Ciao Mattiolissimo!
Avendo perso un secolo ieri per scrivere la lenzuolata, mi ero giurato di non postare nulla oggi e di dedicarmi ai cumuli di scartoffie...
Ma come si può resistere al piacere di risponderti!
mattioli ha scritto:se conosci l'incisione di Battistini, saprai che la sua partner - Emilia Corsi, credo - aspetta che il Divo abbia finito il suo cantabile prima di attaccare "Fiero sangue d'Aragona", perché non si interrompe il Re, nemmeno quello dei baritoni, alla faccia dello spartito e della psicologia del suo personaggio: e questi, hai capito, sono i modelli cui ci dobbiamo ispirare per fare teatro d'opera nel 2011...).
eheheheh... Hai ragione.
Tuttavia vorrei specificare (anche se sono perfettamente d'accordo con te) che tra tutti i Grand-Seigneurs che hanno ammorbato la storia interpretativa di Ernani, io salverei proprio Battistini.
Aveva un qualcosa di beffardo e raffinatissimo, da principe della Belle Epoque, che lo rendeva cinico e magniloquente... quindi vicino al nostro personaggio.
E poi sapeva rendere con grande evidenza espressiva il trapasso grandioso di "Sommo Carlo".
Sfumerei invece il giudizio sul Verdi politico.
E a prescindere da tutto fai bene: io vado sempre sfumato, perché purtroppo quando mi avvento su una tesi divento greve per il gusto di portarla all'estremo...
Ogni volta che si tenta di mettere in bocca a qualcuno (che essendo morto non può difendersi direttamente) punti di vista politici o idelai, bisognerebbe invece andarci piano.
detto questo provo a rispondere alle tue considerazioni, non per ordine.
Partiamo da ciò in cui siamo d'accordo:
Quella dell'Ernani non è nostalgia per il Sacro Romano Impero, ma per un'organizzazione politica dell'Europa che trascendesse gli Stati nazionali. La stessa che c'è in Hugo, non certo un reazionario, la stessa di Mazzini (non certo un nazionalista nel senso tardottocentesco), la stessa che serpeggiava in Germania con il revival neogotico che trova il suo bardo in Federico Guglielmo IV di Prussia (non a caso liquidato come pazzo) e il suo simbolo nel completamento del Duomo di Colonia. L'aspirazione a un'Europa organizzata su basi più larghe degli Stati nazionali e quindi finalmente pacificata non è nostalgia per un Impero che, come diceva Voltaire, non era né Sacro né Romano né Impero.
Ma Mattioli... è esattamente quello che dicevo io!
Sicuramente mi sono espresso male... ma speravo che si capisse che non intendevo incolpare Verdi di voler restaurare il primo Reich (e tantomeno appoggiare il secondo
)!
Speravo di aver ampiamente messo in risalto che ciò a mio avviso lo affascinava dell'Impero era solo il fatto che fosse un istituto sovra-nazionale: l'utopia di Carlo V e la nobilità di Attila sono solo operistiche metafore a ciò che per Verdi era necessario: i popoli si autodermino, ma al di sopra di essi non gli Stati (che Verdi descrive come infernali) bensì la pace indotta da un universale e superiore ordinamento.
Ripeto: il Sacro Romano Impero è solo un'esemplificazione operistica di tutto ciò.
Al contrario, stando almeno ai soggetti delle opere, alle trame, agli svolgimenti narrativi e psicologici, Verdi ci descrive gli Stati-Nazione" (ciò che l'Italia stava diventando) non precisamente come paradisi a cui aspirare.
Quindi, Mattioli, stiamo dicendo la stessa cosa (salvo che io scrivo male e troppo; tu scrivi bene e chiaro; sarà per questo che il giornalista sei tu?)
E' poi ovvio che il sogno sovra-nazionale restasse a livello pratico un'utopia ed è lo stesso Verdi a dircelo: Carlo d'asburgo è l'unico personaggio storico che torna in due diverse opere; però quando riapparirà nel don Carlos sarà una figura spettrale, un esule del mondo nascosto nel proprio stesso mausoleo; l'uomo che,nel 1844, aveva levato il suo canto all'eternità sublime dell'impero, nel 1867 è ridotto a incarnarne il fallimento.
Non credo che inseguire le tappe della vita pubblica di Verdi e dei suoi incarichi possa aiutarci a capire la profondità del suo pensiero, quanto le sue opere.
Nelle sue opere può inseguire le sue utopie politiche, può arrivare al fondo del suo credo (universalistico) e delle sue paure (verso gli Stati): nella vita pratica no.
dovendo comunque vivere i rivolgimenti politici dei suoi anni, Verdi ha scelto il male minore: l'Italia unita, l'Italia trasformata in nazione era il male minore... lo sarebbe stato anche per me in quegli anni.
Le lettere possono dirci tutto sulla parte "pratica" e contingente del pensiero verdiano, le opere però ci dicono di più sulle radici stesse del suo pensiero.
E cosa vediamo nelle sue opere?
Che il sogno universalistico e sovra-statale è definito Il "più sublime trono". Mentre gli Stati...
Essi appaiono come orribili entità che schiacciano gli individui, sempre in guerra, lacerate da conflitti sanguinosi... (la gelida macchina di morte che stritola il doge Foscari così come Amneris e Radames... la campana a morto che chiude il Boccanegra, sinistro suggello alla pace, o quella spaventosa che annuncia il massacro nei Vespri).
Questo è ciò che Verdi ci descrive. Questa è la radice del suo pensiero, di cui le opere stesse sono specchio più fedele di qualsiasi lettera.
E comunque è quello che dicevi anche tu.
Piuttosto, sarebbe interessante discutere sul perché, mentre l'Italia si fa, Verdi smette di fare l'Italia e, proprio negli anni in cui si compie l'Unità, sposta il suo interesse su temi sempre sì politici, ma sociali (pensiamo a Traviata). Nel '59, l'anno decisivo, il Verdi d'annata è Il ballo in maschera, forse la meno politica delle sue opere. Nel '67, peraltro, con la questione romana caldissima, scrive quella specie di trattato sui rapporti fra Stato e Chiesa che è Don Carlos e lo fa proprio a Parigi, nella tana del lupo temporale.
Per me Verdi non si è mai veramente staccato dai temi politici: resta il compositore più "politico che esista". Solo che dopo il 1850 all'ansia di libertà dallo straniero si sostituisce l'ansia di libertà dallo Stato stesso...
Curioso, no?
Ora che l'Italia è fatta (o quasi) invece di celebrare la perfetta felicità garantita da un bello stato unitario... il compositore risorgimentale si accanisce sul tema dello Stato che schiaccia i suoi figli...
Interessante...
Secondo me in tutto il corpus verdiano solo quattro opere (non contando le prime due) sono completamente a-politiche: Stiffelio, Traviata, Otello e Falstaff (il Ballo non mi pare completamente a-politico, anche se, è vero, portatore di nuove inquietudini e amarezze).
Ma questo non perché Verdi avesse abbandonato tale dimensione: dapprima (parlo degli anni '50) un altro "personaggio" aveva fatto capolino nelle sue opere.
Oltre a individui e Stati (come era stato fino a quel punto) nasce la nuova dialettica fra individui e società (i famosi "emarginati" razziali, fisici, sociali, morali che da questo momento in poi domineranno le sue opere).
Ma questo non toglie che di politica (anche se in termini un po' diversi) si continui a parlare in quasi tutte le ultime opere, con punte estreme in Boccanegra, don Carlos e Aida che restano i più politici di tutti i lavori verdiani.
Resta da vedere come cambia il modo di trattare questi temi.
Intanto il patriota non è più solo il "tenore" (quasi inevitabilmente buono).
Con Procida nasce una figura di patriota verdiano, nero, sinistro miscuglio di intolleranza, facilite al massacro e al tradimento.
A Procida seguiranno altri patrioti ugualmente terribili, come Amonasro, Fiesco, se vogliamo anche Samuel e Tom, per arrivare all'incredibile approdo di due sacerdoti agghiaccianti (Ramfis e l'Inquisitore) quasi disumanati nella loro cieca esigenza di distruzione di qualsiasi voce alternativa.
Curioso, no?
L'italia è praticamente fatta e Verdi, invece di celebrarne i fasti come si conviene a un "patriota", inaugura una serie di patrioti operistici che, lontanissimi dai tenori eroici e velleitari delle prime opere, si presentano come terribili figure di morte, espressioni di fanatismo e intelloranza.
In compenso... i veri eroi positivi dell'ultimo Verdi sono sempre più spesso apolidi, "senza patria" (Aida, Alvaro, lo stesso don carlos).
Ma non doveva essere Verdi il trombettiere dell'Italia unita? Strano contegno...
Così come è strano che, proprio quando l'Italia è finalmente creata, questo italianista a tutta prova... smette improvvisamente di scrivere opere per l'Italia!
Curioso no?
dall'unità e per quasi trent'anni (fino a Otello) Verdi compone per Pietroburgo, per Parigi, persino per il Cairo, ma per la sua meravigliosa "Patria" niente!
Strana prova di amore di patria...
Non pensi che (lettere e incarichi pubblici a parte) sarebbe il caso di rivedere un po' la questione dell'amore di Verdi per la nazione?
Detto questo, il tuo tentativo di spacciarti per modenese è puerile. Sarai anche nato lì, nell'ombelico del mondo, ma sei e resti un ferrarese.
Non hai alcuna comprensione per un povero emigrante, che ha lasciato il cuore all'ombra della Ghirlandina!
E comunque, sogni a parte, purtroppo per entrambi, Modena e Ferrara "hanno patria comune"
Salutoni,
Mat