da pbagnoli » mer 18 apr 2007, 18:19
Non so risponderti ma, sapendo come di solito si muovono in Italia per queste circostanze, non credo che si farà granché. Forse a Recanati, per ovvi motivi; ma a livello nazionale, dubito assai.
E poi, siamo sinceri: un po' il ricordo è sbiadito, e non potrebbe essere altrimenti, tanto più in un Paese come il nostro che ha poca memoria per questo tipo di personaggi. Da un lato, forse, è giusto così: passeremmo il tempo a celebrare memorie. Dall'altro, come giustamente mi sembri voler sottolineare, è sicuramente un peccato. Però, mentre certi personaggi hanno fatto sì che il loro ricordo rimanesse sempre vivido nelle menti non solo degli appassionati, ma anche degli - chiamiamoli così - agnostici (e mi riferisco ovviamente a personaggi della portata di Maria Callas), certi altri appaiono ormai inevitabilmente demodé, per tutta una serie di motivi che prescindono anche da aspetti puramente artistici.
Cercherò di essere più chiaro.
Credo di avere più o meno tutte le sue registrazioni in studio (escludendo le opere integrali, che mi interessano di meno). Il suo fenomeno vocale mi ha sempre interessato per un coinvolgimento cerebrale più che emotivo. Tecnica di emissione di vecchia scuola, con suoni sempre appoggiati sul fiato, acuti luminosi e squillanti (anche se talvolta tendenzialmente falsettistici o al limite del falsettone rinforzato), belle mezzevoci anche se non così estasianti come quelle di Di Stefano ( che lui ascoltò giovane in una audizione; il grande Pippo ricordava che l'algido Beniamino gli fece i complimenti per le mezzevoci salvo poi bisbigliargli: "Figlio di puttana, come fai a farle così?"... ). E poi?...
Ciò che - probabilmente - ha contribuito a far scendere un po' di oblio su questo campione del vocalismo nostrano è stato il coté interpretativo, dal nostro tenuto sempre in non cale.
Sembra un luogo comune quello di dire che Gigli era piantato come un palo in scena ad elargire al colto ed all'inclita le perle della propria ugola divina, ma i dischi - quelle cose meravigliose per cui questo sito è nato ed è orgoglioso di esserci - ce lo raccontano ancora.
L'accento era stereotipato: solare e brillante per le canzoni, languoroso per le situazioni amorose, singhiozzante per quelle drammatiche.
Per essere l'erede di Caruso, che aveva fatto dell'espressività bruciante l'arma con cui aveva invaso le case degli appassionati di tutto il mondo, mi sembra che avesse colto più aspetti epidermici del fenomeno, basandosi sull'oggettiva bellezza del mezzo vocale e tralasciando tutto quello che poteva costituire impegno supplementare.
Ciò che - direi - ha fatto crollare le sue quotazioni presso gli appassionati di tutto il mondo, è stata la naturale evoluzione del canto e dell'interpretazione lirica che ha favorito modelli esecutivi che, in Italia, hanno portato quel vento di rinnovamento che altrove era già moneta corrente: si pensi alla sola area tedesca e zone limitrofe dove, tanto per restare alla voce di tenore, i pressoché coevi Marcel Wittrisch e Helge Rosvaenge hanno prodotto risultati sicuramente molto più proiettati in avanti rispetto al buon Beniamino; ma anche all'area britannica, ove John McCormack ha portato un contributo assai più singolare; e, in Italia, al povero Tito Schipa, pur con mezzi assai meno dotati da Madre Natura.
Credo che, almeno per sommi capi, siano queste le ragioni di un oblio che è progressivamente sceso sulle gesta di questo cantante: splendida voce, ma nessuna vera influenza nell'evoluzione dell'interpretazione.
Il pubblico molto spesso non sa spiegarsene le ragioni, ma di solito premia col ricordo quei personaggi che hanno avuto il coraggio di sparigliare le carte, di proporre cambiamenti, di mettersi in gioco; forse è questa la ragione per cui si ricordano più facilmente i dieci anni di carriera della Callas piuttosto che i quaranta di Gigli...