mattioli ha scritto:Botha è invece il solito tenorone baritonale
Caro GM, qui non sono affatto d'accordo. Nell'ultimo anno ho ascoltato Botha tre volte, in due Tannhauser (a Torino e a Londra) e come Siegmund a Bayreuth. Non lo sentivo da un'infinità di tempo e mi ha sorpreso trovare una vocalità ancora fresca, un timbro chiaro, acuti squillanti e perfino una certa morbidezza.
Caro Mattioli,
non entro nel merito su quanto sia o non sia "bravo" Botha.
Mi interessa di più la questione se è o non è un bravo Kaiser.
Non lo è musicalmente, e su questo concordi. Non lo è interprativamente, e anche su questo concordi.
Ora io ti dico che non lo sarà nemmeno vocalmente. E provo (da quell'utopista sognatore che sono) a motivare la mia profezia.
In ballo c'è una tessitura abbastanza acuta, anzi, notevolemente acuta, pressoché inaccessibilmente acuta per il classico tenorone wagneriano.
Tu però opponi a questa affermazione le tue testimonianza di acuti squillanti e "morbidezza" (:O ), ma in che ruoli?
Tannhauser e Siegmund, la cui scrittura - appunto - ha un baricentro di un paio di toni più basso del Kaiser.
Siegmund poi è talmente baritonale che lo potrebbero eseguire disinvoltamente un terzo dei baritoni attualmente in carriera (Hampson ci aveva persino pensato su).
Dovevi, semmai, oppormi l'esempio del fulgido Radames che Botha ha regalato al met e che è ascoltabile in Dvd. Ecco... Radames ha un baricentro già più vicino a quello del Kaiser.
Io inoltre potrei citarti l'unica volta che ho sentito Botha dal vivo a Monaco nel concerto di addio di Levine ai Philharmoniker (2004). Lui cantava nel Lied von der Erde, la cui tessitura è a sua volta alta (anche un pelo di più, per essere precisi, rispetto al Kaiser). E anche lì, come ogni volta che si chiama un pachiderma wagneriano in tessiture acute, l'unica cosa che si sentiva - e non tanto oltre la quinta fila - erano note lacerate, tese, spasmodiche e si bemolle e naturali che più gridati e afoni di così non era possibile.
La tua contestazione mi pare risenta delle vecchie etichette "volume-colore"; la mia tesi (utopistica e delirante, ma che finora non ha sbagliato molte profezie) è che molto più importante, per dominare un ruolo, è il pieno dominio della sua esatta tessitura.
Tanti anni fa (quasi un secolo fa, ma c'è chi difende queste tesi ancora oggi, per la felicità di gente come Berti e Armiliato) si pensava che un certo colore e un certo numero di decibels fossero i criteri in base ai quali distribuire le parti.
E se un personaggio ha velleità eroiche, come il Kaiser, allora bisogna per forza affidarlo agli specialisti dell'eroismo (che in passato erano, per il repertorio tedesco, gli habitués di Tristan e Siegmund).
Poco importa che la parte sia stata scritta per un tenore che aveva Manrico, Tamino e Faust in repertorio (tutti ruoli nei quali prego il Cielo e tutti gli Dei di non sentire mai Botha)... Eroico è? Allora va dato a tenoroni bayreuthiani.
Eroico è Otello? Idem... Eroico è Florestano? Idem...
E cosa succedeva se il Kaiser (ma vale per anche per Otello e Florestano) in realtà era scritto per tessiture più elevate? per scuole tecniche più antiche? Niente di grave: solo un'interminabile sequela di suoni strozzati e acuti gridati, il tutto giustificato da mitologiche "difficoltà" di scrittura.
Io invece penso che in nessun ruolo si debba gridare, e che per farsi sentire davvero (ben oltre la quinta fila) basta cantare nella propria naturale tessitura.
Il che significa che (per Otello, Florestano e il Kaiser, ma anche per Norma e Lady Macbeth) per farsi sentire oltre la quinta fila di una platea non ci vogliono voci possenti (di cui, oltre la quinta fila, senti solo le urla), ma voci "giuste" per la scrittura. E se trent'anni di opera dal vivo mi hanno insegnato qualcosa è che una voce (qualunque voce) vibra e risuona senza timore quando è all'altezza giusta: anche la Schaefer era capace di coprire l'enorme orchestra di Humperdink nell'enorme spazio del Met e la sua voce è "davvero" piccola, non come quella di Kaiser.
E così arrivamo a Joseph Kaiser, il quale è stato (sempre in virtù delle solite vetero-etichette) collocato fra i tenori lirici che oggi sono quelli che guadagnano di più: vuoi successo? canta Lensky, canta Romeo et Juliette, canta Faust.
Ed è proprio questa la ragione per cui ancora, nonostante le straordinarie potenzialità, Kaiser non è approdato al successo che merita.
La gente lo sente in tessiture troppo alte e in ruoli troppo leggeri ed esprime legittima perplessità. Solo che a nessuno viene in mente che il problema non sta nel cantante (potenzialmente straordinario) ma nelle scritture inadeguate.
Qaundo sentii la prima volta Kaiser dal vivo (nello stesso Oniegin che hai visto tu) io non ero in quinta fila: ero in fondo al Grossesfestspielhaus. Benché cantante declamatore (e già questo dovrebbe tenerlo lontano da Lensky) la sua voce era talmente timbrata e perentoria che arrivava benissimo fino a me.
Semmai arrivavano anche durezze e tensioni che, immediatamente, attribuii al fatto che Lensky era ruolo troppo "lirico" per la sua voce.
Un paio di anni dopo l'ho risentito in un teatro all'aperto (anche se di acustica favolosa): Aix.
E qui fu strepitoso perché la parte era giusta.
Admeto dell'Alceste,infatti, pur svettando su la naturali (che nessun Botha potrebbe permettersi) ha tessitura più centralizzante di Lensky, espressività più virile e (sia pure in senso settecentesco) eroicizzante: essendo più comoda la tessitura, gli acuti di Kaiser erano elettrizzanti, la bellezza bronzea del timbro finalmente si liberava con facilità e soprattutto la dinamica era varia, alleggerita, tutte cose che un declamatore può ottenere solo se canta nell'ambito più vero della sua voce.
Nella modesta recensione che, di quell'Alceste, ho postato su questo forum, avevo espressamente asupicato per Kaiser, dopo l'Admeto, una svolta verso ruoli da declamatori "acuti", come quelli eroici di Strauss, e soprattutto una pronta rinuncia ai Romeo, i Lensky e i Tamino (non parliamo dei Faust) che, oltre a non valorizzarlo, rischiano di affaticargli lo strumento.
Il solito auspicio delirante del solito utopista?
Sarà... ma noto con piacere che, dopo l'Alceste, non sono previsti più per Kaiser i Faust e i Lensky, bensì i Pilade, gli Steva di Jenufa e (proprio a Parigi) quel Matteo dell'Arabella che molti tenori usano come trampolino verso lo Strauss eroico.
Forse non solo io a partorire simile facezie.
Ancora negli anni 80 auspicai la stessa cosa per Wimbergh, quando ancora veniva regolarmente pernacchiato dai critici e appassionati italiani! Quando dicevo che Wimbergh, da tutti odiato quale Ernesto e Ferrando, avrebbe dovuto semplicemente passare a Lohengrin, le accuse che ricevetti di pazzia si sprecarono.
Fortunamente era un utopista anche Pereira, che lo chiamò come Lohengrin nel 93 e gli assicurò una svolta gloriosa alla carriera.
Scusate come sempre le lungaggini.
Salutoni
Mat