un'altra Luisa Miller. Rodolfo, dell'opera verdiana è un tenore dalla vocalità mista tra il tenore romantico e quello di grazia. L'emissione in certi passi come il "T'amo d'amor che esprimere" è leggera, fluida, così come quando duetta con Federica. La famosa aria "Quando le sere al placido" anche se prevede il passaggio di registro tra il MI3 e il FA4, può consentire un fraseggio morbido e disteso. Però il personaggio è un uomo spinto da un amore infelice ad un'esaltazione quasi folle e sfocia in un delitto. E' quindi un personaggio romanticissimo per cui se non ha una violenza vocale simile a quella di Stiffelio, deve sfogare le sue passioni o con puntate ascensonali veementi, oppure in una vocalità, seppure raramente, che rasenta la declamazione. Non sono pochi i brani di Rodolfo in cui il tenore rimane in una tessitura centrale. Le ragioni del teatro prevalgono sulle ragioni musicali. E cito, proprio nell'esempio della zona centrale, declamata, al finale dell'opera. "Maledetto il dì ch'io nacqui" che gravita sulla zona Re3-Sibemolle3. Rodolfo è quindi tenore dalla vocalità variegata tanto che il recitativo che precede "Quando le sere al placido" , proprio nelle frasi "Ma dunque i giuri, le speranze, la gloria, le lagrime, l'affanno!" è un caso di imitazione delle inflessioni e del ritmo della parola parlata.
A mio modesto avviso Alvarez non è lontano dal tentativo di esprimere questa vocalità colta in mezzo al guado, non così monocorde come quella di Stiffelio, ma già orientata alla completezza del disegno intellettuale del tenore verdiano la cui prima concezione felice, come viene definita, fu quella per cui "il mito della voce che canta l'amore, diviene il mito della voce che seduce". Duca di Mantova.
In ogni caso, ascoltare una voce ed emozionarsi, non vuol dire solo commuoversi. C'è un gioco meno sottile, o più sottile che coinvolge anche lo stato d'animo delle persone che ascoltano, e la musica, il suono, ricondotto nell'alveo della storia della vocalità verdiana, deborda, supera gli steccati, viene porto con stile che può non piacere, ancorchè privo di grazia. O non totalmente perchè proprio nella Luisa differisce nel taglio dei brani cantati. Vocalità mista? Direi proprio di si.
In ogni caso questa è un'argomentazione che non vuole essere un ipse dixit. Anzi: torno a considerarmi un appassionato dilettante, dalle modeste origini e di scarsa cultura. (Non sto chiosando).
Quando affermo che recarsi all'ascolto, anche teatrale, con nella mente e nelle orecchie i suoni del passato, proprio nel caso Caballè, propongo uno sforzo che dovetti compiere per poter apprezzare e dire qualcosa su altre interpreti che eseguivano piani, pianissimi, messe di voce, filati ed agilità, che legavano con sforzo, cercando di cancellare quel che la Montserrat aveva proposto, narcotizzando per vent'anni il pubblico di tutto il mondo.
Ed io stesso, innamorato perdutamente dal primo ascolto di "Casta diva".
Ora con tutto il rispetto per i testi sacri e per quel che scrive Bagnoli al termine del suo editoriale, tutto può essere bello da ascoltare " a patto, però, di non considerare tale universo come l’unica soluzione storicamente possibile". Frase che vale per tutti e per tutto. Non solo per la "Flagstad che tenta di imporre alla musica di Purcell un universo che non le è mai appartenuto se non per transizione".
Mi consento ancora un poco di spazio per affermare che i miei interventi su JDF e la Caballè, tranne che per quest'ultima interprete, non attengono la sfera di un coinvolgimento emotivo. Mi sforzo di capire e di far comprendere, con un concorso dialettico che abbraccia anche gli aspetti tecnici, ma che non trascurano quelli puramente teatrali, sovente vissuti in prima persona, anche dietro le quinte. Rispettando le opinioni ed i gusti, salvo quelle che partono da pregiudizi, a prescindere. (Sui gusti non si discute).