da Enrico » lun 04 lug 2011, 22:41
Continuo a scrivere qui per non aprire un altro thread sulla Lucia: ne abbiamo già troppi!
Questa volta l'ho vista a teatro (Regio di Torino, ieri 3 luglio 2011, ultima replica col primo cast), e dico subito che ciò che si ascoltava dalle prime file della platea corrispondeva molto bene a quanto trasmesso da Radio3 la sera della prima: la registrazione della "prima" è già disponibile in rete da qualche parte e quindi la mia recensione va bene anche per una sezione del forum in cui si parla di registrazioni.
Non dovrò lamentarmi più, le prossime volte, della qualità delle trasmissioni dal Regio, né avere dubbi sull'effettiva consistenza delle voci o sui rapporti tra voci e orchestra: in questo caso, ripeto, la registrazione è abbastanza fedele. Anzi non andavo al Regio da molti anni e ho notato che l'acustica è effettivamente migliorata con le modifiche apportate alla sala: non è un'acustica perfetta, secondo me, e in generale mi sembra che il suono rimanga abbastanza freddo e confinato al palcoscenico (a meno che ciò non dipenda dall'esecuzione) e anche il suono dell'orchestra mi è sembrato troppo "schiacciato" nel fondo della buca (a meno che questo non dipenda dalle scelte e dalla concertazione del Maestro Campanella).
Prima dell'inizio ho dato un'occhiata al programma di sala, dove nell'organico erano indicati tra le percussioni i timpani i piatti e il triangolo (forse anche la grancassa, ma non sono sicuro): ho guardato in buca per controllare e ho avuto conferma di quanto avevo già notato ascoltando la trasmissione radio: c'erano solo i timpani e il triangolo, i piatti erano stati del tutto eliminati dall'orchestra, e continuo a chiedermi quale possa essere la ragione di questa scelta. Non ho una partitura tra le mani né il manoscritto di Donizetti per controllare direttamente. Mi è sembrata strana la decisione di fare un solo lungjhissimo intervallo non dopo "Verranno a te sull'aure" ma dopo la scena delle nozze, cioè alla fine del primo atto della seconda parte: decisione poco coerente con lo svolgimento della vicenda (a parte il fatto che io posso balzare subito dalla sedia e correre fino ai bagni salendo e scendendo i troppi scalini del teatro, mentre i poveri vecchietti rischiano di farsi male e poi si trovano costretti a far la fila in trenta o quaranta davanti alla porta!). Comunque lo spettacolo è durato tre ore e poco più, compreso l'intervallo: troppo, secondo me, per una versione con tagli.
Partiamo dalla direzione di Bruno Campanella: normalmente lenta in alcune parti, eccessivamente lenta in altre: lievissima accelerazione in qualche monento della scena delle nozze, nell'accompagamento ai dialoghi che precedono il sestetto. Il problema non è la però la lentezza in sé (che per i cantanti in alcuni momenti può fare comodo, in altri può creare enormi difficoltà; a parte il fatto che con Karajan o Serafin la lentezza diventava perfino un pregio) ma il fatto che in diversi pezzi dell'opera si aggiungeva un imprevisto "rallentando" alla fine di ogni frase: per esempio in "Quando rapito in estasi", già a partire dall'introduzione strumentale e poi nell'accompagnamento al canto, si rallentava la seconda parte delle frasi (in particolare sulle parole "cocente ardore") fino ad ottenere quasi una pausa prima di attaccare la frase successiva (non so se questo accada anche nella registrazione: per radio avevo ascoltato solo la seconda parte). Forse si tratta di una ricerca di espressività, ma non mi ha convinto. Il suono dell'orchestra era quasi sempre piuttosto morbido, tenuto su intensità moderate, forse anche per non coprire i cantanti, dalle voci chiaramente udibili ma non particolarmente sonore.
Come dicevo prima, l'esecuzione mi è sembrata abbastanza fredda, e soprattutto ho avuto l'impressione che fossero eccessivamente sacrificati i diversi trimbri strumentali, che dovrebbero differenziare le linee melodiche negli accompagnamenti o nei pezzi d'assieme: da un "tutti" abbastanza indistinto emergevano, di tanto in tanto, soltanto i corni (purtroppo un po' striduli a mio parere e non sempre precisi in alcuni attacchi: a meno che questo non dipenda ancora una volta dall'acustica del teatro), e poco si notavano alcuni incisi dei legni, che invece in altre interpretazioni appaiono di solito più significativi, sottolineando importanti momenti drammatici dell'opera.
Altro problema, secondo me, era una quasi continua mancanza di accento e di ritmo, in un fraseggio molto omogeneo e regolare ma anche molto monotono. Nella seconda parte dell'opera a volte la melodia sembrava quasi sparire, nell'esagerato allungarsi di ogni nota: mi ha dato quest'impressione il coro "Oh qual funesto avvenimento", in cui la solennità del tempo lento scelto e del crescendo orchestrale otteneva scarso effetto drammatico poprio per la mancanza di accento e per la piattezza del fraseggio (al di là dei colpi di piatti permessi da quasi tutti i direttori antichi e moderni ed eliminati da Campanella).
Il discorso sui tagli l'ho già fatto nel post precedente, e confermo che erano pesanti anche nella prima parte: "pesanti" nel senso che riproducevano la solita prassi degli anni '30-'50, ben nota dalle vecchie registrazioni con la Capsir o la Pagliughi o la Pons o la Peters (salvando però parte dell'aria di Raimondo e del duetto della torre): accogliendo, dalla solita prassi tradizionale, anche l'eliminazione di qualche frase (prima della ripresa di "Verranno a te sull'aure", per esempio) o certe varianti acute, che non dovrebbero essere obbligatorie, soprattutto quando alcuni cantanti non danno il meglio di sé nel registro acuto. Faccio un solo esempio tra tanti: la cadenza che conclude "Fra poco a me ricovero", che nella versione tradizionale arriva credo a un si naturale, o si bemolle se si abbassa ("rispetta almen le ceneri - ahhhhhh - di chi moria..."), è stata eseguita con enorme fatica e mediocre risultato: perché non fare una cadenza diversa, meno prevedibile e più adatta ad esaltare i pregi dell'interprete e non i difetti? Stesso discorso, che ho già fatto, per l'ennesima pazzia "dalmontiana" della Mosuc.
Brutte e inutili certe licenze esibizionistiche ("ivi t'uccideròòòòòòòò" tenuto per mezz'ora da Edgardo: avrei preferito l'esecuzione tutta intera della seconda parte del duetto!).
Sulle voci degli interpreti (Mosuc, Meli, Capitanucci, Kowjalov) il discorso può essere rapido: poco significativi Normanno Arturo e Alisa, Capitanucci è per stile ed emissione il solito Enrico appena leggermente più umano rispetto alle antiche interpretazioni (diciamo più vicino a Panerai che al truce Nucci), la Mosuc una Lucia con molto vibrato, molti acutini e un po' di approssimazione nelle agilità, Meli, secondo me, un Edgardo vocalmente disordinato nell'emissione e un po' casuale nello stile: alterna rari momenti squillanti a tentativi di mezza voce non sempre riusciti, e come ho già detto è spesso in difficoltà su acuti un po' tirati (decisamente strozzati quando canta "Bell'alma innamorata"); Kowjalov come Raimondo ha voce piuttosto morbida, e gli manca sicuramente la sonorità delle note gravi per "la tremenda maestà": anche lui vocalemente molto umano, quasi "cordiale" e "affettuoso" ma anche un po' banale (a parte la dizione un po' faticosa e spesso imperfetta).
Per tutti secondo me c'è sempre il problema del fraseggio abbastanza piatto e dell'esecuzione spesso corretta - con qualche aggiustamento - ma poco incisiva, priva di accento e di emozione.
Ritengo però che i limiti di questo spettacolo fossero dovuti più che alle singole voci alla direzione, di cui ho già detto, e alla regia di Graham Vick (il vecchio allestimento fiorentino documentato nel video con la Gruberova e Mehta): sarà bella e per un po'anche suggestiva (poi stanca) la scena unica con la distesa notturna di rocce e di erica sotto la grande e tonda luna (che troppo frequentemente, appesa a fili ben visibili, si sposta qua e là nel cielo dietro i rami di un albero), un po' troppo macchinosa nell'andare e venire di pareti scure che inquadrano porzioni diverse della scena con una logica che non sempre ho capito; un po' ridicoli certi costumi (dagli uomini con lanterne e berretto da notte all'inizio all'Arturo infagottato in abito tutto bianco); ma si aveva l'impressione che la recitazione fosse poco curata, non dico casuale ma abbastanza istintiva, senza che i gesti compiuti avessero sempre un vero valore drammatico o musicale: nel caso di Edgardo ed Enrico ho notato due o al massimo tre espressioni che si alternavano e poche posizioni standardizzate come "gambe larghe mani sui fianchi" o "gambe larghe mano in avanti", o "gambe larghe braccio proteso a indicare qualcosa da un lato o dall'altro senza che si capisca bene cosa" e perfino qualche momento con "gambe larghe manina sul cuore".
Molto meno vario nei gesti e movimenti Raimondo, praticamente immobile il coro per la maggior parte dell'opera nello stile "mettiamoci tutti in fila e cantiamo guardando il direttore"; mentre Lucia ha tirato fuori tutto l'armamentario solito con drappi scozzesi agitati o distesi, corsette piroette e pazzia cinguettante e sorridente tra i fiorellini (o seduta al proscenio a duettare col flauto come speravo non si facesse più), con rari momenti di fissa immobilità (duetto con Enrico - scena delle nozze: ma più che una pazza attonita e sofferente mi ricordava la placida Lucia della Signora Devia): nella seconda parte della pazzia ha estratto dal suolo fiorito una spada e con quella ha giocato in tutti i modi possibili, passando dalle carezze sorridenti alla lama a posture degne della guerriera Abigaille, fino a ricadere al suolo con la stessa spada, come a voler suggerire l'idea di un suicidio, ma con espressione sempre a mio parere troppo lieta e contenta, e troppo placida, non troppo diversa dall'ingenua esecuzione di "Quando rapito in estasi": dimenticavo di dire che l'esecuzione di "Regnava nel silenzio" mi è sembrata decisamente noiosa e priva di qualunque poesia o mistero. Così come mi è sembrato poco presente lo squilibrio nevrotico che, da ciò che dice Lucia, dovrebbe essere evidente quasi fin dal suo primo ingresso in scena: Lucia è una ragazza che vede fantasmi, parla di sangue, di omicidi, piange e sospira, dice di voler morire, uccide il marito nella notte di nozze... Non è una ingenua pastorella che gorheggia raccogliendo fiorellini (se così dev'essere preferisco il vecchio film con Edgardo che parte sul cavallo e la Moffo che saltella nel prato)!
Mi chiedo quali possano essere i presupposti di una simile interpretazione, quali i modelli: nei saggi del programma di sala, a cui ho dato un rapido sguardo dopo la fine della recita, e di cui non ricordo gli autori (se non Gualerzi che fa per l'ennesima volta la storia delle Lucie del passato fino alla Toti e alla Pagliughi), un discorso sulle grandi Lucie "di oggi" in disco o in video citava la Callas (edizione del San Carlo... perché proprio quella?), Beverly Sills, la Scotto nell'edizione di Tokyo con Bergonzi e Bartoletti, e la Ciofi nella sua prima esecuzione in francese. Stranamente dimenticata la Sutherland; del tutto ignorata la Dessay che per molti di noi "é" oggi Lucia.
Ora è chiaro che queste sono tutte mie impressioni e opinioni personali (in altri siti si leggono giudizi decisamente migliori, anche se quasi tutti concordano sulla lentezza di Campanella, meno fastidiosa, si dice, nelle recite col secondo cast) come forse è evidente il fatto che questa Lucia mi ha abbastanza annoiato: però si tratta sempre di un'opera bellissima, con una bella storia romantica, belle musiche, bei pezzi famosi, e di conseguenza se da un lato mi chiedo come possano essere riusciti i responsabili di questo spettacolo a rendere quest'esecuzione tanto noiosa e, a parte la noia, decisamente inutile nella storia dell'interpretazione di quest'opera in un teatro che vuole essere importante come il Regio (un'edizione al Superga di Nichelino qualche anno fa, con Francesca Park, Sergio Bologna e Andrea Coronella che faceva il Pavarottino tra costumi colorati e fondali dipinti mi aveva emozionato di più) dall'altro lato capisco che a molti possa comunque essere piaciuta: ci sono stati grandi applausi e urla di bravo ad ogni pezzo e ad ogni cadenza e ad ogni acuto e ad ogni accordo conclusivo, per tutti ma soprattutto per Meli e per la Mosuc, e un applauso interminabile alla fine di quello che a me è sembrato un fiacco sestetto (ciò che ha portato Meli a uscire dalla finzione drammatica, pur restando immobile, con un sorriso radioso e gongolante); e alla fine un vero e proprio trionfo con standing ovation e applausi cadenzati. Ma c'era anche una significativa porzione di pubblico che non applaudiva per niente. Sia quelli che applaudivano sia quelli che non applaudivano avranno avuto, spero, le loro buone ragioni.
Enrico B.