Caro Ninci,
Mi pare soprendente questo tuo richiamo al rispetto della forma.
Non vedo infatti tanta correttezza nell'alterare consapevolmente la sostanza dei miei discorsi fatti e riportarla in sedi dove sai che non intervengo (per il rispetto che ho di me stesso).
In questa sede, sul forum di Operadisc, io avevo già provveduto a smontare non tanto le tue idee (non mi permetterei), ma piuttosto il tuo tentativo di stravolgere le mie, inscatolandole in pregiudizi hegeliani che non mi appartengono affatto.
Non ci vuole un genio per osservare la complessità e la molteplicità del reale: tutti se ne avvedono, persino tu e persino io.
La differenza sta nel fatto che alcuni, come te, di fronte alla complessità, alzano le braccia al cielo e dichiarano "non è possibile sintesi e sistemazione" (fosse per loro, non esiterebbe alcun tipo di conoscenza umana, visto che tutta la nostra conoscenza si fonda su sintesi e generalizzazioni del molteplice, dalla biologia alla linguistica, dall'astrofisica alla storia dell'arte).
Per fortuna ci sono altri, come me, che invece dicono: è vero, la realtà è complessa, questo non toglie che dobbiamo e possiamo tentare di leggervi delle sintesi, altrimenti tutto resterà per l'uomo inconoscibile.
Queste sintesi non sono assolute, nemmeno dispensatrici di verità (e questo è stato provato persino dalla scienza, con la rivoluzione quantistica) ma sono comuqneu indispensabili alle categorie del nostro pensiero e della nostra conoscenza.
Non che sia facile, intendiamoci, scovare sintesi dal reale. E' molto difficile, molto delicato, molto complesso.
Te lo confermerebbe Galilei!
Più facile, inutile dirlo, alzare gli occhi al cielo e lamentare l'assoluta complessità del reale.
Di fronte alle sintesi che, fra mille cautele, altri hanno avanzato, il personaggio 1 (quello che ha alzato gli occhi al Cielo) cosa fa?
Cerca di smontare le sintesi altrui facendole passare per tentativi di leggi metafisiche.
Accusa l'intelocutore di negare la complessità, di annullare la molteplicità e di voler usare le tendenze da lui individuate per imporre una sorta di controllo sulla realtà.
CHE E' ESATTAMENTE CIO' CONTRO CUI IO COMBATTO DA QUANDO SONO NATO.
Ho cercato alcuni anni fa, con modi estramemente cortesi, di dimostrarti che il partire dalla realtà e trarne generalizzazioni è un procedimento induttivo, taletiano, galileiano; e che nulla ha a che fare con l'atteggiamento opposto di partire dai postulati e principi primi, imporli sul reale e deduttivamente motivare con essi tutte le conseguenze.
Ho cercato di spiegarti che il mio tentativo critico di trovare in un'epoca tendenze dominanti a livello artistico e di pensiero partiva proprio dal mio amore per la multiformità del reale e non viceversa.
Queste sono le esatte parole che scrissi all'epoca.
Né io, nè quanti parlano di Zeitgeist abbiamo mai affermato che gli uomini di una determinata epoca siano come automi, uguali fra loro, inscatolati in tendenze a cui non possono opporsi .
Dire che il proto-cristianesimo abbia plasmato di sè la cultura romano-imperiale (fin nelle rivoluzioni sintaticche della scrittura di Seneca) non vuole dire che tutti i romani dell'Impero fossero Cristiani, nè che avessero assorbito quella cultura.
Lo spirito del tempo nasce proprio da una dialettica ricca, contraddittoria e persino aspra fra ancoraggi e rivolte: da questa dialetteica si forma una sintesi, anzi mille sintesi che a loro volta saranno sintetizzate.
Non ci sarebbe spirito del tempo se non vi fossero in campo le mille visioni individuali dei singoli uomini, che si raggrumano in "visioni condivise" fra le quali si fanno largo quelle dominanti, identificiative di un secolo, di una regione, di una comunità..
Spesso (quando nel forum parliamo di queste cose) faccio il paragone con la lingua parlata.
Ognuno di noi parla l'italiano in modo diverso; ognuno trasferisce sulla sintassi e sul lessico una parte grande del proprio mondo interiore, della sua cultura, delle sue esperienze, persino della sua personalità.
Sia pure attraverso sfumature impercettibili, ognuno di noi contribuisce a confermare o modificare l'asse semantico di una parola.
Eppure nessuno di noi incarna individualmente "la lingua italiana del nostro tempo".
Essa non è questione di individui, ma di masse, o per lo meno di "maggioranze", di comunità vaste e vastissima, ed è estrapolabile dalle tendenze più comuni, fossero anche "errori".
Fra cinquecento anni, gli studiosi della lingua non si scandalizzeranno più perché nel 2009 i conduttori televisivi sbagliavano il congiuntivo: vi scorgeranno probabilmente, la prova del lungo logorio del congiuntivo alla nostra epoca e rifletteranno sulle ragioni di questa evoluzione linguistica.
Al contrario, il fatto che singoli individui come me e te (si spera) non sbagliassero a coniugarlo non interesserà a nessuno.
Al più ci qualificheranno come le normali "resistenze" di fronte a qualsiasi evoluzione.Come tutti possono vedere, già allora avevo chiaramente smontato non tanto (ripeto) le tue idee, che rispetto a prescindere, ma la tua pretesa di stravolgere le mie.
E infatti sul punto non hai replicato nè allora, nè oggi.
Molto più semplice andare altrove e continuare a dire, come se io le suddette parole non le avessi mai scritte, che sono un hegeliano, un meccanicista, un metafisico dell'arte, uno dittatore del pensiero... e tu un povero libertario della cultura che alza gli occhi al cielo sulla complessità del reale...
Sinceramente come rispetto della forma non mi pare il massimo!
Salutoni,
Mat