Nell'attesa che qualcun altro (che so bene essere stato a sua volta a Bruxelles ) ci dica la sua opinione
Cessi al cortese invito.
Confesso: dopo aver visto questa Medée, ho pensato che Warlikowski, dopo la più bella Ifigenia in Tauride, il più bel Caso Makropulos e il più bel Re Ruggero (ma in effetti il Re Ruggero l'ho visto solo una volta), mi avesse fatto vivere la più bella Medea della mia vita. Poi ho letto le argomentate e intelligenti riflessioni di Beckmesser, ci ho ripensato un po'... e non ho cambiato parere.
Scusate se vado per punti:
1) il rispetto del testo. Vorrei chiarire ulteriormente, se ce ne fosse bisogno, che lo spettacolo di Bruxelles non interviene affatto sulle parti musicate dell'opera, ma solo su quelle che non lo sono. In due modi: a) riscrivendo i dialoghi parlati; b) inserendo prima dell'inizio dell'opera e durante gli intervalli delle proiezioni, accompagnate da musiche anni Cinquanta-Sessanta, ovviamente del Novecento e ovviamente registrate. Quest'ultimo aspetto non credo sia, in linea di principio, censurabile: fa parte dell'idea che Warlikowski ha di Medea, che vedremo poi. Però se si è disturbati nulla obbliga a sedersi in platea prima dell'inizio e a restarci durante gli intervalli. Quanto ai dialoghi parlati, beh, io non me li ero mai letti, intendo quelli della versione originale francese. Sono tremendi: pomposi, aulici, piatti. Quelli riscritti, oltre a essere molto più sintetici (la brevità, gran pregio), mi sembra riassumano in maniera efficace e, diciamo così, concentrata quello che è disperso in decine di versi d'insulsa retorica. E non sono così sicuro che, anche da un punto di vista, diciamo così, della prassi esecutiva originale, l'opéra-comique non tollerasse inserzioni, adattamenti, sintesi o addirittura improvvisazoni (quanto al Sessantotto, nessuno lo detesta più di me, ma davvero non capisco cosa c'entri con la battuta incriminata di Medea, che non sarà elegante, ma efficace sì);
2) la regia. L'idea di fondo di W. è stata riassunta benissimo da Beckmesser. Medea è la star, mezza maga e mezza matta, che ha provato a vivere una vita normale con un matrimonio normale e una famiglia normale (i video ci parlano appunto di una perduta felicità borghese, fatta di bimbi biondi che giocano sul pratino all'inglese mentre il bravo maritino lo annaffia e la brava mogliettina fa da mangiare in cucina, in attesa di ricevere la visita domenicale dei suoceri e del parroco, insomma un sogno - o un incubo - formato Happy Days) ma non ce l'ha fatta per colpa dell'infedeltà di Giasone e della propria incapacità a essere normale. Quindi è geniale l'idea di vestirla all'inizio da Amy Winehouse, con la cofana in testa, i tatuaggi, il trucco folle e il tubino di pelle nera: non serve solo a far parlare i giornali (compreso il mio, lo ammetto) ma a definire subito, per il pubblico, il personaggio. Medea non si rassegna, Medea rivuole quella felicità perduta per la quale però non è attrezzata (e infatti sarebbe così semplice, in fondo: perso un Giasone se ne trova un altro), quindi non può che fallire. Benché sia disposta a tutto: a sedurre il suocero, orrendo uomo di successo che va in palestra perché-così-piaccio-ancora-alle-donne (e infatti), a rifarsi il look (a un certo punto si mette una parrucca bionda), a umiliarsi di fronte a Giasone.
Ora, questa impostazione può piacere o non piacere. Ma in sede critica conta non solo COSA si fa, ma COME. E qui, caro Beckmesser, ho trovato la regia di Warlikowski di un'efficacia, una forza, un rigore unici. Bisogna smettere di giudicare i registi solo dall'idea che hanno di un'opera. Allo stesso modo di un direttore d'orchestra, non basta "pensare" la partitura, bisogna avere anche la capacità tecnica per trasformare in esecuzione il pensiero. E Warlikowski, scusatemi, l'ha: è uno spettacolo tecnicamente perfetto (basta vedere come recitano TUTTI, fino all'ultimo corista, o come sono usate le luci) al servizio di un'idea per me giustissima. Il finale con lei che, DOPO L'ULTIMO ACCORDO, piega i pigiamini insanguinati dei bimbi, è tutt'altro che pretestuoso e comunque è fortissimo: io, per esempio, mi sono commosso. E non ero l'unico.
La Medea "di Cherubini" non esiste, o meglio esiste un insieme di fogli pentagrammati. Poi ci sono tante Medee quante sono le epoche, i momenti storici, le sensibilità sociali o personali, insomma quanti sono i Presenti che si leggono, come in uno specchio, in quel Passato. Ecco, io oggi, per la Medea del 2011, non riesco a immaginare una visione più coerente, più efficace, più forte e più disturbante (eh, sì, perché non possiamo uscire da Medea dicendo: è stato un bel pomeriggio. Medea non deve farci dormire la notte, esattamente com'è capitato a me) di quella di Warlikowski.
3) Rousset. Secondo me è la dimostrazione di come si possa "sgrassare" una partitura stilisticamente travisata senza ridurne l'efficacia. D'accordo sul finale del secondo atto, un po' piatto, non assolutamente su quello del terzo, che ho trovato efficacissimo: però, diciamolo, i musicisti sempre uomini sono, e le loro prestazioni possono cambiare da una recita all'altra. L'aspetto stimolante e anche affascinante di questa direzione, secondo me, è però un altro. Paradossalmente, l'uso di sonorità secche e taglienti, il legato non romantico, l'intensità fatta più di fraseggio che di "peso" orchestrale, insomma l'identità "baroccara", per parlare in cretinese, danno all'orchestra così segmentata ed espressionista di Cherubini un sapore nuovo e davvero anticipatore. Insomma, si capisce perché l'Ottocento (e anche più in là) abbia tanto amato questa partitura e se ne sia ispirato molto più ascoltando sonorità "antiche" di questo genere che ricercando un turgore romantico o addirittura imponendolo con le trascrizioni e gli adattamenti (e qui sono d'accordo con il GM, Lachner non è né buono né cattivo: semplicemente leggeva Medea con la sua sensibilità, quella di uomo di metà Ottocento. Oggi noi non siamo uomini di metà Ottocento, quindi non ha senso usare Lachner);
4) la Michael. Secondo me ha fatto una grande interpretazione. Vocalmente, non la censuro per gli acuti gridacchiati, che sono poi gli acuti gridacchiati di tutte le Medee che io ho sentito in vita mia, né per non cantare come la Scio, perché come cantasse la Scio non lo sappiamo né lo sapremo mai. Il limite della Michael è, stranamente, la sua incapacità di cantare sulla parola: non perché il suo francese sia cattivo (è più che accettabile), ma perché non ha capito che in quest'opera è la parola che modella il fraseggio musicale e non viceversa. Detto questo, posto che la Michael non è la Callas, cioè non è in grado di fare Medea da sola, senza nessuno intorno o magari contro quelli che ha intorno, le va dato atto di essersi inserita in un'interpretazione geniale e di averla portata a casa con autorevolezza ed efficacia;
5) Streit. La grande sorpresa. Intanto perché Warlikoski riesce a caratterizzare il personaggio, altrimenti scipito, come non era mai riuscito a nessuno. Qui Giasone è un tamarro rockettaro pentito che, dopo la grande storia con Medea, ha deciso di inserirsi nel tranquillizzante mondo borghese di Dircé and family. Resta un boro: capelli rasta, orecchini e piercing vari, stivali (orrore!) sotto lo smoking. Però riesce a fare quello che Medea non può fare: approdare (o almeno provarci, ci pensa lei a mandargliela in fumo, ah ah ah) a una felicità forse mediocre, ma "normale" (e tuttavia che la vita e il sesso con Medea fossero un'altra cosa rispetto a quella noiosa di Dircé è chiarissimo dai loro duetti). A Streit questa caratterizzazione riesce perfettamente, perché è un grande attore o almeno un attore in grado di farsi guidare. E vocalmente funziona: intanto perché la voce si è ispessita, poi perché riesce a risolvere con un decente uso del registro di testa le inaspettate fiondate sull'acuto che Cherubini chiede al suo tenore (e, francamente, meglio questi suoni che le urla dei Giasoni standard) e infine perché riesce, lui sì, a costruire la frase musicale partendo dalla parola.
Sono stato troppo lungo. Chiedo scusa a tutti. Ma lo spettacolo mi è piaciuto davvero molto e, beh, mi faceva piacere parlarvene. Sicuro, come al solito, di essere forse contestato, ma sicuramente capito.
Miao
AM