Les Contes d'Hoffmann (Offenbach)

recensioni e commenti di spettacoli visti dal vivo

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Les Contes d'Hoffmann (Offenbach)

Messaggioda Maugham » mar 01 nov 2011, 21:38

MONACO DI BAVIERA 2011
(Jones, Damrau, Villazon)


Ecco il trailer della prima di ieri sera.
Ci saremo prossimamente. : WohoW :


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Re: Hoffmann - Monaco - Jones - Damrau - Villazon

Messaggioda MatMarazzi » mer 02 nov 2011, 15:57

Maugham ha scritto:Ecco il trailer della prima di ieri sera.
Ci saremo prossimamente. : WohoW :


WSM


La mano del genio si intravede anche da questi frammenti.
Grazie,
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Re: Hoffmann - Monaco - Jones - Damrau - Villazon

Messaggioda Riccardo » mer 02 nov 2011, 17:30

Ich habe eine italienische Technik von meiner Mutter bekommen.
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Re: Hoffmann - Monaco - Jones - Damrau - Villazon

Messaggioda capriccio » mer 09 nov 2011, 1:29

Il melomane della domenica si è concesso 3 premiere(ma non di domenica!) e una prima importante di una ripresa.
La prima è stata la Donna del Lago, su cui ha scritto già tutto e alla perfezione il solito Beckmesser(complimenti!), aggiungerei che non ho molto apprezzato Osborne la cui voce era assai sgradevole al mio ascolto, faticava in ogni parte del registro tonale, come se fosse affetto da laringotracheite,assai sorpreso in quanto altre volte lo sentii e mi piacque molto. Concordo altresì con Marazzi sul mio amatissimo Florez, per come si muove e si presenta in scena: non è sicuramente un'attore-cantante eclettico,ignora la drammaturgia, è sempre uguale a se stesso( se vogliamo, anche Kauffman è piuttosto monocorde con quella faccia sofferente e stuporosa)
La seconda, il 31-10 a Monaco, per Contes d'Hoffmann spinto lì per 2 motivi, Jones e Damrau. Jones ha realizzato uno spettacolo bellissimo, inconfondibile(credo sia forse l'unico fra i grandi registi attuali che marka in maniera così evidente ogni suo spettacolo con la sua specificità e sensibilità d'artista), dalla solita tinta verdina dominante, assai divertente in vari momenti e un grande lavoro sugli attori-cantanti dai più importanti a quelli d'appoggio. Però, però alla fine senti che manca qualcosa, qualcosa che avresti voluto in scena, ma non l'hai visto. Poi, poi ripensandoci ciò che è davvero mancata è stata probabilmente quella (necessaria in un'opera del genere) atmosfera sulfurea, ambigua e perversa che tanto caratterizzava il meraviglioso Hoffmann di Pie a Ginevra. Musicalmente eccezionale la Damrau come mai l'avevo sentita, perfetta in tutti i ruoli. Bravo Relyea nei ruoli luciferini. Villazon, meglio che in Don Ottavio a Baden Baden, ma oramai è l'ombra del meraviglioso tenore di Traviata a Salzburg e Carmen a Berlino: è come se tra il pubblico e la sua voce ci fosse un velo(tipo effetto aereo). Male il Direttore Carydis,fracassone e con una lettura assai superficiale ( ma ormai ciò è sempre più frequente).
La terza a Zurigo per L'Otello: è stato un Otello imperfetto, ma grande quello diretto da Gatti e assai ben ambientato senza destrutturazioni in Afghanistan da Vick!Immagino che tutti capiranno dove Vick voleva parare!Ma il suo lavoro di introspezione psicologica sui 5 personaggi è stato magistrale davvero!! La direzione di Gatti si caratterizzava, come solito, per una lettura assai profonda e ispirata della partitura verdiana con tempi a volte dilatati per far risaltare il minimo dettaglio(come piace a me), così come fece nel suo Parsifal sempre qui e che tanto ho apprezzato. Brava la Cedolins specie nel III e IV atto(perfetto il lavoro fra lei e Gatti,dove è protagonista assoluta), bravo,come sempre, Hampson al suo debutto in Iago. Doveva esserci Seiffert come Otello, ma ha dato forfait per le prime 8 rapprsentazioni, per cui sostituito da Cura, che in contemporanea era anche nella Fanciulla del West. Temevo assai, viste le ultime sue prove,ma si è difeso assai bene, senza però farci mancare certi suoi versacci che comunque fa da una vita. Sì un bell'Otello.
La IV premiere, si fa per dire, è la prima delle 3 rappresentazioni,previste per una ripresa del Don Giovanni di Bechtholf,che la grande A.Netrebko fa a Zurigo prima del gran debutto in Scala, come Donna Anna. Quel bellissimo Don Giovanni di Salisburgo di 10 o 9 anni fa in cui debuttava una giovine cantante russa sconosciuta ai più, bellissima, fisico da pin up, che colpì in maniera indelebile tutto il pubblico internazionale. Dopo, come tutti sanno, la sua carriera è stata un continuo crescendo, con il sensazionale exploit di Violetta in quel meraviglioso allestimento di Decker e quindi i ruoli belcantistici dei primi decenni ottocenteschi e non fino a diventare da anni la più acclamata. Orbene grande la mia e altrui attesa in quel ruolo che credo dopo Salzburg non fece più. Devo dire che non mi ha convinto del tutto e sono rimasto un pò deluso: la sua voce attuale sempre bellissima (grande a Vienna fu in Anna Bolena) con acuti ancora integri e saldi mal s'accorda, al mio orecchio, con la vocalità di Donna Anna, non so come ,ma sentirla adesso in quel ruolo, che tanto amo, non mi ammalia più come fece allora a Salzburg e come fa adesso nei suoi ruoli ora abituali. Forse non ha più la voce"mozartiana" o non ha più l'allure? Sentiremo fra 1 mese se è solo un'impressione momentanea. Certo che a Zurigo, dove si respirava l'aria delle grandi occasioni, il pubblico ha sì applaudito, ma in modo assai composto, con poche ovazioni.
Cordialmente e buona visione e ascolto a Tutti! Cap.
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Re: Hoffmann - Monaco - Jones - Damrau - Villazon

Messaggioda beckmesser » lun 14 nov 2011, 0:35

E' uno strano destino, quello dei Contes di Offenbach... Fino a qualche decennio fa erano considerati un'operina deliziosa, un simpatico ninnolo di bigiotteria musicale, di altissima fattura certo, ma non degno di entrare fra i veri gioielli del repertorio. Negli ultimi tempi ci si è invece progressivamente accorti di quale vertiginosa complessità si annidi dietro quelle facili melodie, e di come quella strana opera sia uno snodo essenziale nello sviluppo del genere, dove tutte le principali tematiche di fine '800 convergono e vengono riassunte in una sintesi straordinaria, pronte a diventare la base da cui nasceranno molti degli spunti principali del '900. Le ragioni del cambiamento di prospettiva sta anche nel fatto che, finalmente, si è capito quale struttura Offenbach aveva voluto per il suo capolavoro. Troppo lungo sarebbe ripercorrere le incredibili vicissitudini testuali che quest'opera ha subito, ma è chiaro che (a parte l'essenziale reinserimento del personaggio della Musa), il problema principale è l'atto di Giulietta. La versione tradizionale soffriva di quello che si può definire un effetto soufflé: la tensione cresceva spasmodica nei primi tre atti, ma il soufflé si sgonfiava nel quarto, che non aveva una struttura sufficientemente complessa e sviluppata per fungere da acme e preparare alla catarsi dell'epilogo. Ora sappiamo che quell'errore non era da attribuirsi a Offenbach che, da quel geniale uomo di teatro che era, aveva fatto dell'atto veneziano il culmine strutturale e poetico dell'opera, e di Giulietta non una semplice e innocua “cortigiana”, ma una prefigurazione straordinaria di quella figura di “belle dame sans merci” che diventerà emblematica dell'operismo del primo '900, e che porterà fino a Lulu. Solo passando da lì la catarsi di Hoffmann può compiersi e il soufflé drammaturgico rimanere ben gonfio. Anche dal punto di vista musicale quell'atto diventa il più complesso dei cinque, strutturandosi su due grandi pezzi d'assieme: la scena delle carte e quell'incredibile finale che, di recente riemerso, rappresenta nel suo parossismo e nella sua tragicità (mai disgiunti da guizzi di rovente sarcasmo) uno dei brani più straordinari di tutto Offenbach, e che è un delitto non sia possibile ascoltare in nessuna registrazione in commercio.

Sarebbe bello poter dire che a Monaco tutto ciò è stato capito, ma ahimè così non è, e si deve tornare a quanto detto sulla Médée di Warlikowski. E' stato chiamato un tizio con l'incarico di riscrivere l'intreccio ed i dialoghi del quart'atto, inventandosi una soluzione su cui è inutile dilungarsi, dato che tanto morrà sul palcoscenico dove è nata, ma di cui basta dire che, nella sua eccessiva semplificazione sia drammaturgica che musicale, torna all'effetto soufflé della vecchia edizione Choudens. Non so se l'idea è stata di Jones ma, se così fosse, ma gliene incolse, dato che il suo spettacolo si mantiene sui soliti livelli vertiginosi nei primi tre atti, ma poi perde quota: il soufflé si sgonfia ancora...

Ancora una volta, Jones spiazza fin dall'assunto di base: i Contes non sono la storia di un artista alla ricerca di se stesso, ma la lotta di uomo che combatte con le sue fantasie, le quali nella sua mente si confondono pericolosamente con la realtà in un caos che lo tiene sempre al limite della follia. Tutti i personaggi, fin dal prologo, sono frutti della sua fantasia: Nicklausse è il se stesso rimasto bambino, Lindorf è l'uomo nero cui si imputano tutti i propri fallimenti, gli amici prendono vita da una vecchia foto appesa ad una parete. E, le tre donne, sono le tappe di una formazione sentimentale, gli archetipi femminili che ogni uomo si costruisce nelle diverse fasi della propria vita. Nell'atto di Olympia siamo all'epoca della prima adolescenza di Hoffmann (vestito con pantaloncini corti e fare imbranato) e la bambola (una vera Barbie biondissima e patinatissima) è il primo ideale erotico di, appunto, un adolescente: idealizzata, irraggiungibile e, come sempre avviene, deludente una volta raggiunta, nel suo dimostrarsi nulla più di un “automate”. Antonia è il grande amore impossibile di una vita, quello che può esistere solo come rimpianto: una ragazza a sua volta incapace di distinguere fantasia e realtà (la carriera artistica, gli incubi di Miracle, tutto è frutto della sua fantasia), e che quindi si prefigura come ideale anima gemella... Giulietta sarebbe la cortigiana in grado di risvegliare i sensi di un uomo che ormai tutto ha provato: dico sarebbe perché, se l'intenzione è chiara, la “polpa” dell'atto, cosi come riscritto, non consente che la realizzazione sia consona alle intenzioni. Nel finale, sulle note dell'apotheose, tutti i personaggi rientrano in scena, nella mansarda di Hoffmann, e gli si stringono intorno intorno minacciosi: la lotta sembra perduta, e il protagonista resterà prigioniero della sua fantasia. Una lettura, come detto, straordinaria nei primi tre atti, meno convincente negli ultimi due.

Dal punto di vista musicale, zeppa mortale è la direzione d'orchestra: non conosco la storia di questo Carydis, ma questo repertorio proprio non fa per lui: una lettura chiassosa, rigida, schizofrenica nei tempi, tutta un brusco scalare di marce fra accelerazioni improvvise e letargici rallentamenti. Villazon temo non abbia imparato nulla dai suoi recenti guai: canta come ha sempre fatto, sempre al limite delle sue possibilità, ma con una voce che ormai si è fatta più indocile e velata. Certo, alla fine convince comunque, tanta è la sincerità e la generosità con cui si butta nella mischia, ma se continua così temo che gli stessi problemi si ripresenteranno presto... Relyea dona ai quattro “diavoli” un fenomenale talento di attore, ma una voce ruvida e greve che mal si addice a quel repertorio (ma poi, dico, perché riesumare la vecchia “Scintille diamant”? oltre ad essere del tutto incongrua, richiede un legato ed una gestione dei fiati da vocalista fuoriclasse, e qui la si affida ad un cantante che non riesce a legare due note manco per sbaglio? Mah...). Trionfatrice della serata, la Damrau: strepitosa nel reggere le quattro personificazioni (tre, in verità, dato che qui Stella non canta), sicura dalla prima all'ultima nota. Se non riesce a superare il ricordo della giovane Dessay come Olympia, come Giulietta dimostra che avrebbe capito perfettamente l'importanza e la sottigliezza del personaggio ma, ancora una volta, la versione scelta non le consente di realizzarlo in pieno; ma, come Antonia, si piazza ai vertici della classifica di quel ruolo, creando un personaggio indimenticabile nel suo oscillare fra follia e voglia di normalità.

Uscito da teatro, mi sono reso conto che persino uno spettacolo cosi geniale e rivoluzionario alla fine dava l'impressione di esser solo riuscito a sfiorare l'essenza di quest'opera sfuggente e misteriosa, cosa che, per quel che mi riguarda, mi ha confermato nella convinzione di essere di fronte ad uno dei capolavori assoluti dell'opera e della cultura occidentale, una di quelle sfingi (come Don Giovanni, come Carmen) di cui non sarà mai possibile venire a capo. Per fortuna...

Ed ora, la parola a Maugham...

Saluti, Beck.
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Re: Hoffmann - Monaco - Jones - Damrau - Villazon

Messaggioda pbagnoli » lun 14 nov 2011, 18:59

beckmesser ha scritto: il problema principale è l'atto di Giulietta. La versione tradizionale soffriva di quello che si può definire un effetto soufflé: la tensione cresceva spasmodica nei primi tre atti, ma il soufflé si sgonfiava nel quarto, che non aveva una struttura sufficientemente complessa e sviluppata per fungere da acme e preparare alla catarsi dell'epilogo.
(...)
Sarebbe bello poter dire che a Monaco tutto ciò è stato capito, ma ahimè così non è...torna all'effetto soufflé della vecchia edizione Choudens. Non so se l'idea è stata di Jones ma, se così fosse, ma gliene incolse, dato che il suo spettacolo si mantiene sui soliti livelli vertiginosi nei primi tre atti, ma poi perde quota: il soufflé si sgonfia ancora...

(...) come Giulietta dimostra che avrebbe capito perfettamente l'importanza e la sottigliezza del personaggio ma, ancora una volta, la versione scelta non le consente di realizzarlo in pieno; ma, come Antonia, si piazza ai vertici della classifica di quel ruolo, creando un personaggio indimenticabile nel suo oscillare fra follia e voglia di normalità.

Ciao Beck.
Innanzitutto grazie della splendida relazione sullo spettacolo: sei teatralissimo!
Rimango basito da quello che dici sull'atto di Giulietta! Ho capito bene? Una Choudens? Quindi niente aria virtuosistica per Juliette! Il che, disponendo di una Damrau, mi sembra una follia bell'e buona!
Ma perché, santa pace, ci si deve fossilizzare su queste robe da Metropolitan, a condurre battaglie da retroguardia culturale?
Giuro: non capisco, veramente!
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: Hoffmann - Monaco - Jones - Damrau - Villazon

Messaggioda Maugham » lun 14 nov 2011, 19:17

beckmesser ha scritto:Ed ora, la parola a Maugham...


Beck, ti ringrazio di aver rotto il ghiaccio. Ti assicuro (e assicuro anche gli altri della banda) che di fronte a uno spettacolo così epocale (che cresce nella mia testa man mano che passa il tempo) non sapevo da dove cominciare.
Veniamo quindi alle tue perplessità.

Sarebbe bello poter dire che a Monaco tutto ciò è stato capito, ma ahimè così non è, e si deve tornare a quanto detto sulla Médée di Warlikowski. E' stato chiamato un tizio con l'incarico di riscrivere l'intreccio ed i dialoghi del quart'atto, inventandosi una soluzione su cui è inutile dilungarsi, dato che tanto morrà sul palcoscenico dove è nata, ma di cui basta dire che, nella sua eccessiva semplificazione sia drammaturgica che musicale, torna all'effetto soufflé della vecchia edizione Choudens. Non so se l'idea è stata di Jones ma, se così fosse, ma gliene incolse, dato che il suo spettacolo si mantiene sui soliti livelli vertiginosi nei primi tre atti, ma poi perde quota: il soufflé si sgonfia ancora...


Quello che dici non solo è condivisibile ma è anche vero.
Non a caso nel primo intervallo -sebbene travolti dall'entusiasmo per un prologo e un primo atto così straordinari- avevamo sentito un po'... di puzza di bruciato.
La soppressione del personaggio e della scena di Andrès per giustificare, semplifico, che "tutto" avviene nella mente di Hoffmann mi è sembrata la classica scorciatoia cui Jones non aveva mai ceduto. Tu hai obiettato che si trattava, dopotutto, di un taglio e non di una riscrittura. E io ho convenuto.
Nel finale invece, non si scappa, Jones si è macchiato di una colpa a mio parere ancora più grave di quella di Warlikowski nella Médée.
Se il polacco ha riscritto i dialoghi per attualizzare la vicenda, l'inglese invece si è inventato di sana pianta un finale che non esiste. :shock:
Ha recuperato la chiusa della commedia in prosa del 1851(dove Giulietta viene avvelenata per errore), ha scritto o fatto scrivere ex novo delle battute di dialogo e le ha accompagnate riarrangiando il tema di "Scintille diamant", pezzo tra l'altro nemmeno di Offenbach. E se questa scelta poteva essere deprecabile quarant'anni fa (anche Bonynge si muove in un terreno simile) nel 2011 è madornale. Perchè adesso il finale dell'atto di Giulietta come "lo voleva" Offenbach ce l'abbiamo, allora no.
Detto questo devo dire che lo sgonfiamento del soufflè io non l'ho sentito.
Sono caduto dentro questo finale al di là di ogni scelta testuale che, ripeto, in questo caso era davvero irritante. Così come sono precipitato dentro questo spettacolo che annovero tra i più emozionanti cui abbia assistito.
Non solo Jones è stato ai massimi livelli per invenzioni, senso del racconto, capacità di creare organismi drammaturgici complessi ma mai complicati, spalancare baratri di significato dove altri sono passati oltre, ma tutto questo ti arrivava senza farti perdere neanche una nota, una frase, un dettaglio musicale. Anzi, musiche apparentemente banali diventano significanti come in nessun altro allestimento di Hoffmann da me visto. Confrontare questo Jones con i cataplasmi espressionisti di Py (vecchi come il cucco) o con le atmosfere alla von Trier di Erlo è come parlare di Kleiber tirando in ballo Nello Santi.
Ma questi sono stati anche i racconti della Damrau.
Se mai si aspettava una consacrazione ufficiale di questa cantante fuori dagli steccati del soprano di coloratura, questi Racconti ne sono la prova.
Adesso Diana Damrau è una superstar, pronta per affrontare prove temibili come Violetta, Elsa, Manon. Animale da palcoscenico come ce ne sono pochi, la Damrau spiazza la concorrenza nella micidiale prova del triplice ruolo. E, sorpresa, ha sconvolto la platea con Antonia, proprio il ruolo che, sulla carta, poteva suscitare le maggiori perplessità. Un fenomeno.
Villazon.... Villazon. Cosa dire? A Monaco stravedono per lui, è venuto giù il teatro, mezza platea faceva gli ululati e le standing ovation. Io dico solo che lo stai a sentire ma è ridotto l'ombra di se stesso, anche se il mio parere vale per quello che vale poichè l'ho sentito dal vivo (quando era in forma) solo in Traviata. Si butta anima e corpo sulla parte, ci lotta, tira calci e pugni nelle frasi più ostiche (che in quest'opera sono tremende e tante), sparisce nel terzetto dell'atto di Antonia, cala di brutto nella sezione centrale di Kleinzach ma non riesci a fare a meno di star lì, inchiodato, tanta è la verità che ti trasmette. Penso che questo fosse anche il segreto di Di Stefano che i dischi possono documentare solo in parte.
Riguardo a Relyea e al bombardone Caridys rimando a quanto scritto da Beck.

Purtroppo Arté ha cancellato la prevista diretta di lunedì prossimo ma dovrebbero (dovrebbero) darla in differita. Al suo posto trasmettono la Carmen dalla Scala della Dante. 8)

Monaco... un freddo cane; Beckmesser era vestito leggerino mentre io ero bardato come Armaduk. :(

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Re: Hoffmann - Monaco - Jones - Damrau - Villazon

Messaggioda Maugham » lun 14 nov 2011, 19:26

pbagnoli ha scritto:Quindi niente aria virtuosistica per Juliette! Il che, disponendo di una Damrau, mi sembra una follia bell'e buona!


Frena, frena. La Damrau ha cantato "L'amour lui dit, la belle" in una versione, mi pare, più semplice e, forse, più bassa di quella della Sumi Jo dell'edizione Nagano, ma l'ha cantata eccome! Con tanto di sovracuti a mitraglia.
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Re: Hoffmann - Monaco - Jones - Damrau - Villazon

Messaggioda beckmesser » mar 15 nov 2011, 0:02

pbagnoli ha scritto:Rimango basito da quello che dici sull'atto di Giulietta! Ho capito bene? Una Choudens?


No, no, intendevo dire che è stata approntata una nuova versione che ha lo stesso problema della vecchia Choudens: non c'è abbastanza "polpa" per far lievitare l'atto, che non arriva a generare una tensione teatrale sufficiente a preparare la catarsi dell'epilogo. Dapertutto canta (malissimo) la vecchia e assurda "Scintille, diamant", poi c'è l'aria di Giulietta (in quella che deve essere la versione preliminare, più lunga ma meno virtuosistica), ma avulsa dalla scena delle carte, che si riduce al coretto iniziale e non sfocia nel primo duettino Hoffmann-Giulietta: primo errore, dato che ci priva della prima scena di seduzione, che instaura le basi del rapporto fra i due personaggi. Viene ripensata la scena dell'uccisione di Schlemil, prevedendo che Hoffmann lo uccida per errore mentre cerca di difendersi da un attacco a sorpresa di quest'ultimo: altro errore madornale, dato che evita il progressivo abbruttimento morale del protagonista, essenziale invece per la catarsi finale. Infine si recupera la versione del testo in prosa in cui Giulietta si avvelena per errore, durante un mélodrame basato su una rielaborazione del tema di "Scintille, diamant", che non si capisce chi abbia scritto (di certo non Offenbach né Guiraud, dato che l'idea di usare il tema dell'ouverture del Voyage dans la lune come aria di Dapertutto venne attuata solo agli inizi del '900): terzo errore fatale, dato che chiude l'atto su un rarefatto pianissimo anziché nel parossismo furibondo del finale originale, che così magnificamente chiude gli atti "narrativi" e prepara all'epilogo.

Un'insensatezza: ormai l'opera è stata ricostruita al livello più preciso possibile, e quella è l'edizione che deve essere eseguita se si vogliono rappresentare i Contes di Offenbach. Al limite, se proprio si vuole rendere un omaggio alla "tradizione" e non si hanno molti soldi a disposizione, si esegua l'edizione Choudens così com'è, che è bruttina (almeno nei due ultimi atti) e ha poco a che fare con Offenbach, ma si è guadagnata uno suo posto nella storia. Ma i tempi delle libere rielaborazioni è finito, e questo costante inventarsi soluzioni alternative, se in passato poteva essere un modo per cercare di superare i limiti della versione di tradizione, ormai sta scandendo nella vuota esibizione dell'ego di questo o quel regista.

Saluti,

Beck
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Re: Hoffmann - Monaco - Jones - Damrau - Villazon

Messaggioda Enrico » mar 15 nov 2011, 0:17

Qualche volta, anche in piccoli concerti provinciali, alcuni direttori rielaborano o riarrangiano o riorchestrano per avere qualche guadagno in più con i diritti d'autore (che la Siae riconosce, se non sbaglio, in base alla "percentuale" di rielaborazione in confronto col testo originale: succede anche con le "variazioni su...", "fantasie da..."). Spero che non avvenga lo stesso con le regie, ma forse sì: chi riscrive un testo diventa a tutti gli effetti un autore teatrale e probabilmente ha anche diritto a una percentuale di compenso. Ma spero che i grandi registi nei grandi teatri non debbano ricorrere a simili stratagemmi per arrotondare gli incassi!
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Re: Hoffmann - Monaco - Jones - Damrau - Villazon

Messaggioda capriccio » dom 20 nov 2011, 18:14

Complimenti,per l'ennesima volta, caro Beckmesser,
sono totalmente d'accordo con te!
Scrivi da Dio, le tue argomentazioni sono di una precisione millimetrica,sei chiaro e limpido come l'acqua della roccia più elevata: pochi fronzoli e inutili svolazzamenti autocompiaciuti!
Sei tu la vera Ricchezza, Tesoro, il vero PRINCIPE di questo Forum!
Con tanta reverenza, gratitudine!
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Messaggioda vivelaboheme » mer 25 gen 2012, 17:01

Ora si comprende appieno il progetto di questo inizio di stagione scaligera. Offrire, uno dopo l'altro, lo spettacolo-figlia (Don Giovanni) e lo spettacolo-madre (i Racconti). Potervi assistere in successione a distanza di pochi giorni è realmente emozionante.
E lo spettacolo-madre, la messa in scena dei Racconti, è una delle più geniali fra le tante splendide di Carsen e, direi senza paura di esagerare, un riferimento nella storia della regia d'opera.
La realizzazione scenica del personaggio di Olympia, irresistibile, della taverna che nasce dal nulla, della ballata di Kleinzack; Il teatro nel teatro del second'atto (ripreso in Don Giovanni, certo: ma esattamente questo era lo scopo!), che, fra l'altro, si gode appieno dal loggione con la possibilità di vedere l'orchestra "vera" e quella in scena; la strepitosa "platea fluttuante" al suono della Barcarola; il finale, con quella sciabolata di luce, nel buio, sui due personaggi. Sono solo alcune delle immagini di uno spettacolo che resta nel cuore e nella memoria dello spettatore come uno di quelli che "contano", in una vita.
Non serve neppure lanciarsi in chissà quali esegesi critiche. E' uno spettacolo che "parla", con la sua dirompente forza scenica e di immagine. Ho trovato molto professionale, pur priva del lampo di genio del vero interprete, la direzione di Letonja (salvo una certa tendenza al suono forte, talora al di sopra delle voci) e l'intera compagnia è perfettamente funzionale allo scopo. Che un Vargas-Hoffmann non abbia (non li ha mai avuti, la sua forza è altra) acuti roboanti schianta-loggione è irrilevante a fronte della bellezza del timbro, della grazia del porgere. E, davvero, non mi va , in questo caso, di sottilizzare sulle singole prove d'una compagnia che è vincente per la sua compattezza e l'adesione piena al progetto teatrale. Ho, fra l'altro, parlato con Vargas a fine recita, e mi confermava la sua stessa emozione ed intima soddisfazione di trovarsi immerso e partecipe d'una tal realizzazione "è emozionante essere in scena in uno spettacolo come questo". Ed è emozionante assistervi.

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Re: Racconti di Hoffmann-Scala

Messaggioda MatMarazzi » sab 28 gen 2012, 13:48

Grazie Marco dell'appassionato resoconto!
Quei Contes sono davvero travolgenti; non ho visto la ripresa scaligera, ma ebbi la fortuna di vedere lo spettacolo praticamente quando nacque alla Bastille (per il cui spazio gigantesco era stato concepito).
E' stato veramente uno degli spettacoli più immediatamente coinvolgenti di Carsen.
Recentemente ho visto (purtroppo solo in DVD) l'allestimento di Jones a Monaco, che tanto entusiasmo (e qualche perplessità) aveva suscitato nei nostri due piccioni viaggiatori Maugham e Beckmesser. Jones è sempre un passettino più in là, mi pare, nella proposizione di verità sconcertanti dietro la patina del gioco, ma in questo caso il puro divertimento teatrale, la gioia di creare immagini sulla musica di Carsen ha avuto - secondo me - partita vinta.
Non so se l'accostamento di questi Comtes al Don Giovanni (che peraltro doveva essere un'altra opera originariamente) fosse voluto, ma certo l'effetto è proprio come tu l'hai descritto.
Un cammino attraverso un tema particolarmente sentito, anno dopo anno.

Grazie mille e salutoni,
Matteo Marazzi
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Re: Racconti di Hoffmann-Scala

Messaggioda capriccio » sab 28 gen 2012, 19:26

BRAVO' MarcusViz!! anche dal Melomane della Domenica, che ha assistito, naturalmente Domenica 15-01, alla Premiere di Hoffmann. Complimenti per il suo intervento perfetto ed equilibrato, come raramente capita leggere e complimenti,altresì, per i suoi ultimi commenti.
Avrei voluto intervenire prima di Matteo, a cui voglio sinceramente bene(ma lui non ci crederà, essendo sempre molto acido e troppo serio con me!), ma non ce l'ho fatta. Ma perchè? Perchè in 40 giorni ho assistito a 3 Capolavori Assoluti di quello straordinario regista che porta il nome di R.Carsen: prima il Memorabile Don Giovanni, di cui Carsen, parlando con lui nell'intervallo di Hoffmann, in platea(ero seduto nella stessa fila a 4 posti da lui; sì era in platea a vedere il suo spettacolo e non nel backstage!)ha condiviso la mia interpretazione(già espressa in questa sede), affermando che la critica italiana gli è sembrata un pò molto limitata nell'inquadrare e/o interpretare uno spettacolo lirico. Poi questi Racconti Geniali ed Epocali(per usare un termine tanto caro al vostro Billy): sì epocali questi e non certo i Raccontini di Jones, tanto carini e e anticonformisti, ma ben poco coinvolgenti con cast e direzione mediocri, tranne la Damrau, salutata alla fine dei Contes milanesi, venuta per il marito Sclemil. Sapevo che Matteo avrebbe citato Jones, definito un passettino più in là nel proporre verità sconcertanti, che solo lui in dvd e Billy a teatro hanno visto così come videro bene negli altri "epocali" Meistersingers Gallesi, altro delizioso spettacolo di Jones dalla sempreverde tinta verdino pastellino e zero emozione; si ma io sono un appassionato della domenica e come tale non posso capire certe finezze intellettuali.
No, caro e simpatico(it's true!!) Matteo, le verità sconcertanti, e non fine a se stesse, le sa tirare fuori anche Il Robert internazionale, e non solo in questi citati spettacoli,per di più con maggiore coinvolgimento emotivo, che, ora, mi porta a citare l'altro caposaldo carseniano, l'epocale Kata Kabanova, già vista a Milano e rivista a Strasburgo, sabato 21-01(mi dispiace Bill, non era domenica!). E che dire dei Dialogues, Rosenkavalier,il Ring(ma non in toto),ecc. Sì, a parte qualche caduta parziale( es. Salome, Traviata,), Carsen è sicuramente il più grande di tutti specie per la continuità e costanza. Bisogna saper guardare bene, entrare emotivamente dentro uno spettacolo operistico(fatto sì di regia, ma anche di musica!!) , afferrare degli stimoli, che non puoi cercare a priori e poi trovi solo nel tuo regista preferito!Attenzione a Jones, sì, a Carsen, ma anche ad altri grandi, come Guth(altro genio pressochè costante), Mc Vicar, Py, Loy( di cui mi piace segnalare il suo Così Fan Tutte di Frankfurt, dove con solo 2 pannelli bianchi girevoli e un gran lavoro sugli attori-cantanti, ha realizzato il più bell'allestimento della mia opera preferita in assoluto. Segnalerei altresì il suo Intermezzo viennese!).
Cordialmente.Cap.
capriccio
 
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Re: Racconti di Hoffmann-Scala

Messaggioda MatMarazzi » sab 28 gen 2012, 19:39

capriccio ha scritto:prima il Memorabile Don Giovanni, di cui Carsen, parlando con lui nell'intervallo di Hoffmann, in platea(ero seduto nella stessa fila a 4 posti da lui; sì era in platea a vedere il suo spettacolo e non nel backstage!)ha condiviso la mia interpretazione(già espressa in questa sede), affermando che la critica italiana gli è sembrata un pò molto limitata nell'inquadrare e/o interpretare uno spettacolo lirico. .


...Be' se è per questo io oggi pomeriggio sono andato a far shopping con Carsen (cercavamo tutti e due una spina multipla con ingresso grande) e non solo mi ha detto che nemmeno lui capisce le sue regie tanto bene come quando gliele spiego io, ma mi ha pure raccontato di essere stato "bottonato" qualche giorno fa da uno strano tipo in platea alla Scala...
"Se ne incontrano tanti all'opera", l'ho rassicurato...

salutoni,
Mat
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