L'assenza di Esa-Pekka Salonen dal podio della Filarmonica della Scala ha riportato - ed è molto riduttivo parlare di "sostituzione" - Daniel Harding alla guida dell'orchestra, dopo la recente, splendida apparizione. E Harding ha fatto di nuovo "centro", con una meravigliosa lettura del Sacre du Printemps, letteralmente vivisezionato dal maestro inglese. E' un Sacre nel quale la violenza fonica, che tradizionalmente gli s'associa, c'è ma non è mai di prima mano, anzi è come messa fra parentesi a favore d'un clima di "mistero del rito" cui Harding perviene giocando da maestro sul colore, sulla sinuosità di certe frasi (memorabili i "cerchi degli adolescenti"), sulle pause. Ci sono, in questa lettura del Sacre, silenzi impressionanti. E perfino l'accordo conclusivo, trattenutissimo, risuona come un punto di domanda. Poi, certo, c'è - eccome! - la componente ritmica: formidabile, anche nella ricchezza delle dinamiche, l'uso delle percussioni. Ma il "clima" è più misterioso che violento. E c'è un gioco di tinte che stacca e distingue nettamente questa lettura dalla ben nota "linea" Boulez-Salonen. L'interprete Harding ci dà un Sacre alternativo, ma altrettanto affascinante.
Ottimo, nella prima parte, anche l'esito del Concerto in re min per pianoforte e orchestra di Brahms. Harding dimostra di saper anche "impaginare" interpretativamente i suoi programmi. In un concerto tradizionalemente "muscolare", fa prevalere l'aspetto crepuscolare, il gioco di tinte, la nota "intima" sempre presente in Brahms, anche qui. Nella loro recente incisione, anche Thielemann e Pollini avevano posto in rilievo l'apsetto lirico più che quello monumentale. Harding gioca sul chiaro-scuro, in una serata di musica nella quale il "mistero" sembra il filo conduttore. L'ottimo Lars Vogt, al piano, con il suo suono tendenzialmente "scultoreo" più che "pittorico" non è esattamente ideale ad una visione di questo tipo, ma è musicista intelligente e trova un dialogo affascinante con l'orchestra di Harding, una Filarmonica chiaramente affiatata con il direttore e da lui avvinta. Le esecuzioni sono di livello, salvo qualche consueta incertezza dei corni, peraltro alternata a pregevolezze strumentali. Ad ogni apparizione, Harding si conferma una presenza preziosa nell'attuale "panorama" scaligero.
Meno entusiasmante (ma questo è un altro, vecchio discorso) il catatonico, tossicchiante, trillante (cellularizzato) pubblico della Filarmonica, al quale un'orchestra e un gran direttore o un banco dell'Unicredit sembrano suscitare la stessa emozione (forse, anzi, il banco li eccita di più...).
marco vizzardelli