non necessariamente ispirato (ma in peggio) a quello che Muti ha ammanito per vent'anni, come è avvenuto finora.
Ossia un Verdi inturgidito nelle sonorità, nobilitato in solennità sinfonistiche, ripulito (e perché mai dovrebbe?) dall'humus belcantistico-borghese di cui pure è parte e, di conseguenza, banalizzato nei suoi contenuti più rivoluzionari (in senso sociale) e politici (in senso anti-statale).
E aggiungiamo: un Verdi affidato a cantanti rigorosamente poveri di personalità, che si occupino di fare le note e i gesti che si dice loro di fare e nient'altro.
E infine: un Verdi dalle realizzazioni sceniche parrocchiali, rigide, prevedibili, vuote, elementari... perché "la regia è una diavoleria di cui si può e si deve fare a meno".

Questo era il modello del Verdi Mutiano ("Italians do it better", secondo il felice - ? - slogan che per anni imbrattò l'accademia scaligera) e questo è il Verdi oltre al quale la Scala di oggi dovrebbe andare.
Capisco che non sia facile: per superare un modello popolare e autorevole (per altro - questo bisogna riconoscerlo - fondato su un'idea e una conoscenza vera del repertorio verdiano, che Muti obbiettivamente ha) occorrono idee e conoscenze altrettanto vere e profonde, ben maggiori di quelle che - almeno in Verdi - la Scala del dopo-Muti ha finora messo in campo.
E tuttavia proprio Luisa Miller era il titolo giusto per lanciare un nuovo "Verdi made in Scala", considerato che per essa il pubblico Milanese mancava di immediati confronti, e considerati anche i forti contenuti del testo, mutuati da Schiller: è questa l'opera, infatti, in cui Verdi depose le problematiche politiche di tipo "orizzontale" (invasi contro invasori) per esplorare quelle di tipo "verticale" (Stato contro sudditi) che avrebbero nutrito tutta la sua successiva produzione, almeno fino ad Aida.

Alla prova dei conti chi sperava in una svolta è rimasto deluso.
Anche Luisa Miller in versione Lissner è uscita un'ennesima riproposizione del modello Mutiano, salvo l'unico pregio che esso aveva: l'obbiettiva, enorme bravura tecnica di Muti stesso.


Partiamo infatti dal direttore.
Noseda risolve Verdi in sonorità costantemente grandiosizzanti e sontuose: ovviamente senza quel piglio bandistico, quella prevalenza di fiati sugli archi, (guaiiii, direbbe Muti) che almeno ne svelerebbere le radici storico-culturali (e che non a caso Gardiner scatena in Berlioz e Bizet).
Morbidezza ovunque, prevalenza di archi, respiro (e organico) di sensibilità Brahmasiana.
Come a dire "Povero, grande Verdi... lo dobbiamo nobilitare! E per farlo ...occorre farlo assomigliare a ciò che non é: un tedesco sinfonista del tardo ottocento" :)
Pari pari, come si vede, la formula Mutiana.

Possente nell'ouverture e negli insiemi, Noseda smorza l'organico quando deve accompagnare le voci; per le quali sfodera invece un calligrafismo delicato, prezioso, anch'esso Mutiano.
Come a dire: "vedete? Benché io sia un direttore per grandi sinfonie... so che nell'opera italiana il canto è padrone e io mi metto al suo servizio"

Infine, a livello interpretativo, Noseda resta schiacciato dall'ossessione di amplificare gli opposti (c'è un forte? sarà un fortissimo! C'è un piano? Sarà un pianissimo!) come se il suo discorso teatrale e narrativo si risolvesse nel cozzo e nella sottolineature dei contrasti.
E anche questo è esattamente un lascito del Verdi di Muti.

In tutto parrebbe essere tornati al ventennio, dunque, tranne che per un aspetto.
Col vero Muti non c'era possibilità alcuna di sentire i pasticci, gli attacchi dubbi, i piccoli squilibri fra le sezioni che si sono sentiti ieri alla Scala. Non che Noseda sia un disastro, intendiamoci, ma questo non toglie che - oltre a seguire una tradizione che vorremmo disperatamente veder superata - non dispone nemmeno del genio della concertazione che Muti invece ha.


Passiamo alla regia, sulla quale stenderei un velo pietoso.
Che Martone c'entri col teatro d'Opera come i cavoli a merenda, mi fu noto fin dal rovinoso Così fan Tutte che vidi a Ferrara.
Il successivo Ballo in Maschera al Covent Garden (ancora con Alvarez) si guadagnò ai miei occhi il titolo - ancora imbattuto - di "allestimento operistico più cretino di tutta la mia vita".
Questa Luisa Miller non mi è parsa altrettanto schifosa, ma certamente ancorata al Verdi "pizzi-deflo-savary-kokkos" del tristo ventennio.

Ho già detto, in varie occasioni, quanto detesti le regie "a simboloni", come se ne vedevano nelle periferie degli anni '80...
Allora molti registi come Pizzi pensavano che piazzare al centro della scena un simbolo "grosso così" (ad esempio un lettone nunziale fra i larici, che da bianco diventa rosso... capito il simbolo??? :) ) permettesse loro di nascondercisi dietro e occultarvi la propria incapacità tecnica, la povertà di soluzioni e di idee.
Era una scappatoia molto praticata specialmente da quegli scenografi che venivano elevati a registi (per risparmiare un cachet) e che si ritrovavano di fronte a tre ore di matriale sonoro, narrativo, drammaturgico che non avevano idea di come gestire...
Il "simbolone in mezzo al palco" sembrava cavarli di impaccio (e per anni è andata bene).
La nostra critica e il nostro pubblico di allora si concetravano sul "simbolone", senza accorgersi che dietro non ci fosse uno straccio di regia!
... ad esempio questa Luisa di Martone sarebbe stata ricordata per anni (e da qualcuno rimpianta) come quella del "letto fra i larici"...

Martone, non avendo idea di cosa sia una regia d'opera, ricorre allo stesso stratagemma, ma... vent'anni dopo... quando nemmeno alla recita scolastica di fine anno qualcuno lo addotterebbe!
Tanto che oggi non imbroglia più nessuno.
Nessun lettone può più occultare la mancanza di idee, la povertà di visione, il dilettantismo tecnico di cui Martone fa, ancora una volta, prova.
Anche la recitazione è di quelle che oggi si vedono solo nelle serate di Operetta dei circolini lirici: nei concertati stanno tutti impalati come a una prova all'italiana; nella sua calabetta il soprano resta inginocchiato a terra muovendo a ritmo le mani giunte; nel loro duetto il tenore e il soprano assumono la tipica "posizione Opera" (lei rivolta al pubblico e lui dietro che la tiene per le spalle) che avevo visto l'ultima volta nel 1985 all'Arena di Verona (Attila con la Chiara e Lucchetti).
E non parliamo della Barcellona, costretta anche lei (come oggi tutti i registi dilettanti fanno con le povere "rivali") a aggredire il palco con modi da vamp, vestito da seduttrice e effetto da Jessica Rabbit (possiamo immaginare, considerando l'innata sensaulità della donna, il risultato!

E dove mettiamo i soliti strafalcioni contenutistici rispetto al libretto o alla logica stessa?
Esempio.
Federica entra nel palazzo ducale del futuro suocero e che fa? Ovvio: saluta uno per uno tutti i cortigiani (e ci vuole un po', perché sono distribuiti nel solito visto e stra-visto coro "parlamentare") senza degnare di uno sguardo il padrone di casa e il futuro sposo, che aspettano pazientemente il loro turno.
Già... bisognava sfruttare il coretto con qualcosa...

Oppure - ancora più divertente - il povero Miller che, alla fine del primo atto, viene trascinato fuori scena in catene... davanti agli occhi sgomenti della figlia.
Secondo il libretto non dovrebbe essere arrestato a quel punto, ma va bene! Licenza registica! :)
Ma allora come si spiega che l'atto successivo inizi con le coriste che si affannano a raccontare a una Luisa incredula e sconvolta l'arresto dell'uomo? :D :D :D
E' forte la tentazione di alzarsi e gridarle dalla platea "scema!!! L'hai visto cinque minuti fa che lo portavano via!!".


Sul cast bastano poche parole.
Per mia fortuna non c'era Alvarez! :) In compenso un certo Pretti - di bella presenza e dagli acuti facili - si è dato da fare per non sfigurare.
C'è riuscito, ma gli manca ancora molto per essere un buon Rodolfo.
La Mosuc ha le note della parte (più o meno...), ma non il carisma, né l'autorità, considerando che sul suo personaggio l'opera si impernia.
In tanti momenti (come sempre quando non si dispone di sufficiente personalità) l'opera si slenta... in particolare al terzo atto.
La Barcellona è stata bravissima vocalmente e musicalmente (ho avuto la sensazione che abbia salvato il quartetto a cappella del secondo atto).
La parola cammaraniana (e verdiana) con lei risalta benissimo.
Il personaggio ovviamente non c'era, ma non è colpa sua.

Sui bassi non so che dire...
Se all'ufficio casting della Scala usassero la logica, Youn sarebbe douto essere Walter e Kowaliow Wurm.
Infatti:
1) Walter è il basso principale, mentre Wurm è un comprimario. Ed essendo Youn una star internazionale (molto più di Kowaljow) la parte principale sarebbe dovuta essere sua.
2) Wurm ha una scrittura da comprimario, appunto: interviene solo nei duetti, non ha un'aria sua, e il suo canto è cattivo e aspro, tanto da potersi adattare a un declamatore (come Kowaljow); al contrario Walter ha una grande aria che solo un basso morbidissimo e vocalista (come Youn) può valorizzare.
In questo modo invece abbiamo avuto un Wurm (Youn) troppo morbidoso, vellutato, privo di enfasi e spessore; e un Walter (Kowaljow) dal canto declamatorio aspro e spezzato, rigido come legno, in palesissimi difficoltà nella sua aria.
3) la questione psicologica. Wurm - come dice il nome - è cattivissimo; Walter invece è un padre del tipo Monforte, Rigoletto, Germont... di quelli che soffrono, amano e se sbagliano è per eccesso di amore. L'espressività introversa, carezzevole, dolcissima di Youn avrebbe dato per altro senso al personaggio, che invece è stato risolto da Kowaljow come il solito gerarca senza cuore....

Ah dimenticavo: ovviamente Youn - in qualità di Wurm - zoppicava e si trascinava dietro un bastone (oggi i registi in gamba presentano sempre i cattivi come handicappati: è la società a renderli così... non l'avevate capito?).

Resta il caso di Nucci.
Dio mi perdoni... non so se mi riavrò mai per aver scritto una cosa simile... ma...
bè ok! Nucci è stato il migliore in campo.
Sarà che rovesciando sul personaggio tutta la sua abituale rozzezza, la legnosità urlona del suo canto, la fissità arida della sua presenza scenica, gli ha conferito una verità completamente nuova.
In Schiller, Miller non era il buon pater familias bucolico che ne ha fatto Cammarano (con gran disperazione di Verdi); era un personaggio sinistro, ambiguo, con venature quasi comiche e grottesche.
Involontariamente Nucci ci ha restituito proprio questo: e il suo canto possentemente declamatorio, la rigidità terrigna delle sue espressioni ...per una volta hanno fatto il miracolo!
Alla fine... il buon vecchio Nucci si è rivelato il più incisivo Miller che ricordi e l'unica ragione per cui valesse la pena sentire questa Luisa.


Salutoni e scusate la solita prolissità-
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Re: Luisa Miller alla Scala

Messaggioda VGobbi » sab 16 giu 2012, 21:21

Cavolo Mat, ti ha convinto Nucci!!! Non e' che stai invecchiando? :mrgreen:

A parte gli scherzi, non mi capacito appunto della scelta di Youn nei panni di Wurm, anziche' di Walter ...
Nemmeno noi siamo d'accordo con il gobbo, ma il gobbo è essenziale! Guai se non ci fosse!
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Re: Luisa Miller alla Scala

Messaggioda Tucidide » dom 17 giu 2012, 0:05

MatMarazzi ha scritto:Resta il caso di Nucci.
Dio mi perdoni... non so se mi riavrò mai per aver scritto una cosa simile... ma...
bè ok! Nucci è stato il migliore in campo.
Sarà che rovesciando sul personaggio tutta la sua abituale rozzezza, la legnosità urlona del suo canto, la fissità arida della sua presenza scenica, gli ha conferito una verità completamente nuova.
In Schiller, Miller non era il buon pater familias bucolico che ne ha fatto Cammarano (con gran disperazione di Verdi); era un personaggio sinistro, ambiguo, con venature quasi comiche e grottesche.
Involontariamente Nucci ci ha restituito proprio questo: e il suo canto possentemente declamatorio, la rigidità terrigna delle sue espressioni ...per una volta hanno fatto il miracolo!
Alla fine... il buon vecchio Nucci si è rivelato il più incisivo Miller che ricordi e l'unica ragione per cui valesse la pena sentire questa Luisa.

Difficile trovare una descrizione più azzeccata del canto di Nucci, si può dire da sempre! 8)
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: Luisa Miller alla Scala

Messaggioda doncarlos » lun 18 giu 2012, 10:15

Il successivo Ballo in Maschera al Covent Garden (ancora con Alvarez! evidentemente regista e cantante hanno in comune la profondità della visione) si guadagnò il titolo di "allestimento operistico più cretino di tutta la mia vita".
Questa Luisa Miller non mi è parsa altrettanto schifosa, ma certamente è a sua volta un puro omaggio al Verdi "pizzi-deflo-savary-kokkos" del tristo ventennio.


Vidi anch'io quel Ballo, sia al CG che a Genova: concordo pienamente. Tu dici schifosa della Miller, io ho detto stupida: "questa o quella...!. Forse ho apprezzato piùdi te la Mosuc. Del quartetto registico, concedimi di salvare qualcosa di Pizzi. Per il resto, d'accordissimo.

Saluti a tutti
doncarlos
 
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Re: Luisa Miller alla Scala

Messaggioda MatMarazzi » lun 18 giu 2012, 16:20

doncarlos ha scritto:Del quartetto registico, concedimi di salvare qualcosa di Pizzi. Per il resto, d'accordissimo.


Ma certo... :) anche io salvo qualcosa.
e poi - incredibile - quando negli anni 60 era scenografo per De Lullo e per Ronconi poteva persino considerarsi avanguardia! :)
Dicevo solo che come regista e in particolare come regista verdiano ha rappresentato (negli anni 80 e 90) uno dei modelli regressivi del Verdi alla Muti.
Ovviamente per me...

Salutoni,
Mat
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Re:

Messaggioda DottorMalatesta » lun 17 dic 2012, 19:49

beckmesser ha scritto:
Volevo invece attirare l’attenzione sulla Traviata andata in scena, sempre a Parma, ieri sera.
...
Ma intanto lo spettacolo degli Herrmann è memorabile ...
Se grande è lo spettacolo, Temirkanov si è dimostrato un gigante, capace di un’interpretazione che per mio conto resta fra le più grandi ch’io abbia mai sentito di quest’opera (in teatro o in disco).
...


Segnalo che è questa Traviata è uscita in edicola come DVD a 9,99 euro. Si tratta di una serie di opere di Verdi in DVD registrate a Parma. A quanto mi sembra d'aver visto dal programma preliminare (e a quanto scriveva Beckmesser) forse Traviata è proprio l'unico DVD che merita l'acquisto... (sempre che non si amino Pizzi e merletti :mrgreen: ).

Ciao!

Doc
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